Malandragem vs Arte di arrangiarsi
Stili di vita e forme dell’aggiustamento tra Brasile e Italia
Paolo Demuru
Centro de Pesquisas Sociossemióticas
PUC-São Paulo
Index
Articles du même auteur parus dans les Actes Sémiotiques
Mots-clés : ajustement, Brésil, culture, débrouillardise, esthétique, football, interaction, Italie, jeu, régime de sens, style de vie/forme de vie
Auteurs cités : Gianni BRERA, Roberto DAMATTA, Gilberto FREYRE, Algirdas J. GREIMAS, Eric LANDOWSKI, Youri LOTMAN, Gianfranco MARRONE, Oscar NIEMEYER
Introduzione
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Cfr. Eric Landowki, « Socio-sémiotique et sémiotique de la culture. Note de lecture et mise au point », Versus, 114, 2012 ; id., « L’épreuve de l’autre », Sign System Studies, 34, 2, 2006 ; id., « Bouillon de cultures », in M. Bernoussi (éd.), De la culture marocaine, une sémiotique, Actes du IIe congrès de l’Association Marocaine de Sémiotique, Meknès, Presses de l’université Moulay Ismaïl, 2011.
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Paul Rabinow, Reflection on Fieldwork in Morocco, Berkeley, University of California Press, 1977.
In alcuni saggi di recente pubblicazione, Eric Landowski discute della specificità dell’approccio semiotico – e, in modo ancor più dettagliato, sociosemiotico – alla cultura1. Prendendo spunto da un noto testo dell’antropologo Paul Rabinow sul lavoro di campo in Marocco2, il semiologo difende, al contempo, un posizionamento teorico e un’opzione di metodo : in primo luogo, la necessità di affrancarsi da vedute statiche e sostanzialiste che mirino a stabilire la peculiarità di una cultura attraverso l’individuazione e l’analisi isolata di figure più o meno “tipiche” (il muezzin, il tajine, il souk e via dicendo, nel caso della cultura marocchina) ; in secondo luogo, la possibilità, a un livello più astratto e formale, di identificare il regime di senso – o la combinazione tra regimi – che soggiace a manifestazioni significanti di natura diversa, suscettibile di affermarsi, in una data sfera socioculturale, come il caposaldo di una precisa visione del mondo e il perno delle interazioni con l’alterità.
Proveremo qui a esplorare e problematizzare ulteriormente tali ipotesi a partire dall’analisi comparativa dei discorsi su due stili di vita affermatisi, nel corso del novecento, come modelli di carattere e identità nazionale : l’arte di arrangiarsi italiana e la malandragem brasiliana. In particolare, ci soffermeremo su tre questioni fondamentali.
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Nel suo saggio Les interactions risquées, Landowski individua quattro regimi di interazione e costruzione del senso: la programmazione, incentrata su una logica della routine, della regolarità e della ripetizione; la manipolazione, imperniata su un tipo di razionalità strategica e sul convincimento dell’altro; l’incidente, basato su una logica dell’alea e, infine, l’aggiustamento, in cui non esistono schemi d’azione precostituiti e dove prevale invece la capacità di saper sentire. Les interactions risquées, Limoges, Pulim, 2005 ; tr. it., Rischiare nelle interazioni, Milano, FrancoAngeli, 2010.
i) Sia la malandragem che l’arte di arrangiarsi sono state storicamente descritte come talenti “naturali” nel risolvere con astuzia e creatività situazioni critiche, imprevisti e controversie, capacità ipoteticamente “innate” di ottenere sempre qualcosa di buono dalle intemperie degli eventi o dalle rovine della storia – di riuscire sempre, in un modo o nell’altro, a cavarsela. Da questo punto di vista, entrambe possono considerarsi in quanto concretizzazioni peculiari di quel regime di senso e interazione che Landowski definisce aggiustamento, un modello di condotta in cui non esistono schemi di pensiero e azione precostituiti e dove prevale la capacità di saper sentire l’altro – sia esso un soggetto in carne e ossa, un oggetto, un luogo fisico, una situazione, un periodo storico –, adattandosi di volta in volta alle sue mosse3.
ii) Durante l’ultimo secolo, tale propensione all’aggiustarsi insita nella malandragem e nell’arte di arrangiarsi migra, riecheggia e viene raccontata attraverso una molteplicità di linguaggi e sfere discorsive, affermandosi non soltanto come uno stile di vita dai contorni chiari e definiti, ma comeprincipale tratto distintivo dell’italianità e della brasilianità. Come si narra in entrambi i paesi, è questo l’attributo che riassume la maniera in cui italiani e brasiliani pensano e agiscono nei più svariati ambiti della vita sociale, dalla politica alla più banale routine quotidiana. Tuttavia, c’è un campo specifico che, sopra e sotto l’equatore, ha svolto un ruolo decisivo nella dinamica di elevazione dell’arte di arrangiarsi e della malandragem a epitomi, rispettivamente, dell’Italia e del Brasile : il campo di calcio. Scatenando una reazione a catena di connessioni, metafore e analogie secondo cui una certa maniera di giocare a pallone rispecchia fedelmente una certa maniera di ballare, di governare, di progettare edifici, di risolvere un guaio, di fare la spesa, il calcio ha fatto sì che queste due filosofie dell’aggiustamento esplodessero e si consolidassero come emblemi dell’identità nazionale. Un dato che rimanda direttamente alle indicazioni teorico-metodologiche di Landowski sull’approccio semiotico alle culture menzionate in apertura.
A questo proposito, se è chiaro, da una parte, il perché una semiotica interessata a fenomeni macro tali quali l’identità di un popolo o di una nazione debba evitare approcci sostanzialisti e analisi oltremodo circoscritte, è altrettanto ovvio, d’altro lato, che dinanzi a oggetti così cangianti e sfuggenti, è imprescindibile individuare un buona porta d’accesso, qualcosa da cui poter prendere le mosse e che, possibilmente, consenta di aprire altre porte. È questo il motivo per cui il calcio ricoprirà un ruolo di primo piano all’interno del presente lavoro.
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Clifford Geertz, The Interpretation of Cultures. Selected Essays, New York, Basic Books, 1973.
- Note de bas de page 5 :
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Franciscu Sedda, Imperfette traduzione, Roma, Nuova Cultura, 2012, p. 13.
Come il combattimento dei galli studiato da Geertz con l’intenzione di cogliere il modo in cui i balinesi si percepivano e raccontavano, esso è infatti un vero e proprio “gioco profondo”4, un canale privilegiato per comprendere i modelli che brasiliani e italiani hanno creato per interpretare e spiegare le loro rispettive culture. Attraverso le sue trame è infatti possibile ricostruire disegni di volta in volta più grandi e complessi, che spaziano dalle equivalenze tra sfere come lo sport, la danza, la letteratura, la politica, l’architettura, il cinema, fino alle corrispondenze tra personaggi chiave di tali aree e il carattere italiano e brasiliano. Il che, sotto il profilo metodologico, implica – ed è ciò che faremo – un duplice e correlato movimento di restringimento e allargamento del campo d’analisi, “un continuo gioco circolare (…) di sguardi analitici sempre più nel dettaglio e immaginazioni culturali sempre più vaste”5.
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Cfr. Eric Landowski, op. cit., 2005, p. 69.
iii) Nonostante la matrice comune, arte di arrangiarsi e malandragem rappresentano tipologie di aggiustamento per certi versi opposte, che divergono in alcuni aspetti centrali, riguardanti la loro composizione plastica e figurativa. La prima, potremmo dire, è una forma di aggiustamento lineare, spigolosa, fondata su una sensibilità di tipo intellettuale ; la seconda, al contrario, è una forma di aggiustamento ellittica, curva, imperniata su una sensibilità di matrice corporea. Il che, dal punto di vista teorico, invita a ragionare sulla possibilità che uno stesso regime di senso – inteso non solo come condotta comportamentale assumibile all’interno di una precisa sintassi narrativa, ma anche come atteggiamento esistenziale6 – possa assumere configurazioni plastiche e figurative diverse, capaci, allo stesso tempo, di modularne la struttura valoriale profonda.
I. La “malandragem”
Alla voce malandragem, il Dicionário Houaiss da Língua Portuguesa riporta le seguenti definizioni :
1. Insieme, gruppo di malandros.
2. Qualità, stile di vita, azione propria del malandro.
2.1. Assenza di attività e lavoro; ozio, bighellonare.
2.2. Vita irresponsabile, marcata dai divertimenti e dal piaceri.
2.3. Scaltrezza, astuzia, ingegnosità (ha usato molta malandragem per ottenere l’incarico).
3. Nel calcio, abilità e destrezza nel confronto con l’avversario (dribblare con malandragem).
Due sono i punti che emergono da questa descrizione : da un lato, l’oscillare della malandragem tra una polo valoriale euforico (abilità, astuzia, ingegno) e disforico (irresponsabilità, dissolutezza, ozio improduttivo) ; dall’altro, l’attestazione del rapporto intimo con il gioco del calcio, in particolare con il dribbling, gesto tecnico con cui un giocatore supera, aggirandolo, il proprio avversario.
Come evidenziato nella seconda definizione, tali attributi – negativi, positivi, calcistici e non – sono riconducibili a una figura ben precisa : il malandro. Per comprendere meglio di che cosa parliamo quando parliamo di malandragem, converrà allora iniziare col ricostruire brevemente la storia e l’evoluzione di questo personaggio nelle pieghe della cultura nazionale.
1. Sambisti, pappagalli e calciatori
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Antônio Candido, « Dialéctica da Malandragem », in id., O discurso e a cidade, São Paulo, Duas Cidades, 1993, p. 44.
Sinonimo di briccone, furfante, trickster, picaro – soggetto, quest’ultimo, secondo il critico letterario Antonio Candido, ancora eccessivamente pragmatico, da cui il malandro brasiliano si distingue per l’amore per il gioco in sé, per “la pratica dell’astuzia per l’astuzia”7: il malandro è una figura folclorica che giunge in Brasile all’epoca della colonizzazione portoghese.
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Cfr. Luiz da Câmara Cascudo, Dicionário do Folclore Brasileiro, Belo Horizonte, Itatiaia e Universidade de São Paulo, 1988.
- Note de bas de page 9 :
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Cfr. Roberto DaMatta, Carnavais, Malandros o Heróis : Para uma Sociologia do Dilema Brasileiro, Rio de Janeiro, Zahar Editores, 1979, p. 269.
Il primo grande malandro trapiantato in terra tropicale è Pedro Malasartes. Figura tradizionale delle fiabe della penisola iberica, Malasartes è l’esempio del burlone ingegnoso e invincibile, che usa la propria intelligenza per salvare la propria pelle e farsi gioco dei ricchi, dei vanitosi e degli avari, guadagnandosi così la simpatia di deboli e reietti8. Poco alla volta, il malandro abbandona le leggende del folclore, trovando spazio nelle pagine scritte della letteratura nazionale. Tra il 1852 e il 1853, Manuel Antonio de Almeida pubblica Memorias de um sargento de milicia, romanzo d’appendice che racconta le vicende di Leonardo, disoccupato frequentatore del suburbio della Rio de Janeiro del diciannovesimo secolo, la cui quotidianità è segnata da continui inganni, trovate e espedienti. Più tardi, nel 1928, Mario de Andrade dà alle stampe Macunaima : l’eroe senza nessun carattere. Il libro narra delle vicende di Macunaima, piccolo indio dalla pelle scura che con la sua massima Ah che pigrizia ! e la sua capacità di adattarsi sia alla vita della foresta che a quella delle grandi metropoli brasiliane, trasforma la figura del malandro in una sorta di “archetipo della cultura nazionale”. Come il suo alter-ego del Dicionário Houaiss, il malandro dell’immaginario popolare brasiliano si muove entro un orizzonte morale complesso, che transita, per usare le parole dell’antropologo Roberto da Matta, “entro una scala che va dalla malandragemsocialmente approvata e vista da noi come arguzia e vivacità, al punto ben più pesante del gesto francamente disonesto”9. Guardando all’universo di testi e discorsi che trattano del tema, si riscontra così, da un lato, la presenza di un malandro vagabondo, scansafatiche, violento, pericoloso, dedito ad attività sospette e al limite della legalità, e, dall’altro, quella di un malandro, allegro, spiritoso, bravo a sambare e a giocare a pallone.
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Cfr. Luiz Tatit, O seculo da canção, São Paulo, Ateliê, 2004, p. 77.
Esempi della malandragem “immorale” e tendenzialmente “disonesta”, sono figure come Chico Juca, capoerista facinoroso del romanzo di Manuel Antonio de Almeida, o il sambista elogiato da Wilson Batista nel brano Lenço no Pescoço, del 1933, che vaga per la città con passo ondeggiante, fazzoletto al collo e coltello in tasca, osservando con sdegno e aria di superiorità la fine miserabile di chi lavora e fatica tutto il giorno. Un riferimento, quest’ultimo, che vale per tutte le canzoni che insistono sulle affinità tra sambista e malandro. Con i suoi continui rimandi alla capoeira, pratica a quei tempi malvista e illegale, il samba carioca diviene infatti la principale piattaforma traduttiva della malandragem socialmente deviante. Senza scendere nei dettagli e riportare i numerosi casi attraverso cui si è costruita tale immagine, basti ricordare che la proliferazione di inni a questo tipo di malandragemcapoeiristica divenne tale da creare, alla fine degli anni trenta, una serie di conflitti con l’appena instaurato governo di Getulio Vargas. Tant’è che, preoccupato del potenziale rivoluzionario della musica popolare, il presidente raccomandò ai compositori di scrivere pezzi più edificanti e di assumere posture più disciplinate e pedagogicamente corrette10.
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Cfr. Lilia Katri Moritz Schwarcz, « Complexo de Zé Carioca. Sobre uma certa ordem da Mestiçagem e da Malandragem », Revista Brasileira de Ciencias Sociais, 1995, v. 29, n. 10, pp. 17-30.
- Note de bas de page 12 :
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Ibid.
Simbolo supremo della malandragem “politicamente corretta” è invece il pappagallo disneyano José Carioca, protagonista del film Alô Amigos, uscito per la prima votla sugli schermi nel 1942. Qui José Carioca iniziava Paperino alla dolce vita tropicale, offrendogli sigari, cachaça e accompagnandolo nelle sue escursioni sambistiche per l’allora capitale del paese, senza mai, tuttavia, mostrargliene il “lato oscuro”. Il successo fu talmente grande che due anni dopo, nel 1944, Walt Disney lanciava nelle sale il sequel del cartone animato, The Three Caballeros, in cui José Carioca recitava a fianco di un altro grande esponente dell’allegria e della creatività brasiliana dell’epoca : Carmen Miranda. Come nota Lilia Schwarcz, fu questa seconda interpretazione a prevalere e affermarsi dentro e fuori i confini nazionali. Grazie a quella che l’autrice definisce la versione José Carioca della malandragem, ha preso forma e si è consolidata l’ idea che i brasiliani, con un pizzico di astuzia e creatività, se la cavano sempre, che, nel bene o nel male, un modo si trova. È il concetto secondo cui, in Brasile, tutto tende “ad ammorbidirsi e aggiustarsi”11. Non a caso, continua Schwarcz, “Jorge Amado è ancora il brasiliano più letto all’estero e il suo universo è pieno di capoeristi, sambisti, mulatte e malandros. Nello sport sosteniamo sempre che a vincere è la nostra ‘ginga malandra’ : Senna [Ayrton] vinceva in curva ; Nelson Piquetaveva un piede nell’irriverenza e dal calcio ci si aspetta unicamente arte”12.
Il calcio, infine. E non a caso. Senza forzature, si può dire che è stato proprio il calcio – o meglio, un determinato stile calcistico fondato, come ricorda lo Houaiss, sulla destrezza e sull’abilità nel dribblare l’avversario – a far sì che la figura del buon malandro si trasformasse in una sorta di modello del carattere nazionale. Con l’ascesa delle narrazioni sul calcio e con la conquista dei primi titoli mondiali da parte della nazionale brasiliana, succede infatti che ad essere magnificati sono i tratti euforici della malandragem – allegria, astuzia, simpatia, creatività, capacità di adattamento e una giusta dose di spregiudicatezza –, mentre attributi disforici quali provocazione, devianza, violenza vengono puntualmente narcotizzati.
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Gilberto Freyre, Prefácio, in M. R. Filho, O negro no futbeol brasileiro, Rio de Janeiro, Mauad, 2003, p. 27.
Il primo a insistere sull’azione sublimatrice del calcio in relazione alla malandragem e alle pratiche a essa connesse è uno tra i più noti e importanti intellettuali del novecento brasiliano : Gilberto Freyre. Come afferma il sociologo nella prefazione a O negro no futebol brasileiro – libro del giornalista Mario Rodrigues Filho considerato oggi un classico sul processo di formazione dell’identità e della cultura nazionale –, senza l’avvento del calcio, la samba e la capoeira sarebbero rimaste “particolarmente primitive, [mentre] la malandragem si sarebbe conservata interamente come un male o un’inconvenienza”13.
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Mario Rordrigues Filho, O negro no futbeol brasileiro, op. cit., p. 328.
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Ibid., p. 324.
A questa dinamica di “purificazione” hanno contribuito in modo particolare alcuni noti racconti su calciatori come Garrincha e Romario. Scrive di Garrincha Mario Filho, con un richiamo esplicito malandros del folcore: “Garrincha imitava quel personaggio di più di mille e una commedia, incanto di generazioni : lo scemo che non è scemo. Lo scemo che in realtà è eroe (…) Bastava che toccasse un pallone per trasfigurarlo”14. Garrincha lo scemo, l’uomo comune, l’eroe senza alcun carattere, diviene il folle e imprevedibile Garrincha. Un attaccante che, racconta ancora Mario Filho, in un match amichevole contro la Fiorentina era stato capace di “dribblare l’intera difesa italiana, incluso il portiere, per aspettare poi che il difensore tornasse e liberarsene definitivamente con un altro dribbling”15. È l’astuzia per l’astuzia di cui parlava Candido a proposito di Memorias de um sargento de Milícias, il gusto per l’imprevedibile che marca l’atteggiamento di chi fugge dagli schemi precostituiti, lasciando gli altri di stucco.
- Note de bas de page 16 :
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« Um príncipe do futebol muleque », O Globo, 13 settembre 1993.
Come quella di Garrincha, anche la figura di Romario – attaccante carioca che portò la seleção alla vittoria dei mondiali del 1994 – è stata costruita sulla falsariga del malandro. Così lo definiva un articolo apparso sul quotidiano O Globo il 13 settembre del 1993 : “irresponsabile, irriverente, irrequieto, dissoluto, egoista, esplosivo (…) Sembra il padrone del mondo. Talentuoso. Veloce. Cannoniere. Fuoriclasse”16. O ancora, lo stesso giornale, pochi giorni dopo : “l’indisciplinato, ribelle, irriverente bassottino (…) ha provato che la sua arte dentro il campo compensa i suoi eterni problemi e persino la sua poca voglia di allenarsi”.
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Ronaldo Helal, « Idolatria e malandragem : a cultura brasileira na biografia de Romário », in Pablo Alabarces (a cura di), Futbologías : fútbol, identidad y violencia en América Latina, Buenos Aires, Clacso, 2003, p. 9.
Come ha mostrato Helal, Romario oscilla sempre tra l’universo della norma e quello della sua rottura. Gli epiteti del discorso giornalistico rimandano inizialmente “ad una personalità negativa, in qualche maniera ripudiata dalla nostra società. Tuttavia, sorgono immediatamente dopo i tratti positivi della brasilianità (…) rinforzando il lato ludico, allegro, giovanile, ingenuo di Romario”. In questo modo, conclude Helal, i discorsi sulla figura di Romario finiscono col “glamourizzare la malandragem (…) costruendo un eroe i cui attributi rispecchiano ciò che essenzializziamo come tipicamente brasiliano”17.
Le analisi di Helal mettono bene in evidenza il rapporto tra la proiezione di quei significati della malandragem sedimentatisi nel corso del novecento nella letteratura e nella musica popolare e l’azione riconfigurante del discorso calcistico. In altri termini, ciò a cui assistiamo non è un banale prolungamento di figurestoricamente e culturalmente date dai primi domini al secondo, ma un processo di traduzione a doppio senso che porta, da un lato, alla risemantizzazione dello stile calcistico in chiave malandra e, dall’altro, alla riconfigurazione in termini euforici della malandragem stessa, che diviene morale, alla moda, glamour, stile di vita assumibile e socializzabile.
2. Un’arte del corpo (afrobrasiliano)
Sambisti, capoeristi, calciatori. In un modo o nell’altro, i più grandi esponenti della malandragem hanno tutti a che fare con uno strumento specifico : il corpo. Non si tratta di una coincidenza, ma di un nesso significativo che ritorna in molte altre descrizioni e metafore della malandragem.
Si pensi a espressioni come jogo de cintura – letteralmente gioco di bacino – il cui significato primo designa, citando ancora il Dicionário Houaiss della lingua portoghese, “l’elasticità fisica o la destrezza che rende possibile sfuggire al proprio avversario o di rubargli il pallone con un gioco di corpo, e che, in senso figurato, indica invece la “flessibilità di fronte a problemi o situazioni difficili, la capacità di non attenersi a modelli e schemi rigidi di pensiero e di comportamento”. In diverse occasioni jogo de cintura è stato adoperato come vero e proprio sinonimo di malandragem. Scrive ad esempio Roberto DaMatta in Esporte e Sociedade. Um ensaio sobre o futebol brasiliero, altro saggio cardine della riflessione accademica sullo calcio nazionale, la cui particolarità risiede, secondo l’autore, nell’uso dolce, agile, leggero e sinuoso del corpo – in una parola, nel jogo de cintura :
- Note de bas de page 18 :
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Roberto DaMatta, « Esporte e sociedade. Um ensaio sobre o futebol brasileiro », in R. DaMatta et alii (a cura di), Universo do futebol : esporte e sociedade brasileira, Rio de Janeiro, Pinakotheke,1982, pp. 28-29.
È chiaro che quando parliamo di jogo de cintura stiamo usando una metafora per la cosiddetta “arte della malandragem” (...). Con malandragem e jogo de cintura ci stiamo riferendo ad un modo di difesa autenticamente brasiliano, che consiste nel lasciar passare la forza avversaria, liberandosene con un semplice e preciso movimento del corpo. Invece di affrontare direttamente l’avversario, è sempre preferibile liberarsene con un buon gioco di corpo, ingannandolo in modo impalpabile.18
Come l’espressione jogo de cintura, anche il termine ginga è passato gradualmente dal designare un dato movimento del corpo – l’ancheggiare, l’oscillare dei fianchi e del bacino tipico della capoeira – a riassumere in toto la flessibilità esistenziale dei brasiliani. Il testo che meglio sintetizza tale evoluzione è una campagna pubblicitaria della birra Brahma, dal titolo, Brahma brings ginga to our consumers, creata nel 2005 in occasione del lancio del prodotto sul mercato europeo. Come afferma il comunicato stampa della Ambev,azienda produttrice del marchio, la ginga è anzitutto “il modo in cui i brasiliani camminano, si muovono e giocano a calcio”. Tuttavia, la pubblicità non ne restringe il significato alla sola sfera della corporeità. Continua infatti il comunicato :
- Note de bas de page 19 :
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http://www1.folha.uol.com.br/folha/bbc/ult272u40776.shtml (il 5 aprile 2015).
la Brahma vi offre il gusto della cultura brasiliana, una cultura in cui si affronta la vita con brio e senza sforzo o, come dicono i brasiliani, con ginga [...] ginga è un attitudine e uno stile di vita, fondato su una visione della vita ottimista e creativa.19
- Note de bas de page 20 :
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http://www.brahma.com/about (il 15 aprile 2015).
In un vecchio sito web della marca estero era possibile leggerne una descrizione del tutto simile, in cui si ribadiva come la birra fosse da sempre associata, in Brasile, “all’energia, alla passione e allo spirito creativo chiamato ‘Ginga’: una filosofia e un modo di vita brasiliano che combina la creatività e la genialità, per vivere la vita con stile e tranquillità”20. Dal corpo allo spirito, insomma. L’agilità, la flessibilità e la duttilità corporea del calciatore con ginga e jogo de cintura si fanno qui attitudine, disposizione, genialità e anticonformismo nel risolvere al meglio e in modo originale situazioni diverse e imprevedibili, logica dell’estemporaneo. Detto altrimenti, il termine acquista un valore che esula dal significato propriamente cinesico del gesto per tracimare e tradursi nel mondo della vita. Lungi dall’essere soltanto un modo di portare il corpo, la ‘ginga’diviene un modo di comportarsi, una morale, un’ideologia esistenziale. Un vero e proprio stile di vita.
“Improvvisa”. È questo lo slogan che portano in calce le immagini pubblicitarie della campagna Brahma. Uno degli annunci ritrae un cane legato a un paletto con la parte superiore di un bikini che scruta il mare dal marciapiede di Ipanema. In basso a destra : “Improvvisa. Una nazione in movimento”. Si intuisce, dunque, che la padrona ha trovato un modo alquanto ingegnoso e trasgressivo – in Brasile il topless nelle spiagge pubbliche è quasi un tabù – per tenere a bada il proprio animale (fig. 1). E gli altri manifesti della campagna non sono da meno.
Fig. 1. Immagine della campagna pubblicitariaBrahma brings ginga to our consumers.
- Note de bas de page 21 :
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Algirdas Julien Greimas (con la collaborazione di Jacques Fontanille), « Le beau geste », Recherches Sémiotiques/Semiotic Inquiry, 13, 1993. A Fontanille dobbiamo la forma definitiva dell’articolo.
Per usare un concetto introdotto da Greimas, siamo di fronte a una reiterazione coerente di “bei gesti”, a una catena di “micro azioni spettacolari” attraverso cui si attesta e si esibisce una morale singolare contraria alla morale sociale dominante. Un modo di agire e pensare fondato, al contempo, su di una dimensione etica, estetica e, soprattutto, estesica. Perché, come nota l’autore, “al momento dell’invenzione di una nuova morale succede che ad essere sollecitata sia la sola sensibilità, come se il bel gesto risultasse più da un modo di sentire le cose e di reagirvi che da una decisione e una valutazione e da un passaggio all’atto”21. Da questo punto di vista, così come il jogo de cintura,la filosofia della ginga promossa dalla Brhama ricorda molto la malandragem socialmente approvata di José Carioca, Garrincha, Romario, Amado e Piqeut, di cui la tendenza ad aggiustarsi e ammorbidire tutto ciò che è rigido e spigoloso evidenziata da Schwarcz costituisce il perno essenziale. Non è un caso, a tal proposito, che la bottiglia di birra disegnata per la nuova campagna promozionale sia interamente curva, un tratto plastico altamente significativo, che rima, rinforzandole, con l’elasticità e la flessibilità dei brasiliani nella vita quotidiana.
Ciò che sorprende non è tuttavia la relazione tra tali figure del corpo e i loro contenuti esistenziali, ma il fatto che essa ritorni in modo del tutto simile in testi afferenti a sfere discorsive apparentemente distanti, tra cui, ad esempio, il discorso accademico. Il testo di DaMatta sul jogo de cintura come metafora della malandragem è in tal senso indicativo, ma non è il solo. Si veda come il già citato Antonio Candido definisce la malandragem in un passo successivo del suo saggio :
- Note de bas de page 22 :
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Antônio Candido, op. cit., p. 44.
Un vasto e generale accomodarsi che dissolve gli estremi, rimuove il significato della legge e dell’ordine, manifesta la penetrazione reciproca dei gruppi, delle idee e delle attitudini più disparate, creando una specie di terra di nessuno in cui la trasgressione è appena una sfumatura nella gamma di toni che va dalla norma al crimine.22
- Note de bas de page 23 :
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Ibid.
Elasticità che, sostiene il critico letterario, sarebbe da ricondurre al processo di formazione di una socialità ibrida : “la socialità brasiliana si aprì con più facilità alla penetrazione dei gruppi dominati ed estranei. E acquistò in flessibilità ciò che perse in interezza e coerenza”23.
- Note de bas de page 24 :
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Gilberto Freyre, Brazil : an interpretation, New York, Knopf, 1945, pp. 88-89.
- Note de bas de page 25 :
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Gilberto Freyre, « Footbal Mulato », Diario de Pernambuco, 18 giugno 1938.
Tocchiamo qui un punto cruciale, rimasto finora in secondo piano. Se è chiaro, da un lato, che fuori e dentro il campo di calcio, nei saggi accademici o nelle pubblicità, la malandragem è anzitutto un’arte del corpo, è altrettanto evidente, d’altro canto, che il corpo che la incarna non è affatto un corpo qualunque. Al contrario, si tratta di un corpo ben preciso : il corpo meticcio, frutto del processo d’ibridazione delle diverse etnie e culture presenti sul territorio brasiliano, in cui, tuttavia, l’eredità africana sembra prevalere sulle altre. Lo si evince dai riferimenti utilizzati nei discorsi precedentemente analizzati : dalla samba, alla ginga, alla capoeira, abbiamo sempre a che fare con pratiche e corpi afrobrasiliani. La stessa origine dello stile calcistico nazionale è fatta risalire in tutti questi discorsi al corpo afrobrasiliano. Come scrive Freyre in un saggio del 1945, “è grazie ai brasiliani di sangue africano, così africani nella loro cultura, [che] il calcio brasiliano è diventato qualcosa di simile a una danza”24. O, come affermava pochi anni prima, in un articolo dall’emblematico titolo Football Mulato – riferendosi stavolta in modo esplicito alla malandragem – il segno più nitido “di quel mulattismo flamboyant e allo stesso tempo malandro che risiede oggi in tutto ciò che è affermazione vera del Brasile”25.
3. Da Garrincha a Niemeyer
Abbiamo visto come l’elasticità del corpo afrobrasiliano sia divenuta il simbolo di un preciso modo di vedere e affrontare la vita, della capacità di “dribblare” i problemi e inventare soluzioni con allegria, passione e creatività. Riassumendo, si potrebbe dire che questo percorso ha condotto, da un lato, a fare della ginga e del jogo de cintura una metafora della malandragem e dall’altro, a fare della malandragem una metafora della ginga e del jogo de cintura. In questo incessante andirivieni, tali figure hanno iniziato, insieme ad alcuni dei loro tratti distintivi – flessibilità, agilità, creatività, ecc. –, a creare ponti tra le diverse sfere della cultura nazionale.
- Note de bas de page 26 :
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Ibid.
Una delle prime connessioni a emergere, al di la di quella con la samba e la capoeira di cui abbiamo appena discusso, è quella tra calcio e politica, messa in luce per la prima volta da Gilberto Freyre in Football Mulato e ripresa anni dopo da DaMatta. Se per il primo il gioco malandro di Leonidas e degli altri giocatori della nazionale esprimeva lo stesso “mulattismo” di cui Nilo Peçanha – mulatto di origini umili che fu presidente della repubblica dal giugno del 1909 al novembre del 1910 – “fu la più grande affermazione in politica”26, per il secondo la malandragem è il principale trait d’union tra le due pratiche :
- Note de bas de page 27 :
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R. DaMatta, op. cit., p. 29.
Il buon giocatore di calcio, così come il politico sagace, sanno che la regola d’oro dell’universo sociale brasiliano consiste precisamente in sapersela cavare bene. In poter salvarsi nelle situazioni difficili, facendolo con un’elevata dose di dissimulazione ed eleganza (...). Come il buon politico, il malandro è quel “giocatore” capace di trasformare la sconvenienza in fortuna.27
Non si tratta, tuttavia, degli unici legami saldati dalle narrazioni su calcio, malandragem e brasilianità. Ce ne sono in realtà molti altri. Per descriverli ci serviremo di un testo esemplare : un breve video del Museu do Futebol, inaugurato a San Paolo nell’ottobre del 2008. Principale attrazione della cosiddetta Sala degli eroi, il filmato alterna fotografie di scrittori, musicisti, artisti e intellettuali a immagini di alcuni illustri calciatori brasiliani. Su questo sfondo di volti e vedute in bianco e nero, una voce fuori campo narra di come a scoprire il Brasile non sia stato il navigatore portoghese Pedro Alvares Cabral, ma alcuni eroi genuinamente brasiliani del ventesimo secolo. Tra questi, Oscar Niemeyer, l’architetto che con il complesso della Pampulha a Belo Horizonte diede corpo alla “prima visione del Brasile del futuro, un paese capace di fare poesia con curve di cemento” ; il pittore Di Cavalcanti, che comprese alla perfezione come “l’essere brasiliano risiedeva nei modi della mulatta” ; lo scrittore Jorge Amado e il sambista Noel Rosa, che sapevano bene come “essere brasiliani significasse abusare del diminutivo o arrivare in un bar e chiedere subito un caffè, chiacchierando animatamente e pieni d’intimità” ; e, ovviamente, gli ideatori del futebol arte, come Leonidas da Silva, il Diamante Nero, “che ha messo il calcio sottosopra e ha inventato la rovesciata”. L’elenco sarebbe in realtà ben più esteso. La lista di personaggi citati nel video è quasi sterminata. Tuttavia, ce n’è più che a sufficienza per provare a trarre qualche conclusione. A questo riguardo, è chiaro come da questa proliferazione di echi e connessioni emergano due precisi movimenti traduttivi.
In primo luogo, è possibile riconoscere una traduzione che potremmo definire orizzontale. Si tratta, per la precisione, di una strategia discorsiva che porta allo stabilirsi di una serie di equivalenze convenzionali tra calcio, architettura, letteratura, scienze sociali, pittura e musica. Come valeva per la politica, a connettere questi orizzonti sono i tratti distintivi della malandragem, che migrano senza sosta dall’uno all’altro : sinuosità, informalità, improvvisazione, astuzia, creatività, flessibilità. È ciò che Lotman soleva definire un’“esplosione di senso”, un procedimento, ovvero, che fa emergere e istituisce piani di traducibilità tra mondi teoricamente distanti, che pone e fa coesistere su di un unico livello elementi in apparenza inconciliabili.
- Note de bas de page 28 :
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http://www.museudofutebol.org.br/exposicoes/percurso-do-visitante/09-herois/ (corsivo nostro, il 10 ottobre 2013).
In secondo luogo, una traduzione di tipo verticale. Sintetizzando, possiamo dire che essa conduce dallo stile dei personaggi sopraccitati all’essenza stessa del carattere brasiliano. Come afferma la voce off del video, essere brasiliani è essere tutto ciò che gli eroi inventori del Brasile sono stati. Essere brasiliani è vivere con uno stile ben preciso, con flessibilità, ginga e jogo di cintura. Uno stile che essi, scavando nelle viscere della cultura nazionale, hanno saputo riscattare, contribuendo, come si può leggere sulla pagina del sito del museo dedicata alla Sala degli eroi, “alla costruzione dell’identità brasiliana : un Brasile meticcio, allegro e creativo che, nonostante la diseguaglianza, aveva il potenziale per essere una grande nazione”28.
- Note de bas de page 29 :
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Oscar Niemeyer, As curvas do tempo. Memórias, Rio de Janeiro, Revan, 1988, p. 10.
Ai fini della presente ricerca, è interessante notare, tuttavia, come gli stessi tratti distintivi elencati nel video siano stati scelti per circoscrivere e sintetizzare la natura della brasilianità al di fuori dei confini del discorso sul calcio. Si possono citare, a questo proposito, le parole di uno dei personaggi chiamati in causa dai curatori del museo : Oscar Niemeyer. Riflettendo sulla propria opera, l’architetto ricordava come ad attrarlo non fossero né l’angolo retto, né “la linea retta, dura, inflessibile, creata dall’uomo (…). Ciò che mi attrae – affermava – è la curva libera e sensuale, la curva che ritrovo nelle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde del mare, nel corpo della donna preferita”29.
Un’idea ampiamente visibile nei suoi progetti, come la chiesa del complesso della Pampulha di cui si parla nel video, o l’edificio Copan a San Paolo, e che è stata ripresa recentemente dell’ente per il turismo, l’Embratur, il cui ultimo logo, come la bottiglia della birra Brahma, è interamente dominato dalle curve.
Fig. 2. Le curve dell’architettura di Nimeyer e del logo dell’Embratur (ente brasiliano per il turismo).
La curva, dunque. La curva come sintesi, a un sol tempo, dello stile e del carattere nazionale. La curva dei fiumi e delle colline, dei dribbling di Garrincha e Romario, delle onde del mare, del passo fluttuante di sambisti e capoeiristi. La curva di Senna e la curva di Niemeyer. La stessa curva del malandro che ginga nella vita.
II. L’arte di arrangiarsi
1. Davide contro Golia
- Note de bas de page 30 :
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Gianni Brera, Il più bel gioco del mondo, Milano, BUR Rizzoli, 2007, p. 338.
Il giorno seguente alla conquista del mondiale del 1982 da parte della nazionale italiana guidata da Enzo Bearzot, Gianni Brera, tra i più importanti e pungenti giornalisti sportivi del Novecento, celebrava così su La Repubblica le gesta della squadra : “ora tu, cara vecchia smandrippata Italia, hai sfruttato appieno le virtù della tua indole, dunque della tua cultura specifica. Io triumphe avventurata Italia”30. Che significa? Cosa vuol dire giocare a pallone – vincere persino una coppa del mondo – sfruttando le doti della propria indole ? I pregi della propria specificità culturale ? E quale sarebbe il gioco che le esprime ?
- Note de bas de page 31 :
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Gianni Brera, Il mestiere del calciatore, Milano, Booktime, 2008, p. 35.
Sulla relazione tra identità calcistica e identità italiana Brera non ha dubbi : gli italianuzzi, come egli stesso amava definirli, non possono cedere a velleità artistiche. Né tantomeno pensare di sfidare i loro avversari sul piano atletico. Gente malnutrita da generazioni e, peggio ancora, senza un assetto etnico definito, l’unico gioco che questi “mezzo alpini e mezzo mediterranei”31 possono permettersi è il gioco di rimessa : chiudersi in difesa e provare a colpire il nemico in contropiede :
- Note de bas de page 32 :
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Gianni Brera, op. cit., 2007, p. 58.
Guardate il libro d’oro degli incontri tra Italia e Germania : in oltre mezzo secolo abbiamo perso due volte perché ci siamo illusi di poter anche noi impettire davanti ai todesch. Quando invece li abbiamo aspettati, incoraggiandoli a fare di noi un solo boccone, immancabilmente siamo riusciti a infilarli [...]. Perché può anche succedere che gli animosi teutoni si avventino ai poveri italianuzzi, e che questi miserelli, del tutto consci della propria inferiorità atletica, si tengano ben coperti e aspettino il momentino di uscir fuori per la randellata decisiva.32
Difendersi, aspettare, nascondersi e uscire allo scoperto quando il nemico meno se lo aspetta : ci sono in queste poche righe i principi basilari di quel modulo calcistico per cui l’Italia è stata – ed è ancora oggi – mondialmente conosciuta, e il cui nome si deve proprio a Gianni Brera : il Catenaccio. Non solo uno schema, ma una vera e propria attitudine mentale. Si lascia giocare l’avversario, lo si attende nella propria metà campo proteggendo la porta e infine, nel momento più opportuno e imprevedibile, si sferra il contrattacco decisivo. Una teoria del contro-gioco, una scienza dell’imboscata opposta allo stile brasiliano stereotipico, fondato sull’attacco costante e sulla creatività dei singoli.
- Note de bas de page 33 :
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Gianni Brera, L’abatino Berruti. Scritti sull’atletica leggera, Milano, Booktime, 2009, p. 318.
- Note de bas de page 34 :
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Gianni Brera, op. cit., 2007, pp. 307-330.
A interessarci non sono tuttavia le coordinate tattiche del catenaccio, quanto piuttosto i presupposti antropologici su cui si fonda e i modelli di cultura che ha contribuito a cristallizzare. Dietro i racconti che ne descrivono l’efficacia e le ragioni si cela infatti un edificio teorico complesso. In esso si incastrano dottrine razziali e visioni storiche, stereotipi sociali e filosofie di vita. Come afferma Brera, se è vero che calcio e cultura sono intimamente legati, sono due i motivi per cui gli italiani non possono e non devono intestardirsi nel giocare allo scoperto. In primo luogo, perché essi devono essere coscienti della propria condizione di inferiorità etnica : “in tanti secoli di fame e abiezione politica – scrive Brera in un testo pubblicato sul Guerin Sportivo il 17 settembre 1962 – il nostro animale (…) ha mangiato poco, ha contratto malattie, ha perso il collo e le gambe, ha dilatato oltre misura i fianchi e l’addome. Siamo brutti, oh quanto siamo brutti, e ci hanno sempre detto che siamo bellissimi, intelligenti, civili”33. In secondo luogo, perché né il campo né il pallone ammettono menzogne o mimetismi. A calcio non si gioca seguendo mode o tendenze. Né per soddisfare brame di bellezza. A calcio si gioca come si è. Sfruttando le virtù della propria indole e i pregi della propria specificità culturale. Che, nel caso dell’Italia, significa una cosa : giocare d’astuzia e opportunismo. Sono questi gli attributi che per Brera distinguono più di ogni altro la struttura profonda dell’italianità. Il gioco di straforo. La furbizia. La scaltrezza del trickster di fronte al gigante imponente. L’essere Ulisse contro Polifemo, Davide al cospetto di Golia. E riuscire sempre, in un modo o nell’altro, a cavarsela. “L’Italia – amava ripetere il cronista – non è capace di fare un gioco suo : sa fare il contro-gioco (…). Per indole siamo portati a difendere, a parare e rispondere (…). Tutte le grandi vittorie italiane sono dovute al contropiede, alla difesa in forze e al contrattacco veloce”34.
2. Uno stile “tipicamente” italiano
- Note de bas de page 35 :
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Davide Enia, Italia Brasile 3-2, Palermo, Sellerio, 2010, p. 18.
In uno spettacolo teatrale andato per la prima volta in scena nel maggio del 2002 e ripubblicato in tempi più recenti da Sellerio, l’attore e narratore siciliano Davide Enia spiega, sulla falsariga del racconto breriano, il modo in cui la nazionale italiana campione nel 1982 riuscì a sbarazzarsi, nei quarti di finale, di uno dei più temuti avversari : il Brasile di Socrates e Falção. Racconta Enia che per far fronte a quegli “extraterrestri calati dal cielo nella terra a insegnare ‘u giuoco del pallone a noiàutri[noi altri] comuni mortali”35, il tecnico Bearzot si affida…
- Note de bas de page 36 :
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Ibid., p. 72.
… all’unico teorema calcistico che conosce : “catenaccio”… che come ogni teorema possiede un corollario diretto : “contropiede” (…). Il contropiede si realizza prendendo in controtempo la squadra avversaria : mentre essa attacca le si ruba la palla e con immediatezza si rovescia il fronte dell’azione confidando nella velocità del contropiedista (…). L’Italia ha ottimi contropiedisti, segno dell’italica saggezza nell’ottimizzare sempre le energie : con una sola manovra d’attacco, e stando sempre in difesa, si possono addirittura vincere le partite correndo praticamente niente (…). Il massimo risultato con il minimo sforzo : l’Italia.36
- Note de bas de page 37 :
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Gianni Brera, op. cit., 2007, p. 331.
Le teorie di Brera riecheggiano con forza nelle parole di Enia : non importa se gli avversari sono più forti, più grossi o più bravi. Con astuzia, opportunismo e contro-gioco si può vincere qualsiasi partita senza neanche faticare più di tanto. Proprio come l’Italia del 1982, “una modesta entità calcistica [che] però, impostando partite difensive, può battere qualsiasi avversaria e legittimare i suoi successi con gli splendidi gol di Paolo Rossi”37. È interessante osservare come, in modo del tutto speculare a quanto avviene nelle cronache di Brera, questa maniera astuta e opportunistica di agire e stare in campo rappresenta per Enia l’epitome dell’Italia : il riflesso di un’atavica saggezza pratica che consiste nella capacità di raggiungere i più eminenti risultati con il minor dispendio di energie. E che, a sua volta, si configura come la conseguenza dei limiti etnici, ambientali, sociali e culturali del paese. Ora, c’è qualcosa in cui tutti questi elementi confluiscono dando vita a una forma dai contorni piuttosto definiti. Per capire però con cosa abbiamo esattamente a che fare sarà il caso di allargare ancora un po’ lo sguardo e soffermarsi su altri testi ancora, a iniziare dal libro dell’ex direttore del Corriere dello Sport e giornalista Sky Mario Sconcerti : Storia delle idee del calcio.
- Note de bas de page 38 :
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Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Milano, Baldini e Castoldi Dalai editore, pp. 93-94.
In un capitolo in cui cerca di svelare i perché del catenaccio, l’autore abbandona i ragionamenti tecnico-tattici per compiere un breve détour storiografico e tracciare connessioni tra gli stili calcistici nazionali e i contesti socio-culturali in cui sono emersi e cresciuti. La nazionale austriaca degli anni venti – afferma – incarna e sublima la voglia di rivincita di una grande nazione sconfitta. In tal senso è simile all’Ungheria di Puskás, che offre le sue migliori prestazioni proprio nel momento dell’invasione sovietica. Parallelamente, il calcio totale dell’Olanda degli anni settanta è l’espressione di un paese aperto e democratico, votato al rispetto per la differenza e all’eclettismo. E così via. Tutti casi che portano l’autore a concludere che la questione della corrispondenza tra modi di giocare e modi di vivere e comportarsi sia un “assunto quasi aritmetico (...). Se una nazione è felice, gioca un calcio felice. Una nazione triste gioca un calcio triste e spesso finisce per involversi”38.
Se questo è vero – se cioè i popoli giocano a calcio come vivono – è scontato, sostiene Sconcerti, che in Italia si affermasse nel secondo dopoguerra uno stile di gioco improntato sul difensivismo e sul contrattacco. Come per gli altri, anche qui l’equazione è “matematica”. In quegli anni, dice il giornalista, il paese è un ammasso di macerie e sfinimento :
- Note de bas de page 39 :
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Ibid., p. 96.
Quale calcio poteva nascere (…) se eravamo poveri e condannati all’opportunismo (…). Alla fine degli anni quaranta l’Italia è un popolo che si arrangia. Abbiamo tradito i tedeschi e siamo stati accettati dagli americani, che infatti ci hanno trattato come nemici. Abbiamo navigato nel mezzo, prendendo i colpi di due eserciti, cercando di sfuggire a due nemici senza riuscire a essere un alleato vero di nessuno (…). Se davvero il calcio esprime quello che un popolo è e sente in quel momento storico, è abbastanza naturale che nasca il difensivismo e si sviluppi da noi proprio il contro gioco, il calcio sorpresa, che prende alle spalle, un gioco algido e semplice da cui inizia un’avventura tecnica universale39.
- Note de bas de page 40 :
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Cfr. Gian Piero Brunetta, « Il cinema legge la società italiana », in AA.VV., Storia dell’Italia repubblicana, vol. II, Torino, Einaudi, 1995, pp. 781-844.
Ecco spiegato dove sfociano e si fondono l’astuzia e l’opportunismo che caratterizzano lo stile italiano di giocare al calcio. Da Brera, a Enia fino all’algebra di Sconcerti riaffiora e riecheggia attraverso i racconti sul calcio una delle “qualità” che da tempo riassumono la presunta essenza dell’italianità – e di cui forse il cinema ha fornito una delle rappresentazioni più lucide40: la cosiddetta arte di arrangiarsi.
Come riporta il dizionario Devoto Oli della lingua italiana, “l’arrangiarsi” è la dote di colui che riesce “a togliersi d’impiccio improvvisando o con mezzi di fortuna”, di chi sa “cavarsela da solo” e “industriarsi” in situazioni o momenti storici avversi. Come il catenaccio, l’arrangiarsi è stato più volte descritto, nel corso dell’ultimo secolo, come un’arte “difensiva” e “tipicamente italiana”. Si pensi, a questo proposito, a quanto scriveva Luigi Barzini – giornalista italiano radicato negli Stati Uniti d’America – nel suo classico Gli Italiani. Vizi e virtù di un popolo, pubblicato per la prima volta nel 1964 :
- Note de bas de page 41 :
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Luigi Barzini, Gli Italiani. Vizi e virtù di un popolo, Milano, Bur, 2008, p. 254.
i ragazzi poveri dei quartieri miserabili delle grandi città e i fanciulli affamati dei villaggi meridionali, che devono arrangiarsi, sanno ovviamente tutto quel che occorre sapere ancor prima di incominciare a parlare (…). L’italiano deve difendersi (…). La sicurezza di lui dipende (…) dalle sue capacità individuali e dalle sua innata astuzia41.
- Note de bas de page 42 :
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Al momento della sua morte l’autore è stato ricordato in alcuni dei più importanti quotidiani nazionali come il miglior interprete “dell’arte di essere italiani”. Cfr. Silvana Patriarca, L’italianità. La costruzione del carattere nazionale, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. VII.
Simbolo supremo di questo talento non sempre – come vedremo meglio a momenti – virtuoso è stato senza dubbio Alberto Sordi42. In particolare, la sua interpretazione di Rosario Scimoni detto Sasà, siciliano protagonista di un noto film diretto da Luigi Zampa, scritto da Vitalino Brancati e intitolato, guarda caso, L’arte di arrangiarsi (1954). Grazie alla furbizia e a una capacità di adattamento che degenerano spesso in un gattopardiano trasformismo, Sasà riesce ad affrontare e superare le più forti crisi politiche e economiche dell’intero novecento. Da convinto sostenitore della monarchia passa a militare nel partito socialista con la sola intenzione di sedurre una giovane donna, che tuttavia abbandonerà presto per sposarsi con una delle ragazze più ricche di Catania. Nonostante si proclami apertamente interventista, riesce a evitare la partenza per il fronte durante la prima guerra mondiale fingendosi pazzo e facendosi ricoverare in una clinica psichiatrica. Terminato il conflitto si ributta in politica per diventare, nell’ordine, fascista, comunista e democristiano. Finché capisce, dopo essere stato arrestato per traffico illecito di denaro, che rincorrere i partiti non paga : la vera svolta si realizzerà soltanto con la fondazione di un movimento tutto suo. Per dar corpo all’impresa compra un camioncino che usa come palco per i comizi. Le elezioni si rivelano però un fallimento. E così Sasà trasforma il piccolo furgone in una bottega ambulante di lamette da barba, che proverà a vendere su e giù per l’Italia spacciandosi per tedesco.
Non è il caso di ripercorrere qui l’evoluzione dei Sasà Scimoni nella storia del cinema italiano. Tuttavia, ricordare questa figura quasi archetipica ha qui un’utilità e un senso ben precisi. Essa riflette infatti la continua oscillazione tra vizio e virtù che, come nel caso della malandragem, ha segnato la maggior parte dei discorsi sul carattere nazionale italiano.
- Note de bas de page 43 :
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Silvana Patriarca, op. cit., p. 83.
- Note de bas de page 44 :
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Giuseppe Prezzolini, Codice della vita italiana, Firenze, La Voce, 1921, pp. 15-17.
Sin dagli albori dell’Unità si è riflettuto in maniera approfondita sulle implicazioni valoriali dell’italica arte di arrangiarsi. Come osserva Patriarca, per alcuni intellettuali di fine ottocento, come il napoletano Pasquale Turiello, si trattava di una scioltezza che dimostrava una scarsa propensione all’associazionismo (escluso ovviamente quello familiare) e una tendenza ad abusare della furberia43. Analogamente, in tempi un po’ più recenti, altri ritenevano che la vita pubblica dell’Italia si giocasse tutta sulla dicotomia tra fessi e furbi. È il caso di Giuseppe Prezzolini, che nel 1921 dedicava il primo capitolo del suo Codice della vita italiana a queste due categorie umane : l’“Italia va avanti solo perché ci sono i fessi. I fessi lavorano pagano, crepano. Chi fa la figura di mandare avanti l’Italia sono i furbi, che non fanno nulla, spendono e se la godono (…). Il furbo è alto in Italia non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l’italiano ha della furbizia stessa”44. E si potrebbero fare ancora molti esempi.
- Note de bas de page 45 :
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Carlo Fruttero e Franco Lucentini, « L’arte di arrangiarsi », in G. Calcagno (a cura di), Bianco, Rosso e Verde. L’identità degli italiani, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 10.
- Note de bas de page 46 :
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Ilvo Diamanti, « Il declino dell’arte di arrangiarsi » Enciclopedia Treccani (http://www.treccani.it/enciclopedia/la-societa-italiana_(XXI-Secolo)/.
- Note de bas de page 47 :
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Luigi Ceccarini e Ilvo Diamanti, « L'orgoglio di essere italiani. Nella crisi torna la coesione », La Repubblica, 1. maggio 2011.
Tuttavia, nel secondo dopoguerra, raccontano Fruttero e Lucentini, “l’arte di arrangiarsi sembrò per qualche tempo coincidere con spirito d’iniziativa, intraprendenza laboriosa, slancio di ricostruzione” ; gli italiani “nel caos e con le pezze al sedere” venivano descritti e si percepivano come un popolo di “indomiti, vitali, creativi, simpatici come gli scugnizzi di Sciuscià”45. In quest’ottica, come scrive Ilvo Diamanti sull’Enciclopedia Treccani, l’arte di arrangiarsi può essere concepita “come una competenza attiva e propositiva, soprattutto se legata alla creatività e alla voglia di fare, di intraprendere”. È l’idea degli italiani in quanto gente “dotata di grande capacità di adattamento e di innovazione”, che sa “affrontare le difficoltà esterne e i problemi interni, rialzandosi ogni volta”46. Una visione che le recenti narrazioni mediatiche sulla crisi sembrano aver nuovamente risuscitato. Nel novembre 2010 il talk show politico Ballarò mandava in onda un servizio dedicato interamente all’inventiva del popolo italiano, che di fronte alle difficoltà economiche riesce a cavarsela puntando sul low cost, sul baratto, sul bricolage e altre attività affini (e di esempi come questo se ne potrebbero fare a non finire). Poco tempo dopo, nel maggio del 2011, l’istituto di ricerca politica e sociale Demos inseriva la voce “arte di arrangiarsi” in una indagine sui pilastri dell’identità nazionale, la quale veniva indicata a sua volta come il tratto distintivo dell’italianità dal 28% degli intervistati, collocandosi al terzo posto nella graduatoria generale, alle spalle di “famiglia” e “patrimonio artistico”47.
- Note de bas de page 48 :
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« Anno nuovo, vecchio Chievo », La Gazzetta dello Sport, 7 gennaio 2002.
- Note de bas de page 49 :
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Buffon: in nazionale certezza del gruppo consolidato. Italia-Germania sempre una sfida speciale. http://www.lapresse.it/sport/calcio-serie-a/buffon-in-nazionale-certezza-di-gruppo-consolidato-italia-germania-sempre-sfida-speciale-1.421876 (5 aprile 2015).
- Note de bas de page 50 :
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G. Brera, op. cit., 2007, p. 238.
Le narrazioni calcistiche hanno contribuito in modo cruciale ad alimentare simili credenze. Di fatto, quella dell’italiano furbo, creativo e opportunista in bilico tra il bene e il male è una delle immagini che ritornano più spesso nel discorso calcistico italiano. L’ambiguità che lo avvolge è un segno prevalente. Le pagine dei giornali abbondano di commenti del genere : “antica mentalità italiota : prevalere d’astuzia con furbastri espedienti”48. Per raccoglierli non basterebbe un enciclopedia. Alla vigilia dell’amichevole con la nazionale tedesca disputatasi il 15 novembre 2013, Gianluigi Buffon, ad esempio, ha dichiarato : “fra le doti del popolo italiano c’è l’ingegno nel momento in cui ci si trova in difficoltà o quando si affronta un avversario sulla carta migliore. Furbizia e ingegno credo siano doti che vanno a braccetto”49. Parole che ricordano quelle di Gianni Brera, che il giorno dopo la nota semifinale vinta contro la Germania per 4-3 ai mondiali del 1970, scriveva : “i tedeschi sono proprio tonti : ecco perché li abbiamo sempre battuti. Nel calcio vale anche l’astuzia tattica, non solo la truculenza, l’impegno, il fondo atletico e la bravura tecnica”50. Se nel primo caso si cerca di evitare possibili malintesi sulla buona morale della furbizia associandola a un termine eticamente meno dubbio come ingegno, nel secondo l’ennesimo elogio del catenaccio si traduce nell’esaltazione del genio italiano e nella denigrazione della poca scaltrezza dell’avversario (del suo essere prezzolinianamente un po’ fesso).
- Note de bas de page 51 :
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G. Brera, Storia Critica del calcio italiano, Milano, Bompiani, 1975, p. 287.
Brera era cosciente del fatto che l’ideologia del primo non prenderle e poi sorprendere potesse essere fraintesa e scambiata per “una forma d’astuzia immorale”51. Era questo, dice, quel che gli aveva confidato Bruno Zauli, commissario straordinario della Federcalcio italiana dal 1958 al 1959. Ma lui lo aveva liquidato come un semplice abbaglio. Quale immoralità ci poteva essere in uno stile di gioco reso d’obbligo dalle condizioni psicofisiche di una gente afflitta e tormentata? Per riprendere Sconcerti, in mezzo a tante miserie l’opportunismo è una condanna di cui si fa virtù.
- Note de bas de page 52 :
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D. Enia, op. cit., 2010, p. 46.
- Note de bas de page 53 :
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Maurizio Crosetti, « La figurina simbolo del calcio italiano », La Repubblica, 10 luglio 2011.
- Note de bas de page 54 :
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Marco Ansaldo, « La lingua come arma una catena di offese ha fatto perdere le staffe al francese », La Stampa, 11 luglio 2006.
Le più o meno recenti storie dei mondiali hanno prodotto molti emblemi e miti di questa duplice valorizzazione della furbizia italiana. Per quanto riguarda la versione positiva, non si possono non citare il Paolo Rossi che segnò i tre gol di Italia Brasile 3-2 e il capitano della nazionale campione del mondo nel 2006 Fabio Cannavaro. Del primo è ancora Enia a offrire la descrizione che più di ogni altra incarna i precetti breriani : “Paolorrossi. Uno che non sa tirare di destro. E nemmanco di sinistro. Il colpo di testa non è il suo forte. Tiro al volo. Manco a parlarne. Non batte né punizioni né rigori. In partita Paolorrossi è come se non ci fosse. Anzi : è inesistente. Già. Inesistente. Ma come si può marcare chi non esiste ?”52. Il piccolo Rossi che non sa fare quasi nulla, che è sempre lì nascosto e non si fa vedere quasi mai e che però, quando meno te lo aspetti, spunta dal nulla per mettere la palla in rete. Del secondo scrive invece su La Repubblica Maurizio Crosetti : “il calcio all’italiana, che è storia e filosofia insieme, ha avuto in Cannavaro uno degli ultimi rappresentanti del suo senso più profondo, quello che Brera amava : il calcio dei tracagnotti brevilinei, capaci di far leva non solo sulle qualità, ma anche sui limiti, per trasformarli in virtù”53. Per quanto concerne invece la rappresentazione negativa il culmine è stato toccato con la provocazione di Marco Materazzi ai danni del capitano della Francia Zinedine Zidane durante la finale dei mondiali del 2006, seguita da un gesto, la nota testata di Zidane, che ha fatto il giro dei notiziari di tutto il globo. Mesi di condanne, giudizi e congetture i cui esiti si possono riassumere in un commento di Marco Ansaldo pubblicato su La Stampa ad appena due giorni dall’incontro : “il ‘caso Materazzi’ assomiglia alle barzellette in cui personaggi di paesi diversi affrontano a modo loro una situazione, poi arriva l’italiano e fa la figura del più furbo”54.
III. Due forme d’aggiustamento, due stili di vita
1. Sensibilità e valori profondi
Alla luce di quanto visto sinora, risulta evidente come tra malandragem e arte di arrangiarsi vi siano diversi punti in comune. Tuttavia, esistono allo stesso tempo alcuni scarti e differenze che le tengono a dovuta distanza.
Ciò che anzitutto emerge dal confronto tra le due forme di vita è il ruolo centrale che la dissimulazione e l’astuzia assumono per entrambe. Per quanto riguarda la prima, si ricordino le descrizioni di Freyre, DaMatta e Brera. Il calcio brasiliano, diceva Freyre in Football Mulato, è un’arte della dissimulazione, espressione della formazione sociale brasiliana. Specularmente, il cultore dell’arte di arrangiarsi si camuffa e si nasconde. Perché il suo piano abbia esito, è necessario che egli possa vedere senzapoter essere visto. Come gli italianuzzi breriani, che si tengono ben coperti prima di partire in contropiede. Come il Paolo Rossi inesistente e immarcabile del racconto di Enia o il Sasà Scimoni di Luigi Zampa, che ripetutamente si traveste e si trasforma.
Per quel che concerne invece l’astuzia, sia i racconti brasiliani che italiani danno risalto alla figura dell’atleta trickster, un po’ Davide e un po’ Ulisse, la cui sagacia riesce ad avere la meglio sulla forza e sul vigore dell’avversario. Come il DaMatta che sostiene che anziché lasciarsi attraversare e schiacciare dalla potenza del nemico, è sempre preferibile liberarsene schivandolo in modo impalpabile, Brera afferma che l’unica strategia vincente per i calciatori azzurri è assumere fino in fondo la propria inferiorità fisica e votarsi al difensivismo e alla sorpresa. Al pari del buon malandro, il buon artista dell’arrangiarsi è colui che riesce a tramutare la sconvenienza in fortuna.
Ciononostante, l’astuzia brasiliana diverge da quella italiana. La prima, si potrebbe affermare riprendendo la descrizione del malandro fornita da Antonio Candido, è un’astuzia quasi fine a se stessa, che si distingue per l’amore per il gioco in sé (l’astuzia per l’astuzia, la definiva il critico letterario) e il gusto per l’eccesso. L’immagine che ne esprime meglio la cifra è forse quella – offertaci da Mario Filho – di Garrincha che dribbla l’intera difesa della Fiorentina, incluso il portiere, per poi aspettare il ritorno dell’ultimo difensore, metterlo a sedere con un’altra finta e infilare la palla in rete. Essa è in primo luogo un’astuzia elegante, ludica, spesso superflua e narcisistica, che gode eternamente del proprio specchiarsi. Il malandro, per riprendere ancora la definizione di DaMatta, non è semplicemente colui che riesce a cavarsela nelle situazioni difficili, ma è chi lo fa con un’elevata dose di eleganza. Al contrario, l’astuzia italiana è dritta, lineare, senza fronzoli, diretta interamente all’obiettivo. “Il massimo risultato con il minimo sforzo”, diceva Enia a proposito dell’essenza dell’italianità.
Non solo. Mentre quella brasiliana è fondata su di una sensibilità corporea, l’astuzia italiana è il più delle volte associata all’intelletto e alla ragione. La malandragemdi cui parlano Gilberto Freyre, Mario Filho e DaMatta, abbiamo visto, è anzitutto un’astuzia del corpo. Non è un caso che a riassumerla siano figure come la “ginga”o il “jogo de cintura”o pratiche come la capoeira. L’avversario, sia esso un calciatore o una situazione imprevedibile, si supera sempre con un buon gioco di anche e di bacino. Lasciandosi guidare, per così dire, da un fiuto epidermico, dalle sensazioni a fior di pelle. In questo modo, come si è ribadito, la flessibilità del movimento si fa metafora dell’elasticità nell’affrontare la vita. D’altro canto, l’arte di arrangiarsi è invece un’astuzia di testa. Si tiene il nemico a distanza, lo si osserva e ci si adagia sulle sue mosse per poi rispondere nel modo più cinico e opportuno. La formula del catenaccio, usata per descrivere la necessità dell’approccio difensivistico tanto dentro il campo di gioco quanto nella quotidianità più ordinaria, è forse il simbolo più alto di questo fiuto intellettuale capace di garantire la miglior risposta possibile al gioco dell’avversario.
- Note de bas de page 55 :
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Eric Landowski, op. cit., 2005, p. 69.
Dinanzi a un tale diagramma di equivalenze e opposizioni, è possibile affermare, come avevamo anticipato, che malandragem e arte di arrangiarsi costituiscono due forme distinte di aggiustamento, inteso non soltanto come regime d’interazione, ma come un vero e proprio regime esistenziale. Entrambe si configurano infatti come stili di vita che fuggono da “leggi prestabilite e oggettivabili”, i cui cultori “preferiscono fidarsi del loro intuito, del loro fiuto, della loro capacità di sentire, sul momento stesso, in atto, i minimi particolari di una situazione o le disposizioni intime di coloro con i quali avranno a che fare e ad aggiustarvisi in modo improvviso, pronti a cogliere l’occasione al volto, a sfruttare il kaioros”55. Tuttavia, nel primo e nel secondo caso abbiamo a che fare con sensibilità e valorizzazioni differenti.
- Note de bas de page 56 :
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Gilberto Freyre, op. cit., 1938.
La malandragem, si potrebbe dire, è un aggiustamento estetico/ludico, che cura la forma tanto quanto il contenuto e si abbandona al piacere dell’interazione. A prevalere qui è l’intuizione sensibile, e la sensibilità con cui abbiamo a che fare è una sensibilità percettiva globale,che coinvolge la totalità dei sensi e del corpo. “Nel calcio come nella politica – scrive Freyre in un passo che sintetizza in modo chiaro tale concezione – [lo stile brasiliano] è segnato dal gusto per la flessione, della sorpresa, del ricamo, che ricorda passi di danza e di capoeira”56. Al contrario, l’arte di arrangiarsi è un aggiustamento pratico, che mira in primis al risultato. L’intuizione sulla quale si fonda è un’intuizione intellettuale, guidata da una sensibilità circoscritta, che si avvale essenzialmente della visione. Esemplare, a questo proposito, il ruolo di primo piano che Barzini conferisce allo sguardo nelle interazioni faccia a faccia tra italiani.
- Note de bas de page 57 :
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Luigi Barzini, op. cit., p. 256.
Anche quando conducono trattative sull’affare più insignificante, gli italiani devono guardarsi in faccia. Leggono negli occhi dell’antagonista (…) i segni della sua caparbia decisione o della sua segreta pavidità. Possono così stabilire quando è opportuno aumentare le pretese, quando è il momento di restare sulle posizioni, e quando invece è più prudente effettuare una ritirata.57
Riprendendo i due esempi utilizzati da Landowski, si potrebbe dire che la malandragem rimanda a una tipologia di aggiustamento simile a quella riscontrabile dell’interazione tra due o più danzatori, mentre l’arte di arrangiarsi rispecchia un tipo di aggiustamento analogo a quello delle tattiche di guerriglia, il cui interesse
- Note de bas de page 58 :
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Eric Landowski, op. cit., 2005, p. 58 (corsivo nostro).
è in particolare che esso consente, almeno in teoria, di incrementare l’economia delle risorse (…). Piuttosto che attaccare frontalmente, cercando di annientare il nemico programmando la dinamica omicida delle forze e delle controforze, oppure di neutralizzarlo attraverso una qualche strategia manipolatoria adeguata, una condotta militare ispirata a questo principio consisterebbe nel lasciare nella misura del possibile chel’avversario segua la propria inclinazione al fine di trarne vantaggio, precisamente aggiustandosia essa. (…) Se l’aggressore ci tiene ad avanzare, che gli si lasci il campo libero e che avanzi pure, come Napoleone nelle pianure della Russia.58
2. Composizioni plastiche e figurative
Le differenze tra malandragem e arte di arrangiarsi non riguardano tuttavia soltanto il livello profondo delle valorizzazioni semantiche e delle competenze estesiche su cui esse si fondano. Vi sono al contempo divergenze più superficiali, che concernono le loro configurazioni plastiche e figurative.
Seguendo le riflessioni di Floch sull’opera dello storico dell’arte Henrich Wölfflin, è possibile ricondurre tali contrasti entro l’opposizione tra stile classico e barocco e affermare che la malandragem può essere considerata a tutti gli effetti un arte barocca, mentre l'arrangiarsi si presenta come un arte essenzialmente classica, con, tuttavia, un contrappunto barocco. Se ripercorriamo brevemente le cinque coppie categoriali su cui si fonda la distinzione tra queste due forme estetiche e le usiamo come lenti per rileggere le conformazioni plastiche (topologiche, eidetiche, cromatiche) e figurative (relative alle immagini utilizzate per riassumerle) che emergono dalle narrazioni sui due stili di vita, ci accorgeremo meglio del perché.
- Note de bas de page 59 :
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Jean-Marie Floch, Les formes de l’empreinte, Périgueux, Fanlac, 1986.
- Note de bas de page 60 :
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Pier Paolo Pasolini, « Il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e prosatori », Il Giorno, 3 gennaio 1971.
La prima differenza tra classico e barocco ha a che vedere con il ruolo svolto dalle linee e dalle masse. Nello stile lineare classico, afferma Floch “tutto ciò che si vede è definito da linee, mentre nello stile pittorico (che corrisponde al modo di vedere barocco) è composto da masse. Il classico privilegia la purezza e la palpabilità delle forme, il barocco, invece, si ingegna affinché le forme si compenetrino le une alle altre, si allaccino e si confondano”59. Pare essere il caso del calcio e della malandragembrasiliana. Si pensi a figure come la ginga e del jogo de cintura, da cui prende vita un incedere ellittico e indeterminato, o, ancora, ai dribbling zigzaganti di Garrincha, dai quali emerge, sotto il profilo della conformazione plastica, uno spazio pieno e indefinito, percorso da corpi in continuo movimento e costante trasformazione. Al contrario, nel modello di gioco e di cultura italiana sembrano prevalere composizioni geometriche più nitide e spigolose, come angoli e rettilinei. Come sostiene Pasolini in un noto articolo sul calcio come linguaggio, “per ragioni di cultura e storia”, i brasiliani giocano “in poesia”, secondo uno schema che privilegia il dribbling individuale e le “discese concentriche” verso la porta avversaria, mentre gli italiani giocano “in prosa”, compiendo “triangolazioni” e “geometrizzazioni”60. È l’estetica (o l’anti-estetica) del catenaccio di cui Brera celebra le sorti, sintetizzata perfettamente nelle figure della catena e della randellata decisiva, del colpo che senza indugi arriva dritto al bersaglio (gli italianuzzi che consci della loro inferiorità “si tengono ben coperti e aspettano il momentino di uscir fuori per la randellata decisiva”). È tracciando una precisa “linea d’azione” che l’italiano, scrive Barzini, riesce sempre a cavarsela.
- Note de bas de page 61 :
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Jean-Marie Floch, op. cit., 1986.
La seconda distinzione concerne lo spazio : contrariamente al classico, che sceglie una rappresentazione per piani “distinti e frontali”, il barocco “privilegia la diagonale e la brusca riduzione delle grandezze dovuta alla prossimità immediata del punto di vista”61. È ciò che avviene in Brasile, dove le movenze tondeggianti e ondeggianti del malandro restituiscono l’immagine di un campo d’azione che, come un elastico, si allarga e improvvisamente si restringe, di un volume curvilineo, ellittico, identico al corpo della bottiglia di birra Brahma. Diversamente, la condotta degli italiani si gioca tutta sulla frontalità, sull’attesa orizzontale dell’attacco avversario e sulla verticalità del contropiede.
Ma classico e barocco, arte di arrangiarsie malandragem, si distinguono anche per la diversa maniera di inquadrare e disporre i propri elementi. Nella prima, prevale la forma chiusa. La metafora del catenaccio esprime in modo netto e preciso, sul piano figurativo, l’idea di questo spazio impenetrabile, difficile da attraversare. Nella seconda domina l’apertura : l’azione non ha limiti e oltrepassa spesso e volentieri i confini del proprio obiettivo, perdendosi nel ricamo e nel superfluo.
- Note de bas de page 62 :
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Cfr. Ana Claudia de Oliveira, « Oxente, São Paulo, a capital do Nordeste ! L’orgoglio e il sentimento della diversità brasiliana nella sfilata della Acadêmicos do Tucuruvi », in Isabella Pezzini e Vincenza Del Marco (a cura di), Passioni collettive. Cultura, politica e società, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2012.
Come nelle rappresentazioni classiche, nello stile italiano ritroviamo un’idea di molteplicità ordinata dove il tutto è articolato e in cui, nell’articolazione generale, ogni cosa ha un ruolo determinato. La logica è lineare e i rapporti sono di causa e effetto : l’arte di arrangiarsi nasce da una condizione precisa – la malnutrizione e la miseria a cui gli italianuzzi devono far fronte nel dopoguerra – e a calcio si gioca consci della propria inferiorità, avendo ben chiari i propri limiti e la propria posizione in campo, demarcata, precisa, come vuole Santo Catenaccio. Nello stile brasiliano si afferma invece l’idea barocca di un’unità assoluta, in cui la distinzione tra gli elementi tende a svanire in favore dell’affermazione di un motivo più generale. Sono le discese concentriche indistinguibili di cui parla Pasolini. È la malandragem a cui si riferisce Antonio Candido, la cui genesi rimanda, sotto l’aspetto figurativo, all’immagine di un grande calderone – “un vasto e generale accomodarsi che dissolve gli estremi [e] manifesta la penetrazione reciproca dei gruppi” –, in cui riecheggia e attraverso cui si rifrange l’idea del meticciato, del Brasile in quanto totalità integrale che riassume, a un livello superiore, le sue singole diversità62.
- Note de bas de page 63 :
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Jean-Marie Floch, op. cit., 1986, p. 56.
La quinta e ultima coppia di categorie riguarda infine la luce. Mentre il barocco si fonda su di una chiarezza relativa in cui prevale il senso dell’evento luminoso – una “luce di cielo temporalesco proiettatasul sole, dove si riflette in macchie isolate ; raggi che scendono dall’alto di una chiesa e si frantumano contro le pareti ele colonne”63 – il classico produce una chiarezza assoluta, in cui tutto è nitido e uniforme. E qui le cose si complicano un po’. Sia nella malandragem che l’arte di arrangiarsi si afferma infatti una luminosità barocca intensa e asimmetrica, fatta di barlumi e accelerazioni. Ritroviamo in entrambe un sistema plastico-figurativo pervaso da un’oscurità di fondo – il nascondersi, la dissimulazione – aperta a sua volta da improvvise fiammate. Sono gli abbagli improvvisi di Freyre, il mulattismo flamboyant che squarcia i campi di gioco e che risiede in tutto ciò che è “affermazione vera” del Brasile. È l’immagine del catenaccio come metodo difensivista di costante copertura che abbiamo più sopra ricordato. Si rimane al buio e si esce allo scoperto per infliggere in men che non si dica il colpo decisivo. Da questo punto di vista, la figura della randellata più sopra ricordata si traduce luminosamente nell’immagine del baleno. Entrambe ripropongono sul piano aspettuale l’idea di un apice, di un’intensità forte e di una rapidità estrema.
Quest’ultimo punto relativo alle forme e alle figure della luce costituisce dunque il contrappunto barocco dell’arte di arrangiarsi, come schematizzato nella seguente tabella :
Elementi plastici |
Elementi figurativi | |
Malandragem |
Barocco -masse -curve -ellissi -forme concentriche -apertura -oscurità -illuminazioni improvvise |
Barocco -ginga -jogo de cintura
-calderone
-fiammate |
Arte diarrangiarsi |
Classico angoli e spigoli -linee rette -triangolazioni -orizzontalità/verticalità -chiusura |
Classico
-catenaccio
|
Contrappunto barocco -oscurità -illuminazioni improvvise |
Contrappunto barocco -randellate -baleni |
IV. Al di là dei stili e delle forme di vita, il regime di senso
- Note de bas de page 64 :
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Eric Landowski, op. cit., 2011, p. 8.
Scrive Landowski che i regimi di senso e interazione possono essere intesi, sotto una determinata prospettiva, come maniere, allo stesso tempo, “de faire et d’être, de penser et de sentir”64. Detto altrimenti, come vereeproprie forme di vita.
Mutuato dalle Ricerche Filosofiche di Ludwig Wittgenstein, in cui era utilizzato per riaffermare la centralità delle pratiche e dei codici della vita quotidiana nella costruzione e nel fissaggio dei significati linguistici, il concetto di forma di vita è stato spesso adoperato, in ambito semiotico, per indicare una configurazione etico-pratica intesa insieme come “filosofia di vita, atteggiamento del soggetto e comportamento schematizzabile”, come scriveva Greimas nel già citato articolo “Le beau geste”. In questo studio seminale sulla nozione di forma di vita in quanto oggetto semiotico, il “bel gesto” viene definito come un atto spettacolare tramite cui si attesta e si esibisce una morale singolare contraria alla morale sociale dominante. Il semiologo citava ad esempio di tale affermazione il gesto sprezzante di un cavaliere che dopo aver accettato la sfida della sua dama ed essersi recato a recuperarne il guanto in una fossa di leoni decide infine di gettarglielo sul viso o, ancora, l’ironica supplica di Alfred Jarry, che in punto di morte chiede come ultima volontà che gli venga offerto uno stecchino. Secondo Greimas e Fontanille, si ha a che fare in casi del genere con azioni che condensano forme di vita complesse, con gesti inusitati carichi di grande potenziale espressivo che rimandano, a loro volta, a sistemi di valori e credenze più grandi e articolati.
- Note de bas de page 65 :
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Gianfranco Marrone, Il discorso di marca. Modelli semiotici per il branding, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 149.
Perché si dia forma di vita, un gesto isolato – poco importa se bello o brutto – non è tuttavia sufficiente. Al gesto compiuto in un certo contesto devono seguire in altri contesti gesti distinti fondati sulla medesima assiologia. Non basta chiedere uno stecchino come ultimo desiderio se prima non si è vissuta una vita da Alfred Jarry, votata fino in fondo alla celebrazione dell’assurdo. La forma di vita non emerge mai da un’unica azione, né può essere circoscritta esclusivamente ad una sola sfera pratica. Come nota Gianfranco Marrone, perché una forma di vita si realizzi, è necessario al contrario che un soggetto o un gruppo di soggetti selezioni una precisa categoria semantica (o una serie coesa di categorie semantiche) “e la ponga come dominante all’interno della propria organizzazione esistenziale”65. Si tratta insomma di individuare un codice valoriale e di osservarlo e metterlo in pratica con coerenza e dedizione, indipendentemente dalla natura e dalla specificità delle situazioni in cui ci si viene a trovare o dei problemi ai quali si è chiamati a rispondere.
- Note de bas de page 66 :
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Cfr. Eric Landowski, « Régimes de sens et styles de vie », Actes Sémiotiques, 115, 2012 (https://www.unilim.fr/actes-semiotiques/2647). Non entreremo qui in diatribe terminologiche poco fruttuose su quale delle due espressioni sia più adeguata sotto il profilo semiotico. Al di là delle singole scelte terminologiche, ci interessa mostrare la specificità del punto di vista semiotico sul tema. Ragion per cui abbiamo utilizzato qui le diciture “forma di vita” e “stile di vita” come sinonimi. La discussione, però, è aperta e decisamente attuale. Nel momento in cui scriviamo siamo infatti venuti a conoscenza dell’imminente uscita del nuovo libro di Jacques Fontanille, intitolato appunto Les formes de vie, Liège, Presses universitaires de Liège, 2015.
Pur non utilizzando l’espressione “forma di vita” – preferendogli molto spesso quella di “stile di vita” – è a partire dai presupposti appena esposti che Landowski propone di ripensare i regimi di interazione come categorie esistenziali66. Ragionando in questi termini, l’incidente, l’aggiustamento, la programmazione e la manipolazione possono e devono essere intesi non solo come dinamiche interazionali, ma anche come dominanti semantiche di altrettanti modi di essere e fare, di agire, pensare e sentire. È quanto accade nell’arte di arrangiarsi e nella malandragem. In entrambi i casi, l’aggiustamento si impone come valore fondamentale di un preciso “stile di condotta” e di una determinata “tournure d’esprit”, la cui cifra risiede nella capacità – e, almeno nel caso della malandragem, nel gusto – di adattarsi e far fronte a situazioni complesse ed eventi imprevisti.
Tuttavia, l’analisi dei due stili/forme di vita evidenzia anche qualcos’altro. Per la precisione, il fatto che uno stesso regime di senso e interazione inteso in quanto stile/forme di vita – o viceversa, uno stile/forma di vita inteso come regime di senso e interazione – può presentare sfumature e modulazioni diverse, sia per quel che riguarda le strutture semantiche profonde, sia per ciò che concerne le configurazioni plastiche e figurative di superficie.
Come abbiamo potuto osservare, sotto il profilo valoriale, l’aggiustamento della malandragem è un aggiustamento a dominante estetico/ludica. Al livello plastico prevalgono curve e ellissi, forme aperte e masse indistinte (estetica barocca), riscontrabili nelle figure utilizzate per descriverlo, figure di un corpo sinuoso, in perenne movimento, danzante. D’altra parte, l’arte di arrangiarsi è un aggiustamento a dominante pratica, in cui spiccano linee, angoli e forme chiuse, assetti orizzontali squarciati da verticalità fulminee e impreviste (estetica classica con contrappunto barocco), espresse in maniera esemplare dalla figura del catenaccio.
- Note de bas de page 67 :
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Gianni Brera, op. cit., 1975, p. 137.
Non solo. Malandragem e arte di arrangiarsi rivelano allo stesso tempo come entro un medesimo regime possono affermarsi competenze estesiche e passionali diverse : se nel primo caso abbiamo a che fare con un sentire legato alla totalità dei sensi e del corpo, nel secondo è una sensibilità visiva e prospettica a condurre le interazioni dei propri protagonisti. Specularmente, mentre il malandro agisce con allegria, sentendo un certo piacere in quello che fa – vivere la vita con allegria, brio e senza sforzo, sosteneva la pubblicità della birra Brahma –, l’artista dell’arrangiarsi si muove con distacco e cinismo– vinciamo, e “al diavolo l’estetica”, avrebbe detto Gianni Brera67.
Provando a sintetizzare, il regime/stile/forma di vita dell’aggiustamento messo in scena dalla malandragem e dall’arte di arrangiarsi si costruisce su quattro dimensioni fondamentali : una dimensione etica (che predica in entrambi i casi la rivalsa del debole nei confronti del più forte) ; una dimensione estetica (l’estetica barocca brasiliana e l’estetica classica con contrappunto barocco italiana) ; una dimensione estesica (una sensibilità totale nel primo caso e una più circoscritta, limitata alla visione, nel secondo) ; una dimensione passionale (l’allegria del malandro contrapposta al cinismo dell’artista dell’arrangiarsi).
Tali indicazioni aprono nuovi orizzonti teorici. Pensare i regimi come categorie esistenziali – come stili di condotta e tournure d’esprit, per riprendere le definizioni di Landowski – obbliga a ragionare, oltre che sulle loro caratteristiche narrative – sintassi dell’interazione, presenza/assenza di oggetti di valore, competenze modali o estesiche – sulle forme della loro manifestazione, a partire dalle loro composizioni plastico-figurativa.
Come qualsiasi oggetto semiotico, l’interazione – nel nostro caso, l’interazione condotta sulla base di una certa maniera di fare, sentire e pensare – è studiabile soltanto in quanto manifesta, espressa, cioè, attraverso precise forme e sostanze espressive. Non si tratta di elementi accessori, ma di componenti essenziali le cui variazioni possono mutare il senso profondo dell’interazione stessa. Aggiustarsi per vie curve e ellittiche, abbiamo visto, è cosa diversa dall’aggiustarsi in linea retta. Ed è proprio a partire dalle curve, dalle ellissi e dalle linee – così come dalle loro articolazioni con altre forme e figure – che siamo in grado di affermare, a un livello più astratto, che un medesimo stile di vita ha seguito, in Brasile e in Italia, percorsi valoriali diversi (ludico/estetico da un lato e pratico dall’altro). Non è soltanto una questione di stile, ma un questione identitaria, che riguarda le dinamiche di costruzione delle soggettività in gioco – nel nostro caso, la costruzione di due modelli stereotipici di cultura e identità nazionale che ancora oggi paiono resistere e perpetuarsi. A tali problematiche la semiotica deve dedicare tutte le sue attenzioni.