La comunicazione politica populista
corpo, linguaggio e pratiche di interazione
Pierluigi Cervelli
Università di Roma La Sapienza
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Mots-clés : actant collectif, corps (politique), populisme, présence, représentation, vêtement
Auteurs cités : Marco BELPOLITI, Erving GOFFMAN, Algirdas J. GREIMAS, Eric LANDOWSKI, Lynda De MATTEO
Introduzione
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Cfr. Andrea Sarubbi, La Lega qualunque. Dal populismo di Giannini a quello di Bossi, Roma, Armando Editore, 2005.
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Il nuovo partito proponeva, col termine « federalismo », la costituzione di una repubblica federale con tre entità distinte, di fatto autonome, su base territoriale : il nord, il centro e il sud Italia.
L’affermazione di partiti e movimenti « populisti » in Italia è piuttosto recente. Le prime riflessioni di studiosi e osservatori che iniziano a impiegare apertamente questo termine appaiono con l’affermazione della Lega Nord (d’ora in poi Lega), nel 19921. Si tratta di un movimento politico regionale radicato nella Lombardia e nel Veneto e diffuso in tutto il nord Italia, dagli obiettivi politici poco chiari (oscillanti fra federalismo e secessionismo2), non ascrivibile immediatamente alla destra o alla sinistra dello schieramento politico e con obiettivi polemici molto evidenti (e anch’essi in linea con la retorica populista) : tutta la classe politica esistente, considerata come una massa indistinta a cui si oppone la propria novità, giocando sulla tematizzazione dell’inesperienza come virtù (come ha sintetizzato Eric Landowski nel testo di presentazione che ha dato origine a questo dossier).
Come altri movimenti « populisti » la Lega si afferma nel momento di una crisi fiduciaria generalizzata verso i partiti che avevano costituito il cosiddetto « arco costituzionale » (l’insieme dei partiti democratici presenti in parlamento dalla creazione della repubblica), dovuta allo svelamento da parte della magistratura italiana di un sistema di corruzione organizzato ed esteso ai massimi livelli della politica nazionale.
Il ricorso alla novità non può bastare, almeno da solo, per spiegarne il consenso, anche perchè oltre ad essa, in Italia, sono stati nel tempo vari i partiti che hanno giocato, nel tempo e con sfumature diverse, sul tema del « nuovismo » : certamente Forza Italia (Berlusconi), ma anche il Pd di Veltroni, e più recentemente il Movimento 5 stelle (d’ora in poi M5S) di Grillo.
I commentatori ed i politologi che si sono occupati della Lega Nord raramente hanno ravvisato queste continuità. Considerando i tradizionali criteri socio-politologici la Lega è stata avvicinata al movimento italiano conservatore dell’Uomo qualunque, affermatosi dal 1948 alla fine degli anni cinquanta del ’900. Sono state sottolineate le affinità nell’uso del dialetto e nel turpiloquio, nella denigrazione degli avversari, ma scarsamente marcate le profonde differenze fra i due movimenti, a nostro parere rinvenibili considerando le strategie di costruzione di una presenza sensibile e di coinvolgimento estesico del proprio elettorato.
Secondo noi sono proprio questi modi di « fare politica », che producono l’effetto, pur in assenza di un messaggio ideologico e di un programma politico chiari, di una « distance par rapports aux mœurs, au langage, à l’esprit même des sphères politiques établies » (come afferma Landowski nel testo succitato) che ha definito la Lega e motivato l’adesione dell’elettorato. Fra le varie strategie, è intorno a quelle di messa in visibilità del corpo (principalmente attraverso l’abbigliamento, e più occasionalmente il modo di parlare e comportarsi) e a quelle conseguenti di interazione col proprio elettorato, che questo contributo intende soffermarsi.
Le strategie che considereremo si declinano attraverso due modalità principali : la valorizzazione di modalità estesiche di contatto e di presenza col leader e la messa in atto di peculiari regimi di interazione fra i membri, coerenti col riferimento a specifici ruoli tematici di elettore / sostenitore. Ci sembra che attraverso queste modalità la Lega abbia costituito, in modo inedito, il proprio partito come un « corpo » collettivo, differenziandosi dagli altri partiti ad essa concorrenti al momento della sua prima affermazione elettorale.
A livello semionarrativo la specificità comune di queste modalità ci sembra rinvenibile nel tratto comune di perdita della figura del destinante e di conseguenza di costruzione di un contratto fiduciario fra elettori e partito / leader di riferimento. Ad una manipolazione basata sullo scambio, e dunque su ruoli ineguali fra destinante e destinatario, si sostituisce in questo modo una presunta analogia immediata di tipo sensibile, interazionale, e somatico, da cui deriverebbe « l’effetto di prossimità immediata » indicato da Landowski come uno dei tratti della comunicazione populista.
1. Dalla rappresentazione alla presenza
1.1. Pratiche vestimentarie
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Cfr. Max Ottomani, Brigate rozze. A nord e sud del Senatore Bossi, Napoli, Pironti, 1992 ; Marco Belpoliti, La cannottiera di Bossi, Parma, Guanda, 2012.
La Lega con il suo leader, Umberto Bossi — le cui tattiche di visibilità ci serviranno come esempio di riferimento — è arrivata nel parlamento italiano nel 1992. Il nuovo movimento si è subito distinto per la violazione deliberata dell’etichetta parlamentare (fissata nei regolamenti ufficiali) relativa all’abbigliamento : alcuni neo-senatori si presentarono in parlamento senza cravatta (a loro dire per errore), mentre altri rifiutarono apertamente di indossarla. Uno di essi si era presentato indossando un pendente texano di cuoio. Per comportamenti come questi i « leghisti » (come si definivano ed erano denominati i membri del nuovo movimento, in analogia con comunisti, socialisti ecc. senza tuttavia designare alcuna ideologia di riferimento) erano qualificati come « nuovi barbari » dalla stampa e da molti commentatori. Giornalisti ed esperti di media hanno molto riflettutto su questi comportamenti iniziali3. Le interpretazioni proposte cercavano di spiegare, senza tuttavia analizzarne il senso, la motivazione di questi comportamenti sulla base di elementi molto eterogenei : il cambiamento di classe sociale al potere (l’ascesa della piccola borghesia imprenditoriale del nord Italia, che si era fabbricata il suo partito in un universo ormai post-fordista e post-guerra fredda) ; la decadenza del meccanismo di selezione / cooptazione dei quadri dirigenti nei partiti tradizionali ; la perdita del linguaggio colto e della compostezza della classe politica. Ma il punto di partenza di tutte le riflessioni era generalmente lo stesso : la trasandatezza dei membri della Lega Nord, manifestata prima di tutto nel vestire.
Come ha scritto emblematicamente uno dei primi giornalisti ad occuparsi della Lega Nord :
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M. Ottomani, op. cit., p. 69.
la cravatta dei bossiani ha il nodo fatto male ed è sempre storta, come del resto il colletto della camicia (...). Il messaggio, come si diceva una volta, è duplice, e ricalca in pieno quello trasmesso dall’immagine del Capo : siamo gente perbene, e per questo ci mettiamo la cravatta, ma siamo anche gente che lavora e non ha tempo di ammirarsi allo specchio, ed ecco perché la teniamo storta. La scarsa cura della persona, immolata sull’altare della frenesia lavorativa, ci conduce a un aspetto chiave del leghismo, il suo fondamentale calvinismo : il valore dell’individuo si misura dalle opere.4
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Cfr. Lynda De Matteo, L’idiota in politica. Antropologia della Lega Nord, Milano, Feltrinelli, 2011, p. 86.
Con l’arrivo dei parlamentari della Lega anche le consuetudini linguistiche si ruppero definitivamente, con l’uso di toni aggressivi e gesti volgari (in parlamento e fuori), degli insulti, delle parolacce. Tutte pratiche impensabili in parlamento prima del loro arrivo5.
In quale modo le pratiche messe in atto dal nuovo movimento politico avevano dunque provocato l’effetto di senso di una rottura con i modi tradizionali di presentare il corpo nel sistema politico italiano ?
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Come nota Marco Belpoliti, l’opposizione in questo caso era con l’uso politico del corpo di Mussolini durante il fascismo, « esposto » e ripreso in pose statuarie, nelle attività ginniche, a torso nudo nella raccolta del grano o in costume da bagno. Cfr. Marco Belpoliti, Il corpo del capo, Parma, Guanda, 2009.
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Si tratta di Giovanni Spadolini, ex presidente del Consiglio e del Senato negli anni ’80 del secolo scorso.
Dalla creazione della Repubblica democratica dopo la fine della seconda guerra mondiale i politici italiani non avevano quasi mai mostrato il loro corpo6. Lo hanno al contrario messo in secondo piano e lo hanno vestito con le modalità rituali dell’eleganza e della formalità, dell’austerità : i colori delle cravatte e degli abiti erano scuri, ed erano differenziati secondo il tono per la sera o la mattina, almeno secondo le indicazioni di uno dei maestri dell’eleganza parlamentare7. I giornali inoltre si soffermavano sui particolari dell’abbigliamento degli uomini politici : una cravatta troppo colorata, una giacca particolare, diventavano oggetto di attenzione, e questo era segno di una etichetta vestimentaria altamente costrittiva. La messa in scena del corpo era codificata rigidamente e gli scostamenti diventavano significativi : si trattava di fuoriuscite dal canone della medietà e della misura che aveva definito l’uso politico del corpo per un quarantennio, dall’inizio della Repubblica fino alla fine degli anni ’80.
Per questo l’elezione di una famosa attrice di film pornografici, Ilona Staller, col movimento dei Radicali nel 1987 aveva destato un grosso scandalo proprio perché violava platealmente i succitati canoni di medietà, collocando in un parlamento di corpi oscurati una persona che aveva fatto del proprio corpo l’oggetto di una messa in visibilità totale. Certamente era il modo provocatorio in cui il movimento dei radicali desacralizzava la classe politica italiana mettendone in discussione i concetti di moralità e pudore.
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Si tratta della trasmissione Fahrenheit, in onda su radiotre (radiotre.rai.it), nel 2015.
L’immagine del leader Umberto Bossi, apparso in televisione in canottiera è sembrata l’espressione più tangibile di questa rottura secondo molti osservatori e studiosi. Marco Belpoliti considererà emblematica questa immagine di Bossi, a cui contrapporrà — durante una trasmissione radiofonica8 — un’altra immagine di uno dei leader della prima repubblica (certamente uno dei più coraggiosi e sfortunati), Aldo Moro, il segretario generale della Democrazia Cristiana rapito e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1976. Si tratta di una foto che ritrae Moro in spiaggia, completamente vestito in pantaloni e camicia a maniche lunghe, con le scarpe e addirittura la giacca. Belpoliti, costruendo abilmente un sistema semisimbolico che non esplicita, sottolinea appunto la chiusa, riservata sacralità del corpo del leader della prima repubblica, a cui si contrappone l’esibizione sguaiata e « televisiva », di massa, del corpo del leader della seconda repubblica che, passando per Bossi, culminerà, a suo parere, in Berlusconi.
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Cfr. Lynda De Matteo, op. cit., p. 86.
Questa continuità non è così evidente e anzi la perfezione ricercata da Berlusconi, che Belpoliti sottolinea giustamente, si contrappone alla sguaiata esibizione del corpo del leader leghista. La cura maniacale del corpo di Berlusconi, la messa in posa del « privato collettivo » nelle riprese fotografiche di dimensione familiare, sono in aperta contraddizione con lo stile della Lega Nord. Questo uso seduttivo della vita privata non è infatti dai leghisti : i familiari di Bossi appariranno pochissimo sui media e sempre in tono dimesso, abbigliati con abiti banali, incapaci di conferire loro un’identità particolare, come del resto quelli del leader. Certo non li si vedrà mai agire come divi o come star, come si presentano invece i familiari di Berlusconi9.
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Ibid.
Ritornando alla pratica vestimentaria della Lega, Belpoliti vi ha letto una strategia di attenuazione della distanza fra leader ed elettorato, a partire dall’uso di un abbigliamento popolare, in cui la mediocrità dei prodotti si correla alla volgarità del linguaggio, come è stato notato da De Matteo10 e su cui ci soffermeremo fra poco.
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Cfr. E. Landowski, « Flagrants délits et portraits », in Andrea Semprini (a cura di), Analyser la communication 2. Regards socio-sémiotiques, Paris, L’Harmattan, 2007.
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A proposito dell’esibizione del corpo malato nel caso della comunicazione del o sul papa Giovanni Paolo II, cfr. E. Landowski, ibid.
Le fotografie di Bossi rappresentano da questo punto di vista due forme diverse, ma coerenti, di allontanamento dalle forme espressive tipiche della politica tradizionale : più precisamente di sparizione del « ritratto ufficiale » dell’uomo politico11. Esse sembrano coerentemente impertinenti rispetto alla « tradizione » italiana : sia quando Bossi espone sorridente il corpo in via di guarigione, fa volutamente gesti volgari sapendo di essere ripreso sia quando si mostra in camicia aperta o in canottiera, o lasciando le gambe nude. Anche nel caso della malattia queste foto non hanno l’effetto di mostrare un corpo dall’azione diminuita (come sarà invece nell’ultima fase della leadership bossiana, e nel caso del papa Giovanni Paolo II12), ma di riaffermare coerentemente la rottura delle norme di una corretta visibilità dell’uomo politico.
Alla rottura dei modi di rendere visibile il corpo si correla anche la rottura delle norme linguistiche. I leghisti si distinguono infatti per l’uso delle varianti regionali di una lingua italiana semplificata, per certi versi a-normativa e caratterizzata da una accentuazione delle connotazioni regionali : con errori sintattici e fonetici, parolacce, espressioni dialettali (che solo per ragioni di spazio non consideriamo). Sembra degno di nota che questi elementi non siano stati considerate dai media — e anche da gran parte dei cittadini, si potrebbe ipotizzare — degli errori ma per la prima volta un nuovo modo di fare comunicazione politica. Ma se si può dire che con l’arrivo dei parlamentari della Lega le consuetudini linguistiche si ruppero definitivamente, quali effetti di senso provoca questo modo inedito di articolare la presenza del leader ?
1.2. Il nuovo corpo collettivo
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Cfr. Marcel Mauss, Sociologie et anthropologie, Paris, Presses Universitaires de France, 1950 ; trad. it., Teoria generale della magia, Torino, Einaudi, 1965, pp. 385-387.
La Lega sembra — come base del proprio percorso politico — aver lanciato un vero « populismo vestimentario ». Per esprimere un messaggio di identità politica, si « fa parlare » il corpo. Invece di nascondere il « corpo del capo », e del gruppo dirigente, o di neutralizzarlo attraverso il rispetto di una « normalità », si sceglie di mostrarlo in un modo enfatico e provocatorio, che « produce senso ». Il modo di fare attraverso cui si compie più facilmente ed evidentemente questa strategia è l’uso degli abiti (unito alle altre « tecniche del corpo »13 : rasatura, pettinatura ecc). Il tratto che ci sembra emergere è quello della perdita dell’uniformità, ossia dell’attenuazione, fino alla scomparsa, di ogni « norma » vestimentaria.
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Fotografie accessibili ai link http://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2011/07/25/lega-umberto-bossi-il-governo-va-avanti/15575/ ; http://www.lettera43.it/it/articoli/politica/2012/05/21/maroni-pontida-si-fara-non-molleremo-mai/ 43640/ ; http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2011/06/19/AO82Uld-pontida_popolo_secessione .shtml ; https:// www.ilfattoquotidiano.it/2013/04/07/lega-pontida-2-0-si-riparte-dalla-macroregione-tra-tensi oni-e-divisioni/554299/.
Benchè la Lega abbia « copiato » gli altri partiti scegliendo un colore « proprio » (come i comunisti avevano il rosso ed i democristiani il bianco) e « scimmiottato » la tenuta militare (lanciando le « camice verdi » e le « guardie padane », dei gruppi volontari che pattugliavano le città del nord con l’intento di « garantire la sicurezza »), la maniera di vestire e di indossare i colori del movimento rappresenta una sorta di parodia dell’atteggiamento dei vecchi partiti e dell’abbigliamento militare. Si possono prendere come esempio alcune foto del palco « d’onore » del comizio annuale del movimento nei pressi della cittadina di Pontida (in Lombardia), scattate in momenti diversi e visibili in Internet14.
Possiamo notare come gli abiti dei dirigenti, benchè verdi, siano tutti diversi : la sola cravatta per Roberto Maroni ; delle camicie, ma di foggia e colori diversi per altri ; una camicia e dei pantaloni (ma di tonalità di verde diverso) per Roberto Calderoli. Altre volte Bossi indosserà un maglione. Benchè tutti indossino qualcosa di verde lo declinano in modi diversi, all’apparenza idiosincratici e non preordinati : non sono solo gli abiti, ma gli stessi toni del verde ad essere diversi. La scelta dell’elemento verde da indossare appare così puramente personale. I militanti manifestano questa tendenza in misura ancora maggiore : alcune signore indossano delle parrucche verde acido (da discoteca o da sfilata di moda), altri dei copricapi « vichinghi » con corna verdi.
Quale modello di collettività presuppone questo modo di presenza ? Quello che ci sembra emergere è una sparizione dello scarto fra cittadini-elettori e rappresentanti eletti : i leader non forniscono più un lessico e uno stile comunicativo a cui la « base » dovrebbe uniformarsi ma fra i due poli tradizionali si instaura una sorta di analogia o di mimetismo.
A causa di questa serie di pratiche verbali e vestimentarie di indistinzione interna già notate da tutti gli osservatori — mentre il gruppo in quanto tale si distingue deliberatamente e fortemente, sullo stesso piano vestimentario, da tutto il resto del mondo politico intorno ad esso —, quello che ci sembra venire meno definitivamente, nel caso della Lega, è la differenza incolmabile fra dirigenti e militanti (o fra eletti ed elettori) che aveva finora costituito un aspetto fondativo della sacralizzazione della politica : i dirigenti non si distinguono più dai semplici militanti, dalla « gente » che dichiarano di rappresentare.
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Cfr. E. Landowski, « La politique spectacle revisitée. Manipuler par contagion », Versus, 107-108 (Lo spazio della politica. Uno sguardo semiotico), 2008, pp. 13-38.
Per questo in esse si puo riconoscere una forma specifica di strategia persuasiva, di carattere non verbale : se non c’è piu nessuna differenza percepibile tra loro, sarà, si da a intendere, perché davvero leader, militanti ed elettori si trovano accomunati. E su questa base di prossimità analogica o mimetica, leader, militanti ed elettori non hanno più alcun bisogno di stabilire un contratto : sono ormai la stessa cosa, lo stesso attore collettivo. Procedono in un regime di interazione basato sulla condivisione di una stessa competenza (o sulla comune mancanza di competenza). La loro co-presenza si sostituisce alla vecchia logica della rappresentazione giuridico-politica, in cui la differenza costituiva invece la condizione, la base e lo senso stesso delle relazioni15.
2. « Fare corpo » nell’interazione
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Cfr. Rischiare nelle interazioni (2005), trad. M.C. Addis, Milano, FrancoAngeli, 2010.
Queste considerazioni ci permettono di proporre una tipologia (certamente ipotetica) dei modi di « fare corpo » collettivamente sul piano politico nel panorama italiano degli ultimi anni, considerando le strategie di visibilità e i regimi di interazione, con la loro capacità di instaurare o meno uniformità e gerarchie all’interno dei partiti politici. Per questo utilizzeremo come base di riflessione il modello dei regimi di senso e interazione proposto da Eric Landowski16.
2.1. La Lega Nord : incidenti calcolati
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Cfr. Erving Goffman, La vita quotidiana come rapppresentazione, trad. M. Ciacci, Bologna, Il Mulino, 1997.
Il modo di presentare il corpo che abbiamo visto produce l’effetto visibile di una sorta di casualità della resa finale d’insieme (data la variabilità continua intorno ad un motivo cromatico unico), che si pone come opposta all’uniformità di una tenuta militare. Entrambe queste pratiche, da parte dei militanti o dei leader, sono indicative di una eliminazione della distinzione, stabilita da Erving Goffman, fra retroscena e primo piano17. La mancanza di uniformità, nello stile di esposizione del corpo del leader come nell’abbigliamento da parte dei militanti, ne è l’elemento distintivo, mentre l’apparente casualità, l’effetto di senso complessivo.
Questa distinzione, che era ancora centrale nella teatralizazione della politica negli anni 80, può essere articolata in profondità ricorrendo agli strumenti concettuali della semiotica greimasiana. Dato il suo carattere di negazione di una normatività precedentemente fissata, ci sembra che questo cambiamento di superficie possa essere interpretato come il venire meno della figura di un Destinante della corretta visibilità : la messa in scena del corpo, del retroscena stesso della corporeità politica (rumori corporali, intimità, disagio o eventuale malattia del corpo) — finora nascosto, taciuto, misconosciuto, segnala la sparizione di ogni garante dei valori (ossia destinante) nella comunicazione della Lega.
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Secondo le distinzioni proposte da Greimas. Cfr. « Analyse sémiotique d’un discours juridique », Sémiotique et sciences sociales, Paris, Seuil, 1976 ; trad. it., Semiotica e scienze sociali, Torino, Centro scientifico editore, 1991, pp. 73-123.
I raduni della Lega non mettono infatti in scena un esercito (come faceva il fascismo) o il popolo (come nelle manifestazioni della sinistra) ma un altro tipo di attore collettivo, « la gente » : secondo la definizione del dizionario (Treccani) una massa indefinita di persone diverse che si assembrano per un’occasione o un periodo limitato di tempo (come una « totalità partitiva »), senza l’obiettivo comune della massa (o della classe) nè l’omogeneità di pratiche dell’esercito (vera « totalità integrale »18). Il « corpo collettivo » leghista appare come una moltitudine : una serie di attori che non sono omogeneizzati da una norma uniformante ma uniti, al contrario, proprio dalla sua negazione che si manifesta attraverso una variabilità individuale apparentemente casuale.
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A.J. Greimas, Dell’Imperfezione (1987), tr. it. Palermo, Sellerio, 1988.
Il « regime » interazionale detto « dell’incidente » é, nel suo principio, quello della pura discontinuità, della rottura delle regolarità sia temporale che a livello delle abitudini, delle programmazioni, della « normalità » e in generale della prevedibilità dell’ordine delle cose. Nel nostro caso, è l’imprevedibilità delle improvvisazioni vestimentarie « casuali » all’interno del gruppo ; sono gli effetti di scandalo provocati e probabilmente ricercati tramite le trasgressioni verbali o gestuali su tutte le scene pubbliche possibili (del Parlamento agli schermi televisivi) ; in una parola, sono piccoli atti di non-conformità sociale — senza gravità ma spettacolari —, sistematici e costantemente rinnovabili. Si può dire insomma que la Lega globalmente « fa incidente » o almeno, come diceva Greimas, fa « frattura »19. Ed é proprio il fatto di produrre deliberatamente a diversi livelli l’incidente, la frattura, l’imprevisto o l’imprevedibile, ovvero una forma di non senso, che costituisce il modo specifico — e paradossale — di far senso dalla parte di questo movimento politico.
2.2. « Il Partito » e la programmazione
Quando pensiamo alla modalità della programmazione di un corpo politico collettivo alcune immagini sono subito richiamate alla mente : masse di appartenenti vestiti allo stesso modo che sfilano con lo stesso passo e la stessa postura, scandendo gli stessi slogan (e, all’estremo, anche mostrando un corpo trattato dalle medesime tecniche, dal taglio o meno della barba e dei capelli fino all’abbigliamento). Si tratta in fin dei conti di un’immagine militare. I partiti (o movimenti) a cui si può pensare immediatamente sono quelli di estrema destra, dato anche che un’altra caratteristica tipica dei corpi collettivi militari è quella della distanza dal leader, che rimane alla sommità di una scala gerarchica nella quale si devono collocare idealmente tutti i militanti. Tuttavia questa modalità di distanza fra leader e folla, e di uniformità della massa, non è stata propria solo dei movimenti di estrema destra ma, per certi aspetti, ha caratterizzato anche il partito comunista italiano.
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Questa modalità è riferibile alla considerazione del leader come « alto responsabile, padrone di sè e del mondo » (trad. mia) valorizzata nel ritratto « tradizionale » dell’uomo politico. Cfr. E. Landowski, « Flagrants délits et portraits », art. cit.
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Questa normatività viene radicalmente criticata nel 1968 con l’arrivo di gruppi a sinistra del Pci che respingono proprio l’omogeneità del corpo collettivo del partito. Si pensi anche all’obbligo di conformarsi alle direttive del partito (sorta di destinante globale) per i membri — definito « centralismo democratico » — che rappresenta il correlato decisionale di questa dimensione di fedeltà al leader.
Il Pci aveva infatti le sue parole d’ordine e il suo ordinato modo di vestire : si trattava di una eleganza modesta per i dirigenti (secondo le direttive leniniste, che affermavano la necessità dei rivoluzionari di essere curati e ben vestiti) e dell’uniformità della tuta da lavoro degli operai. Sebbene il Pci fosse il meno « sovietico » fra i partiti comunisti occidentali, e i suoi leader fossero o apparissero come degli intellettuali o degli uomini lontanissimi dalla fisicità di un Berlusconi o di un Mussolini (come Enrico Berlinguer) tuttavia l’ammirazione delle masse per i leader — visti come una specie di superuomini di cui ci si poteva fidare ciecamente perché capaci di « vedere più lontano »20 — era enorme, al limite di una sorta di laica « idolatria ». Basti pensare al soprannome di Togliatti diffuso fra i comunisti — il migliore — o al funerale di Enrico Berlinguer, trasmesso in diretta televisiva nel 1984, cui parteciparono più di un milione di persone piangenti e sconvolte (in una atmosfera assolutamente religiosa). D’altronde i leader comunisti restavano al comando a vita, come se una volta assunta la funzione di leadership essa non fosse separabile dal corpo del leader che con la morte, come se non vi fosse alcun « contratto » fra loro e il resto del partito. Dopo la morte di Berlinguer questa dimensione carismatica si attenua fino a sparire, ma essa è stata attiva, come l’uniformità assoluta richiesta ai membri, per un quarantennio21.
Rispetto a questa modalità lo stile leghista rappresenta la posizione opposta, sebbene ne riprenda i tratti di fedeltà e fiducia assoluta nel leader.
2.3. Il corpo politico berlusconiano o della manipolazione
Il movimento di Berlusconi sembra offrire invece un buon esempio di strategia di manipolazione attraverso l’uso del corpo.
Berlusconi ha sempre cercato di essere seduttivo, legando la sua capacità di convincimento al suo modo di abbigliarsi e di parlare. Al contrario di Bossi non ha lasciato nulla al caso : i suoi abbinamenti di abiti, tessuti e colori sono diventati molto presto prevedibili. Questo vale anche per la ripetizione — nel migliore stile pubblicitario — di slogan e parole d’ordine : dalla definizione « comunisti » usata dispregiativamente verso gli avversari (ripreso da una tecnica di Margaret Thatcher, che definiva i laburisti « socialists »), o di combinazioni verbali (« mi consenta »).
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Cfr. A.J. Greimas, Du sens II, Paris, Seuil, 1983 ; trad. it. di P. Magli e M.P. Pozzato, Milano, Bompiani, 1987, p. 105.
Ma è in particolare la figurativizzazione del proprio movimento politico come una « squadra » — come Berlusconi definisce il gruppo dirigente riunito attorno a lui (ancora una volta con un termine lontano dal vocabolario politico tradizionale) — che gli permette di presentarsi e proporsi, in un piccolo ragionamento figurativo, come un allenatore, una figura che consiglia, motiva, convince, inventa : una figura dunque di destinante manipolatore (e non giudicatore) lontana dalla politica tradizionale. Allo stesso modo sembra interessante l’uso pleonastico di espressioni in lingua inglese messo in atto da Berlusconi (come quando gli avversari sono definiti « i miei competitors »). Si può notare come questo modo di usare i termini della lingua inglese non aggiunga nulla dal punto di vista del contenuto espresso a quanto si potrebbe già dire in lingua italiana. L’uso dell’inglese non serve infatti ad esprimere un contenuto altrimenti intraducibile e dunque valorizza esclusivamente il significante della lingua, usato strategicamente per operare una « connotazione veridittiva », in cui, come sosteneva Greimas, la materialità del significante serve a esprimere la verità del significato22. In un duplice modo : da un lato esso funziona come indice di una contiguità col mondo anglosassone e in particolare gli USA, assunti come proprio modello / universo di riferimento politico. Dall’altro propone colui che lo attua, ossia Berlusconi, come veramente facente parte di quel mondo, di quel sistema di valori, e dotato di una sua competenza nel mondo dell’impresa e della finanza, tanto da potersi presentare come un « esperto » di successo. Il modo in cui questo esperto si presenta, il suo abbigliamento ricercato e il suo modo di parlare di sè, segnalano oltre alla competenza e alla riuscita professionale e personale (performanza realizzata), la desiderabilità stessa — il valore — dei valori proposti. Si tratta dunque di un uso persuasivo, manipolatorio, della lingua come dell’abbigliamento, teso a produrre un effetto di unicità e di competenza secondo una logica dell’efficienza aziendale e del successo individuale, lontana dai partiti tradizionali.
Dal punto di vista del « corpo collettivo » del movimento l’effetto è quello della produzione di una continua « variazione sul tema » : all’interno del canone incarnato e praticato dal leader trovano posto solo varianti individuali « non distintive ». Un esempio televisivo può forse spiegare quest’aspetto.
In una memorabile inquadratura nel corso della trasmissione Milano Italia (1993) in onda pochi mesi prima delle elezioni del 27 marzo 1994 (l’inizio di un ventennio in cui Berlusconi controllerà i confini del discorso politico italiano) apparvero per la prima volta in televisione i quadri dirigenti del nuovo partito di Forza Italia. Il regista della trasmissione inquadró ad un certo punto, con un lungo piano sequenza, i calzini e le scarpe di coloro che erano seduti in prima fila. Si trattava evidentemente di una serie di funzionari delle aziende di Berlusconi che erano stati « trasformati » in quadri politici. Emulando lo stile del leader erano tutti uomini, indossavano scarpe e abiti eleganti (sebbene di colori leggermente diversi, tutti scuri e con piccoli particolari diversi), ed erano persino seduti nello stesso modo (con le gambe accavallate). Quasi tutti, con accento del nord Italia, parlavano anche nello stesso modo. Cos’è che li rendeva diversi dai vecchi militanti ? Il fatto che ognuno di loro, come in una azienda, manteneva la propria individualità (e una certa dose di competizione con gli altri) sebbene al fine del raggiungimento di un oggetto di valore comune. Questo effetto di omogeneità, di continuità al di sotto della variabilità individuale, produceva un nuovo tipo di credibilità e rappresentava un modo di fare corpo collettivo in modo individualistico che era, di fatto, ancora inedito in Italia.
2.4. Il Movimento 5 Stelle : una parvenza di aggiustamento
Sembra possibile rinvenire il tratto di perdita del destinante, precedentemente rilevato nel caso della Lega Nord (e risemantizzato dalla comunicazione di Berlusconi) anche all’inizio del percorso politico del M5S in Italia. Questo elemento si inserisce, all’inizio del percorso politico del M5S, in una strategia comunicativa più generale volta a produrre l’effetto di una parvenza di aggiustamento e basata sulla centralità della dimensione sensibile.
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Ad un giornalista televisivo che a margine di una manifestazione (poco prima delle elezioni del 2013) gli chiedeva insistentemente « Chi è il leader ? » rispose : « Il leader sei tu. Ancora con ’sta storia del leader ? Basta, non c’è più il leader, non esiste più. Sei tu ». Grillo non si presenterà ai giornalisti nemmeno dopo la vittoria delle elezioni del 2013 e farà anzi di tutto per non essere visto : dopo qualche giorno dal voto uscirà di casa, passando in mezzo ai giornalisti accampati nei pressi della sua abitazione, vestito con una muta da sub che gli copriva anche il volto.
Per Grillo, almeno all’inizio, non ci doveva essere nessuna differenza fra dirigenti ed elettori : il riferimento era esclusivamente ai cittadini, di cui il M5S si presentava come l’espressione diretta. Alle domande dei giornalisti sul suo ruolo politico Grillo rispondeva (all’inizio) costantemente di essere un comico23.
Osservando le riprese di eventi come i V-day del 2007 e 2008 (visibili su Youtube) si nota come Grillo in queste occasioni vesta ancora pienamente i panni del comico : ingiuria scherzosamente il responsabile dei comitati di Napoli attraverso un insulto in una lingua pseudo-dialettale ; si rivolge volgarmente a uno dei partecipanti (simulando l’ira che monta, come faceva nel corso dei suoi spettacoli) o ancora, aspetto principale di questo « stile », procede alla ridicolizzazione di alcuni esponenti politici.
In questo modo non si attua una comunicazione cognitiva volta a proporre un contratto agli elettori (o un calcolo dei benefici e dei costi della sostituzione del movimento ai partiti politici tradizionali). Suscitare lo scoppio di risa collettivo è invece indice di un tentativo di comunicazione basato sulla presenza e sulla diffusione contagiosa di un modo collettivo di « sentire ».
Si può anche notare come Grillo non parli dal palco leggendo un discorso scritto (modo del comizio) ma piuttosto agisca come un presentatore che improvvisa su una scaletta stabilita invitando sul palco una serie di personaggi che, autonomamente, formulano delle proposte o delle riflessioni. Sembra una strategia basata sulla valorizzazione della componente sensibile ed estesica della relazione, e su una mimesi del « dialogo » che si svolge fra pubblico e performer all’interno di eventi che sembrano degli happening e non certo dei comizi.
Il suo modo di pronunciare il discorso sembra teso alla patemizzazione del pubblico : le sorprese, le enfatizzazioni e le pause, un po’ come in un concerto, sono gestite dall’enunciatore per ascoltare (o fingere di ascoltare) le reazioni dei partecipanti, lasciare spazio alle loro espressioni collettive (grida, interiezioni, risposte) o invitarli a rispondere e/o a completare le proprie frasi (soprattutto quelle ingiuriose). Si tratta di un procedere discorsivo concitato, a tratti non del tutto comprensibile, che si presenta come non del tutto preordinato. L’obiettivo non è comunicare le ragioni della protesta o la natura delle proposte ma soprattutto rendere visibile e sensibilmente percepibile l’esasperazione condivisa e la reazione collettiva ad essa possibile.
Altro aspetto interessante è che Grillo non si pone direttamente come soggetto competente : ripete incessantemente « avete fatto » — « lo avete fatto voi » — rivolgendosi ai giovani organizzatori e attivisti, attribuendo cioè ad essi il ruolo di soggetto competente. Grillo li presenta così anche come soggetti abili (competenti) nel cogliere tutte le occasioni per mettere in difficoltà gli avversari politici, mentre gli esperti invitati formulano proposte. Una competenza basata dunque non solo sull’efficienza (logica aziendale della manipolazione) ma anche sul kairos, sulla capacità di essere opportunisti e di cogliere le occasioni e i vuoti lasciati dall’azione politica o dell’incapacità degli avversari. E nello stesso tempo mette in atto una comunicazione capace di produrre contagio (attraverso la risata) e di sembrare opposta alle modalità di potere autocratiche, manipolatorie o programmatorie del resto dei movimenti politici esistenti.
Le modalità di interazione fra membri che il M5S mette in scena sembrano piuttosto modalità tipiche di gruppi di lavoro informali : il movimento non si è strutturato territorialmente intorno alle « sezioni » (come i partiti tradizionali ma anche la Lega) o a comitati elettorali creati ad hoc, ma attorno a quelli che venivano chiamati « meet up », delle « assemblee di incontro su scala locale ». Il modello delle sezioni riproduceva isomorficamente, sebbene su scala ridotta, la modalità di organizzazione del corpo del partito. I militanti erano riuniti attorno ad un segretario locale e « gestiti » da un gruppo « dirigente » in cui si entrava per cooptazione. Questa modalità, che prevede un leader, un gruppo dirigente, e una massa di militanti di fatto privi di potere, si riproduceva a scale diverse dalla singola sezione locale al partito nazionale, passando per il livello cittadino, provinciale, regionale.
I meet up si presentano come una versione « illuminista » (basata sul dialogo) ed efficientista (riferita a competenze e capacità individuali) dell’utopia anarchica soreliana di gruppi capaci di autonomia e di autogestione : una serie di gruppi autocostruiti, autoorganizzati, che si autopropongono di aderire al movimento, costituendolo, e facendo loro stessi — sulla base delle competenze presenti al loro interno — delle proposte di creazione e/o trasformazione delle leggi esistenti.
All’idea di questa « competenza » distribuita — sia sensibilmente sia dal punto di vista dell’interazione — credo si possa avvicinare il concetto di aggiustamento. Incidentalmente possiamo notare che anche dal punto di vista della leadership del movimento si può evidenziare una sembianza di aggiustamento, attraverso la relazione fra i due « fondatori » del movimento, oltre a Grillo il poco noto imprenditore Casaleggio. Si tratta di personaggi ben diversi : uno nota figura pubblica e l’altro all’apparenza timido, pacato, distante ; il primo che assume le vesti dell’uomo comune che si ribella facendo il verso al potere, il secondo dell’imprenditore visionario e intellettuale, profeta della tecnologia. Potremmo sostenere che essi si presentano, all’inizio del loro percorso, come la sintesi o meglio la tensione euforica fra due forze opposte capaci di operare un aggiustamento armonioso. Questa rappresentazione è riuscita ad orientare nei primi anni l’immagine del percorso politico del M5S, che l’ha poi profondamente modificata fino all’elezione (via internet) di un (così definito) « capo politico » nel corso del 2017, di fatto sovvertendola completamente.
Conclusione
Il rapido percorso che abbiamo sin qui condotto ha mostrato l’importanza della sensibilità e della corporeità nella comunicazione di uno dei movimenti politici italiani per primi definiti populisti, ed il suo posizionamento differenziale nel sistema politico italiano attraverso di esse. Sulla base della ricorrenza di alcuni modi di fare e della valorizzazione di alcuni specifici regimi di interazione fra i membri ci è sembrato possibile interdefinire il caso della Lega comparandolo con altri partiti o movimenti considerati come attori collettivi.
La specificità semiotica individuata ci pare essere di due tipi : la prima relativa al ruolo della corporeità, dalla sua messa in visibilità o del suo occultamento ; la seconda relativa al superamento di ogni forma di contratto fra eletti ed elettori, con la conseguente scomparsa di attori che possano incarnare il del ruolo del destinante e l’affermazione di una omogeneità / indistinzione fra i militanti ed i dirigenti (nonostante essi continuino di fatto a « dirigere »). In nuce, un approccio di questo tipo potrebbe dare origine a delle analisi dei movimenti politici come attori collettivi, in modo da definire il populismo (come altre tendenze politiche) sulla base dell’organizzazione semiotica delle interazioni e delle gerarchie all’interno dei partiti, in un’ottica differenziale e relazionale.
Alla luce di questa ipotesi, ciò che va chiamato « populismo » potrebbe cessare di essere una semplice etichetta, attribuibile a certi partiti, per essere considerato come un ingrediente complesso che in misura variabile può ritrovarsi in una grande quantità di partiti e movimenti.