Le organizzazioni imprevedibili
Testi, azioni e passioni nel lavoro quotidiano
Paolo Sorrentino
Università di Cagliari
Index
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Mots-clés : aléa, bureaucratie, contrôle, discours administratif, discours juridique, programmation
Auteurs cités : Paolo FABBRI, Jean-Marie FLOCH, Michel FOUCAULT, Jacques GENINASCA, Erving GOFFMAN, Algirdas J. GREIMAS, Eric LANDOWSKI, Youri LOTMAN, Isabella PEZZINI, Franciscu SEDDA
Introduzione
Lo sappiamo, l’organizzazione mira a ridurre il rischio, tanto da farne una scienza (il risk management). Contro l’imprevedibilità per natura, il suo regime è la programmazione. Soggetto dell’ordine, amante della regolarità, essa sposa la routine. A rischio di morire di noia, come spesso le organizzazioni vengono descritte nelle stereotipie più diffuse. Ma è davvero così ? Non ci sono programmazioni avventurose ? Divagazioni a parte, come ci dicono le metafore più usate per descriverle, l’uomo ha creato le organizzazioni con il desiderio di costruire delle “macchine” financo perfette, salvo poi scoprire che in realtà di perfezione se ne trova bene poca. Basta liberarsi di uno sguardo disincarnato o più semplicemente osservarle nel loro quotidianità per vedere quanto nelle organizzazioni il regime dominante sia quello dell’alea. D’altra parte, in molti oggi all’ordine prediligono il caos. Dalle big company alle piccole start up, dalle smart enterprise alle aziende flessibili, non-organizzate, ci troviamo di fronte a entità nelle quali l’incidente è oggetto di programmazione. L’imprevisto è un valore che genera euforia. Ciò che è atteso si cerca dove non ci si aspetta di trovarlo, secondo l’adagio dell’ozio creativo coniato dal sociologo della società post-industriale Domenico De Masi. In questo modo, si prova ad attivare dei meccanismi di creatività. O meglio, si vorrebbe portare la creatività al potere, secondo uno degli slogan che dal Sessantotto è approdato alla mitologia aziendalista di cui sono nutrite le nuove classi dirigenti.
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Franciscu Sedda, Imperfette traduzioni. Semiopolitica delle culture, Nuova Cultura, Roma, 2012.
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Michel Foucault, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1975 (tr. it. Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1976).
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Paolo Sorrentino, “Economia e potere. L’analisi negli spazi di lavoro”, Semiotics of Economic Discourse, Ocula, 16, 2015.
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Massimo Leone, “Semiótica de la burocracia”, Lengua, Imagen, Sonido (Universidad de Buenos Aires), 13, 2015.
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Paolo Sorrentino , Eroi e traditori della Pubblica Amministrazione, tesi, Sapienza Università di Roma, 2010.
Tuttavia, il caos e l’imprevisto — se pure non con la stessa valorizzazione euforizzante di cui gode negli uffici di Google — esiste anche, e anzi forse in particolare, in quelle organizzazioni fortemente burocratizzate come le entità pubbliche. Sono questi i luoghi dove in genere, ci si scuserà per il gioco di parole, un eccesso di forma rischia di far eccedere la norma, ovvero di generare una perdita di senso per il fatto che di senso ce ne è troppo e troppo in conflitto1. Chiaramente, l’intenzione, è all’opposto quella di fissare il senso. Anzi, di ingabbiarlo, secondo la metafora di Weber, dando avvio ad una minuziosa programmazione di spazi, attori, ruoli e tempi, prevedendo e ordinando interessi e comportamenti. Quasi non ci sarebbe bisogno di scomodare Foucault per accorgersi e rendere evidente che nella vita delle organizzazioni il soggetto è sempre sottoposto ad un regime di controllo, a procedure di sorveglianza, a esami e valutazioni2. Se negli spazi di lavoro più recenti questi meccanismi sono poco evidenti o occultati3, nel caso delle entità burocratiche essi sembrano invece essere ostentati. Così, per un eccesso di trasparenza, di carte e moduli da compilare per rendicontare il proprio fare, il rischio è di non poter più fare il proprio lavoro4. Le organizzazioni sono quindi abitate da fasci di contraddizioni, dal rischio continuo di tradire la cosiddetta missione aziendale, con conseguente perdita di senso5.
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Jacques Geninasca, La parola letteraria, Milano, Bompiani, 2010 (La parole littéraire, Paris, PUF, 1997).
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Sui regimi di programazione, alea, manipolazione e aggiustamento il riferimento va ovviamente al modello interazionale di Landowski, che abbiamo citato all’inizio per sottolinearne la posizione inglobante rispetto ai ragionamenti che seguono e sui quali si regge il percorso di ricerca. Cfr. Eric Landowski, Rischiare nelle interazioni, Milano, FrancoAngeli, 2010 (Les interactions risquées, Limoges, Pulim, 2005).
D’altra parte, l’adesione del soggetto al programma è questione di fede6. Il problema è allora quello delle manipolazioni, di generare fedeltà nei valori o viceversa di essergli infedeli. Ecco quindi che nel quotidiano aziendale è un brulicare di sfide, di progetti da portare a termine, ma anche di astuzie più o meno subdole, di inganni e competizioni poco edificanti. Ma per fortuna anche intese, amicizie, lotte comuni. Alla fine ci si aggiusta…7
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Michel Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-1079, Paris, Gallimard-Seuil, 2004 (tr. it. Nascita della biopolitica. Corso al College de France (1978-1979), Milano, Feltrinelli, 2005). Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro, 1980.
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Algirdas J. Greimas, Sémiotique et sciences sociales, Paris, Seuil, 1976. Jean-Marie Floch, “Sémiotique et design. La scénographie du pouvoir dans le mobilier de haute direction”, Protée, 21, 1983. Eric Landowski, Les interactions risquées, op.cit. Jean-Paul Petitimbert, “La précarité comme stratégie d’entreprise”, Actes Sémiotiques, 116, 2013. João Ciaco, A inovação em discursos publicitários: semiótica e marketing, São Paulo, Estação das Letras e Cores, 2013. Roberto Pellerey, Semiotica e decrescita. Obiezione al consumo, cooperazione internazionale e sovranità alimentare: un nuovo paradigma, Milano, FrancoAngeli, 2015. Giorgio Coratelli, Federico Galofaro, Federico Montanari, Semiotics of Economic Discourse, Ocula, 2015, 16 (www.ocula.it).
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Juri M. Lotman, La Semiosfera, Venezia, Marsilio, 1985. Franciscu Sedda, Imperfette traduzioni, op. cit.
Già, ma come ? Una semiotica che non voglia perdere la sua aderenza con la vita quotidiana può affrontare con sicurezza questo ambito di indagine. D’altra parte, una ricerca semiotica che si occupa del senso nelle organizzazioni, nel lavoro e nell’economia, non sembra più tanto essere una novità. Oltre ai lavori citati, si può considerare che sia tra gli autori e gli intellettuali a noi più vicini8, sia tra quelli propri della comunità scientifica semiotica9, troviamo studi e analisi che, se non proprio dedicati totalmente al tema, quantomeno lo hanno inserito tra i propri esempi. In fondo, le organizzazioni sono dei costrutti semiotici, totalità complesse e dinamiche, globalità inglobanti e inglobate. Dei soggetti collettivi con una propria profondità storica, una memoria e un gioco culturale fatto di azioni e passioni entro cui dare vita a complessi rapporti traduttivi e narrativi, a conflitti e identificazioni10.
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Francesco Marsciani, Tracciati di etnosemiotica, Milano, FrancoAngeli, 2007.
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Isabella Pezzini, Immagini quotidiane. Sociosemiotica visuale, Bari, Laterza, 2008.
E allora si può provare a mettere insieme gli sforzi. Si deve provare a definire un possibile tracciato che ci prepari a percorre questo territorio11. Come per ogni esplorazione è bene iniziare con una ricognizione e un dialogo tra le teorie e le ricerche generali. E poi, come da tradizione per la ricerca semiotica, individuare un caso o dei casi di studio dai quali ricavare il corpus o i corpora. La possibilità ci è offerta da una esperienza vissuta all’interno di una organizzazione tra il 2009 e il 2010. Un anno e più di lavoro presso il Dipartimento di Comunicazione del Comune di Roma. Qui nasce la storia di sei giovani, compreso chi scrive, che si confrontano (per la prima volta) con la Pubblica Amministrazione per realizzare un progetto di lavoro. Una prospettiva privilegiata e partecipante dunque attraverso la quale guardare la vita nelle e delle forme12. Forme attraverso le quali si organizza il lavoro. Forme che inglobano il soggetto con il loro linguaggio giuridico e burocratico. Ovvero leggi, statuti e regolamenti contenenti norme e valori spesso incompatibili, o in conflitto, fra loro. E al tempo stesso, forme che sono inglobate, riscritte e tradotte nelle poetiche del comportamento quotidiano, nei rituali e nelle rappresentazioni, nei gesti e nelle dicerie attraverso i quali si ridefinisce senza sosta il valore dei valori. Seguire questi rapporti e processi traduttivi significa entrare nell’analisi profonda delle organizzazioni, nello studio dei loro testi e delle dimensioni che li compongono, degli effetti e affetti che essi producono, in uno sforzo continuo di traduzione delle traduzioni del senso e dell’azione.
1. Programmazioni giuridiche. O del discorso oggettivante
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Cfr. Algirdas J. Greimas in collaborazione con E. Landowski “Analyse sémiotique d’un discours juridique” (infra abbreviato “G/L”), in A.J. Greimas, Sémiotique et sciences sociales, op. cit.
Per poter penetrare nelle dinamiche dell’imprevedibilità generate nel quotidiano di una azienda — nel nostro caso, di quella della municipalità di Roma — dobbiamo preliminarmente prendere in carico ciò l’imprevedibilità cerca di ingabbiarla all’interno delle sue formazioni semiotiche. Ovvero, dovremo provare a rendere conto di ciò che, seguendo Greimas e Landowski, chiameremo il Discorso giuridico aziendale13. Per cui, il corpus di analisi che assumiamo relativamente a questo particolare insieme semiotico fissato dal Legislatore, il soggetto dell’enunciazione del discorso giuridico, si compone principalmente delle norme contenute nello Statuto del Comune di Roma e nei suoi regolamenti interni, i quali sono a loro volta inglobati in quel vasto campo normativo che prende il nome di diritto amministrativo.
L’ipotesi di fondo della nostra analisi è che il legislatore, attraverso il linguaggio giuridico, procede al modellamento del senso, della struttura e dei ruoli dell’organizzazione, in una operazione di costruzione di un complesso sistema di oggetti semiotici.
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Paolo Fabbri, “Istruzioni e pratiche istruite”, E/C, 2005, p. 2 (www.ec-aiss.it).
L’analisi perciò serve al doppio scopo di mettere in evidenza da una parte le procedure giuridiche di costruzione degli oggetti semiotici — l’ente amministrativo, i ruoli tematici, le procedure burocratiche ecc. — e dall’altra di ricostruire la retorica fondamentale dei testi, dividendo in questo modo i fatti dai fatticci, “essendo quest’ultimi quell’insieme di regole che spariscono dall’oggetto finale ma che devono essere ricostruite” affinché possa essere chiaro il loro “funzionamento tecnico e sociale”14.
Da questo punto di vista l’entità amministrativa può essere descritta come un attante collettivo le cui componenti partitive, qualificative e temporanee, sono riconosciute nella corrispondenza con la totalità (l’entità stessa), la cui determinazione semantica fondamentale, l’essere-pubblico, è istituita dal destinante-Costituzione della Repubblica Italiana.
- Note de bas de page 15 :
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Sabino Cassese, Istituzioni di Diritto Amministrativo, Milano, Giuffré, 2006, p. 3.
In nome di un tale contratto di veridizione, l’entità assume l’aspetto di un soggetto virtuale il cui voler-fare corrisponde a ciò che la Costituzione chiama la “cura concreta dell’interesse pubblico”15. Sul piano delle modalità, è solo dal momento in cui il Legislatore “prescrive le forme canoniche del comportamento e prevede le sanzioni in caso di trasgressione” che la forma del contratto semiotico muta da un voler-fare in un dover-fare. È sempre quindi attraverso il linguaggio giuridico che si realizza la conversione del voler-fare — che Greimas e Landowski, in stretta correlazione con l’antropologia strutturalista, definivano “selvaggio” — in un dover-fare culturalizzato (G/L, p. 101).
Sulla scorta del modello proposto (G/L, ibid.), sarebbe quindi possibile riportare la dinamica in un diagramma (Fig. 1) nel quale viene rappresentato sia il passaggio dallo stato di Natura a quello di Cultura (corrispondente alla pratica di produzione giuridica degli oggetti), sia una tassonomia degli interessi che proiettata nel quadrato delle ingiunzioni vale anche come presentazione dell’ordine e del senso fissato dal Legislatore.
Come spiegano Greimas e Landowski, “ciò si deve al fatto che gli interessi, in quanto prefigurazioni di comportamenti, sono suscettibili di essere categorizzati, alla stregua dei comportamenti che li attualizzano, in leciti e in illeciti” (G/L, ibid.).
Fig. 1. Quadrato delle ingiunzioni nell’Entità amministrativa (cfr. G/L, ibid.).
La programmazione di questo sistema di valori — variamente figurativizzato nelle norme contenute nei testi giuridici — a livello semio-narrativo del discorso con cui il Legislatore fonda l’organizzazione, definisce la logica sottostante alla distinzione del soggetto eroe e dell’anti-soggetto traditore. Ovvero, tra i soggetti che attualizzano interessi legittimi e quelli che, rompendo il contratto di veridizione con l’ente, mettono in pratica comportamenti illegittimi : “fintantoché il soggetto difende i propri interessi legittimi, assume il ruolo di eroe, ma quando eccede nei propri poteri e abusa della sua importanza, si trasforma in traditore” (G/L, p. 104). L’aspetto interessante è che un tale abuso corrisponde all’attualizzazione di un comportamento non previsto dalla norma.
La figura del Legislatore è preposta proprio al ruolo di instaurazione e mantenimento di una determinata cultura giuridica. Ciò, stando allo stesso ragionamento, si pone in analogia con il “convenzionalismo giuridico, da un lato, e i rituali di iniziazione, come le prove qualificanti dei racconti popolari, dall’altro” (G/L, ibid.). Per i due studiosi, infatti, le iniziazioni sono “forme culturali di grandissima generalità” che in ogni collettivo svolgono la funzione di qualificare la capacità dei singoli nel sapersi comportare in maniera conveniente sigillando il passaggio dallo stato di natura allo stato di cultura. In realtà, la funzione del Legislatore è ricoperta da diversi ruoli fissati nella struttura dell’entità amministrativa. Tra queste figure un ruolo particolarmente importante è attribuito al Politico e al Dirigente, i quali sono destinanti delegati della programmazione fissata dal legislatore.
Ciò che è particolarmente interessante è che lo Statuto dell’ente prevede che il potere di ciascuno di questi due Attori sia controbilanciato da un cosiddetto “sistema di compensazione”, per il quale viene preposto l’ufficio di “Controllo Interno”, che tra l’altro valuta i progetti e l’attività dei Dirigenti e assegna premi o sanzioni. Dobbiamo aprire qui un breve ragionamento sulla struttura del potere definita dal Legislatore. Anzitutto va sottolineato che è attraverso il potere che il Legislatore proietta sull’attante Politico e su quello Gestionario che l’entità amministrativa passa da un modo di esistenza virtualizzato (cfr. supra) ad un modo di esistenza attualizzato. Però, ciò che va specificato è che quello del Politico è un potere “decisionale” — costituente “un sintagma intermedio tra il poter fare e lo stesso fare” (G/L, p. 106) — che si esercita sull’essere del Comune e non sul suo fare. L’attante Politico, insomma, domina la dimensione cognitiva dell’organizzazione : nella sua funzione di Destinante trasmette la competenza del potere all’attante Gestionario, il quale, dunque, in questa relazione è il Destinatario nonché, il vero soggetto del fare dell’entità amministrativa.
È al capo V dello Statuto, tra i “principi di organizzazione” che troviamo il senso e il valore di questa “procedura decisionale” che media tra il fare e il poter-fare, cioè la ricerca di un equilibrio tra il “principio democratico” e il “principio dell’imparzialità”. Laddove il primo impone il controllo dell’entità amministrativa all’attore politico, il secondo postula un’amministrazione al servizio dell’intera collettività anziché della parte politica al governo. Per questa ragione, l’attante gestionario, al quale è affidata la gestione amministrativa, riceve legittimazione dalla propria “professionalità” che lo abilita “all’attuazione e realizzazione concreta delle finalità e degli obiettivi prestabiliti”. Tra i “principi di organizzazione” (Statuto, capo V, art. 30), si trovano i valori ai quali questo attante deve conformarsi nella sua azione : “efficienza, efficacia ed economicità”, “trasparenza”, “responsabilità”, “responsabilizzazione e la valorizzazione dei dipendenti”. Tali valori, che nello statuto vengono definiti “principi”, dovrebbero essere, nel progetto del Legislatore, le isotopie che caratterizzano l’azione dell’attante gestionario.
Non c’è bisogno di andare ancora oltre o più in profondità nell’analisi dello Statuto dell’ente per avere chiaro la strategia semiotica sottostante la costruzione / programmazione dell’organizzazione da parte del Legislatore. Se infatti guardiamo alle porzioni di testo indagate finora ciò che noteremo è una isotopia oggettivante che si attualizza ad ogni livello della definizione / programmazione della macchina organizzativa : nel sistema delle norme e dei valori, nella definizione degli attori e dei programmi, nella struttura del potere. Anche laddove l’elemento soggettivante è costitutivo del ruolo tematico che si va a definire — come nel caso del Politico — ecco che il legislatore fissa un contrappeso che limita l’azione (come abbiamo visto, esso copre la sfera cognitiva) e la programmazione (si ricordi il “principio di imparzialità”). Ma l’obiettivo di disimplicazione degli attori umani dall’azione dell’organizzazione è presente in ogni dispositivo creato per la limitazione delle scelte individuali : dagli uffici di controllo della gestione, alla moltiplicazione delle procedure burocratiche alle quali l’individuo deve conformarsi.
Dal punto di vista del Legislatore sono gli attori non-umani a costituire l’organizzazione, mentre gli attori umani, destinatari della programmazione, rientrano nel calcolo del rischio, dei fallimenti e degli errori possibili.
3. Rappresentazioni del quotidiano. O delle strutture incorporate
Il punto è che l’ordine e il senso programmati dal Legislatore non produrrebbero alcunché senza la messa a lavoro dei corpi. Entità che dal punto di vista normativo sono inglobate all’interno del discorso giuridico e burocratico, delle procedure e degli atti amministrativi, e quindi esecutrici della programmazione disegnata dal Legislatore e dai suoi delegati.
- Note de bas de page 16 :
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Juri Lotman, Tesi per una semiotica delle culture, Roma, Meltemi, 2006. Franciscu Sedda, “Le poetiche del comportamento fra arte e vita quotidiana”, in Matteo Bertelé et al. (a cura di), Le muse fanno il girotondo. Jurij Lotman e le arti, Roma, Terraferma, 2015.
Tuttavia, nel momento in cui guardiamo l’organizzazione da un punto di vista semiotico non possiamo fare a meno di notare due operazioni di embrayage del discorso giuridico : questo non solo viene detto e ridetto nelle norme e negli atti prodotti dal Legislatore a monte, e dall’amministrazione quotidiana sua delegata (direzioni, programmi, progetti) a valle, ma viene anche incorporato da coloro che di tali norme e atti sono i principali destinatari. Ne consegue che quello dell’organizzazione è uno spazio di intersezione tra linguaggi diversi. Il ricercatore non si può limitare all’analisi del discorso giuridico, ma prenderà in carico anche le più sfuggenti poetiche del comportamento quotidiano16.
Da questo punto di vista l’organizzazione si presenta come una semiosfera, non solo per il fatto che l’istanza giuridica che le sta a fondamento segna i limiti tra un dentro e un fuori — in relazione ai quali definire la propria identità —, ma anche perché attiva un continuo dialogo tra spazio semiotico (giuridico) e spazio extra-semiotico (non giuridico) nel cui campo di tensione si situa il comportamento quotidiano. D’altra parte è dall’interno di questa polifonia dei linguaggi che si struttura quella memoria collettiva costitutiva di quel cosiddetto manuale di istruzioni da seguire nella sfera organizzativa.
Più operativamente, questo campo dialogico tra testi giuridici e pratiche quotidiane può essere inteso come una complessa entità semiotica che potremmo chiamare il Discorso dell’organizzazione, la cui grammatica fondamentale si regge su una duplice isotopia : da una parte osserviamo l’azione del Legislatore, che attraverso la pratica giuridica definisce l’Organizzazione e il sistema di Oggetti semiotici per il suo funzionamento ; dall’altra parte possiamo vedere l’elemento che incorporando una tale programmazione, rende viva e dinamica l’identità definita dal Legislatore.
- Note de bas de page 17 :
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Cfr. F. Sedda, Imperfette traduzioni, op. cit.
È chiaro che tra questi due attori, umani e non-umani, i dipendenti e l’organizzazione, il corpo e la macchina, c’è una relazione di enunciazione, e quindi un contratto di veridizione, il cui stato — e patto di fiducia — deve essere oggetto di interesse. Un tale obiettivo non può che realizzarsi attraverso l’osservazione, la registrazione e l’analisi di materiali diversi, complessi ed eterogenei che chiameremo le rappresentazioni e i rituali della cultura17.
Queste, per intenderci, sono le pratiche semiotiche attraverso cui i corpi al lavoro inglobano, incorporandoli nelle loro azioni e nei loro discorsi, ciò che con la terminologia presa in prestito da Greimas e Landowski abbiamo descritto come gli oggetti semiotici debrayati dal legislatore nell’organizzazione. In altre parole, la nostra sensibilità sarà rivolta all’osservazione di quelle dinamiche di traduzione semiotica che si verificano nel passaggio dal discorso giuridico alle poetiche del comportamento quotidiano. Ciò al fine di dar conto delle modalità del credere — del patto di fiducia — sottese ai rapporti dinamici che tengono insieme la macchina organizzativa — con i suoi ruoli, gerarchie e procedure amministrative — e chi questa macchina la incorpora nella sua azione quotidiana.
Il ricercatore quindi si trova a dover compiere un’analisi delle prassi enunciative che mediano tra la langue e la parole dell’Organizzazione, considerandole come i frammenti di uno specchio nel quale si riflette il Discorso dell’organizzazione.
Ora se da questa prospettiva procediamo all’analisi dei racconti dei dipendenti relativi alle figure che incorporano il ruolo del legislatore, ci renderemo presto conto di come questa venga investita di una serie di trasformazioni. Anzitutto, notiamo l’assenza di quel senso di autorità, paura e incomprensione che Greimas e Landowski chiamano “la giuridicità del discorso giuridico”. Al contrario, nei racconti dei dipendenti la programmazione del Legislatore più che fissare l’ordine e il senso dell’organizzazione viene descritta come una riserva di contraddizioni, di sovente causa dell’inerzia con cui è identificata l’azione amministrativa.
Su questo punto ci sembra significativa, tra le altre raccolte, la testimonianza di un dipendente che, durante una conversazione alla quale era presente un gruppo di suoi colleghi, definisce la produzione norme relative alla burocrazia come “indifferente ai suoi destinatari e insostenibile sul piano del lavoro”. Questa definizione è un esempio — pescato tra i tanti possibili ma esemplare nella capacità di sintesi — del rapporto degli attori con il discorso giuridico e di come questo, a livello della credenza nel valore dei valori, è oggetto di una de-negazione della sua funzione destinante. Tuttavia, non bisogna dimenticare che una tale risemantizzazione se è valida sul piano della sfera delle rappresentazioni non lo è su quello delle pratiche, laddove invece rimane la sua azione di destinante rispetto al quale l’azione quotidiana si programma e si sanziona.
Anche la più complessa Struttura del potere (che come si ricorderà prevede un sistema di compensazione tra gli attanti Politico e Amministratore) è coinvolta nelle dinamiche di ridefinizione operata delle pratiche semiotiche quotidiane. In linea generale, l’osservazione delle interazioni e le testimonianze raccolte hanno evidenziato una relazione per lo più polemica tra i due attanti politico e amministrativo. Ciò che viene descritto è il venir meno — se non il sovvertimento — del senso della Struttura del potere così come è definita nello Statuto, cioè dell’equilibrio tra i principi della democrazia e dell’imparzialità. Piuttosto, nella narrazione dei testimoni ciò che emerge è il costante motivo di tradimento che caratterizza il rapporto tra programmi e azioni.
Così, dal punto di vista dell’attante Amministrativo, il potere dell’attante Politico — cioè di intervenire sull’essere del Comune — si attualizza in azioni per lo più deludenti e vissute dai loro destinatari come ingerenze, alle quali sono sottoposti nelle forme del ricatto.
Le rappresentazioni dello stato di cose si ripetono per lo più in modo stereotipato con scambi di accuse tra i diversi livelli dell’organizzazione. Perciò, dal punto di vista dei Dipendenti il Politico è descritto come una figura che, mentre simula la realizzazione dell’interesse pubblico, in realtà attualizza un interesse privato. Dalla prospettiva del Politico la figura del Dirigente amministrativo è equivalente all’incapacità nella gestione dei processi di lavoro. Infine, dalla voce dei Funzioni e dei Dirigenti non si sente altro che scambi di accuse circa l’inerzia della Pubblica Amministrazione. In definitiva, ciò che emerge dalla ricerca è un panorama sociale frammentato e caratterizzato da parti in perenne conflitto tra loro e che spesso non si riconoscono nella totalità superiore.
- Note de bas de page 18 :
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Isabella Pezzini e Pierluigi Cervelli, Scene del consumo : dallo shopping al museo, Roma, Meltemi, 2006.
- Note de bas de page 19 :
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P. Fabbri, “Istruzioni e pratiche istruite”, art. cit. E. Landowski, Rischiare nelle interazioni, op. cit.
Sul piano generale, ciò dimostra che i rapporti di forza tra testi e pratiche sono tutt’altro che stabili. Il che determina continue turbolenze nella sfera del senso. Il senso degli oggetti semiotici è inglobato nell’azione quotidiana, e viceversa. Certamente, la messa-in-pratica non è mai isomorfa al progetto originario, piuttosto è bricolage, riconfigurazione e selezione delle virtualità semantiche che gli oggetti presentano18. D’altro canto questo è un gioco concesso necessariamente dal testo giuridico, le cui caselle vuote rendono possibile il suo adattamento al flusso delle situazioni19.
3. Traiettorie del comportamento. Un caso di studio
A guardar bene, ci sono almeno due conseguenze che possiamo trarre a questo stadio dello studio della cultura di questa complessa formazione semiotica. La prima è che la rappresentazione della vita quotidiana al suo interno, delle cui dinamiche di senso stiamo provando a rendere conto, nel suo mettere in scena la frustrazione del corpo sociale non fa che confermare la funzione destinante del discorso giuridico e del legislatore. È infatti il tradimento dei valori che il discorso giuridico inscrive nel sistema di oggetti da egli stesso costruiti, ciò che chiamiamo organizzazione, a generare una narrazione di sé così tanto desolante.
- Note de bas de page 20 :
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Rischiare nelle interazioni, op. cit., p. 19.
La seconda conseguenza che lo studio delle organizzazioni, e in particolare di questa entità aziendale, porta ad un livello di evidenza è quanto la dimensione dell’irregolarità si inserisca, a gradi diversi, anche all’interno degli ambienti dove il regime della programmazione ambisce a inglobare ogni sfera della vita sociale. Infatti, il politico, il dirigente, il quadro, il dipendente, gli stagisti sono dal punto di vista semiotico, gli oggetti e i ruoli tematici propri dell’ente amministrativo, con sfere d’azione ben delimitate, rispetto ai quali il discorso giuridico-burocratico prefigura nei minimi dettagli la totalità dei comportamenti che si possono aspettare da parte degli attori (umani e non) che ne sono investiti20. Eppure, come abbiamo visto, l’aumento della programmazione non conduce ad una maggiore regolarità nella sfera dell’organizzazione. Anzi, per quanto sia paradossale, sembra quasi che tanto più è spinto il grado di programmazione, tanto più sono alte le probabilità di infrazioni, incidenti, irregolarità.
Ciò non significa che domini l’irregolarità e che tutto sia imprevedibile. Piuttosto, laddove la corrispondenza tra la programmazione del discorso e le configurazioni delle pratiche sarebbe un terreno di prevedibilità rassicurante, la sua assenza genera comunque un alto grado prevedibilità dei comportamenti altrui — l’iterazione delle irregolarità costituisce una regolarità irregolare — ma degli stati d’animo incerti. Una mancanza di sicurezza, come un rituale che non va per il verso giusto e rende il futuro più incerto.
D’altra parte, se ci fermassimo a questo stadio dell’analisi non ci renderemmo conto delle differenze che questa regolarità irregolare pure presenta. Ne daremmo insomma una visione omogeneizzante che spesso sfocia nella semplificazione. Ora, per non cadere in questo errore, ciò che possiamo fare è osservare le possibili traiettorie che può prendere il comportamento all’interno delle organizzazioni.
- Note de bas de page 21 :
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Jean-Marie Floch, “Scrivanie per dirigenti. Lettere per semiologi della terra ferma”, in Bricolage, Roma, Meltemi, 2006.
In questo senso, seguendo la lezione di Floch, una possibile strada da seguire può essere quella di intendere i comportamenti come manifestazioni di strategie più profonde attraverso cui gli attori procedono ad una valorizzazione degli oggetti semiotici dell’organizzazione21. A questo scopo, l’esperienza di lavoro all’interno dell’entità amministrativa ci fornirà qualche esempio per le nostre riflessioni. Si tratta in effetti della storia di un gruppo di lavoro, composto da sei giovani tirocinanti, che per un intero anno ha lavorato per un anno alla realizzazione di un progetto, sotto la guida di un responsabile, un quadro nel ruolo di dirigente amministrativo.
La comunicazione interna per migliorare la qualità dei servizi : questo era il titolo dato al progetto che, in questo modo, comunicava, fin dal principio, un’adesione ai valori di base inscritti nell’organizzazione dallo Statuto dell’entità pubblica. Il programma che dovevano portare a termine i tirocinanti consisteva in una indagine socio-statistica riguardante l’uso dei mezzi di comunicazione aziendale da parte dei dipendenti. A questi quindi sono stati sottoposti ad un sondaggio le cui domande vertevano sul tipo di mezzo usato durante le interazioni avute nei processi di lavoro (voce, telefono, fax, mail). Per ogni mezzo poi si chiedeva la frequenza di utilizzo e la conoscenza delle potenzialità. I risultati dell’indagine, nelle intenzioni espresse dal dirigente-responsabile del progetto, dovevano servire come base per la redazione di un piano di comunicazione, il quale, in ultima istanza, come da titolo, avrebbe migliorato la qualità del servizio al cittadino.
Senza entrare nel dettaglio della realizzazione di questo processo, possiamo individuare alcune fasi di valorizzazione del progetto-oggetto distinte in funzione dei comportamenti effettivamente osservati. La valorizzazione utopica inscritta nel titolo e corrispondente al sistema di valori proposti nello Statuto, viene ripresa e rilanciata durante le fasi iniziali del progetto. Di questo, infatti, si parla come se, nel portarlo a termine si dovesse effettivamente realizzare un “bene comune”. Così, anche le azioni di addestramento dei tirocinanti da parte del responsabile rientrano in questa sfera. Una tale situazione porta spesso ad agire secondo una valorizzazione ludica-estetica del progetto, ovvero di gioco e creatività intorno al lavoro da compiere.
Presto però si osserva una trasformazione dello stato dei soggetti : il responsabile fa presente ai tirocinanti che il progetto deve essere compiuto prima del tempo dovuto e ciò affinché il suo ufficio possa ottenere un premio di produttività previsto da una norma relativa ai sistemi di valutazione. Un tale cambio di programma ribalta la gerarchia dei valori. Non è più il bene comune a costituire l’oggetto del programma di base, ma l’interesse dell’ufficio e dei suoi attori. L’oggetto-progetto passa così ad una valorizzazione pratica, corrispondente ai valori inscritti nelle procedure giuridiche di valutazione della produttività, e velocemente ad una critica, ovvero alle considerazioni di convenienza circa le parti del progetto da realizzare.
- Note de bas de page 22 :
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Isabella Pezzini, Le passioni del lettore, Milano, Bompiani, 1998, pp. 13-29.
Questa trasformazione nelle valorizzazioni è al tempo stesso una trasformazione degli stati di fiducia. Infatti, da parte dei tirocinanti si procede anche ad un cambiamento nella rappresentazione del dirigente responsabile, la cui figura passa dal ruolo di soggetto-Eroe a quella meno autorevole dell’anti-soggetto Traditore. Anche in questo caso, a monte c’è un riconoscimento di una infedeltà ai valori dello Statuto mentre si percepisce il dominio degli interessi privati. Una storia che i tirocinanti hanno raccontato seguendo il motivo dell’inganno, portato avanti con una particolare stilistica : la simulazione delle qualità dell’eroe per dissimulare l’intenzione del traditore22.
Generalizzando le strategie impiegate dai singoli componenti del gruppo di lavoro, potremmo circoscrivere una tipologia degli attori sulla base del loro tipo di atteggiamento-credenza manifestato in relazione agli oggetti semiotici che compongono gli ambienti di lavoro. Manifestazioni di credenze corrispondenti ad altrettanti stili di comportamento : quello degli Idealisti per cui gli oggetti rientrano all’interno di una valorizzazione utopica, come nel caso di chi mostra una adesione ai valori di base dello Statuto e che guarda al proprio lavoro come congiungimento al bene comune ; in relazione di negazione della valorizzazione utopica, collochiamo i Calcolatori che operano secondo convenienza ; all’opposto dello stile di comportamento degli Idealisti troviamo i Concreti, per i quali l’organizzazione e il lavoro sono assunti come mezzo per raggiungere un fine altro ; e infine, in contraddizione con i Concreti, individuiamo i Creativi che come dei dandy del lavoro si distinguono per la valorizzazione ludico-estetica degli oggetti della sfera organizzativa.
Conclusioni. Della programmazione doppia
- Note de bas de page 23 :
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P. Fabbri, Elogio di Babele : traduzioni, trasposizioni, trasmutazioni, Roma, Meltemi, 2000.
L’esperienza di lavoro sopra descritta ci motiva a sviluppare un’ulteriore riflessione sui fattori che più di altri ci sembrano essere al centro della generazione di incertezza del corpo sociale. In questo senso, guardando ai comportamenti effettivamente realizzati nell’ambito della sfera quotidiana dell’organizzazione, forse, come suggerisce Paolo Fabbri, può essere utile l’idea di riportare in primo piano l’infame23.
- Note de bas de page 24 :
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Erving Goffman, The presentation of self in everyday life, Woodstock, Overlook Press, 1973.
Questa ambigua figura, diversamente dall’immagine dell’attore-robot con cui ancora una certa pubblicistica ritrae l’interazione tra gli esseri umani, risponde all’esigenza di rendere conto dell’insieme di simulazioni e dissimulazioni che tanto caratterizzano l’ambiente organizzativo e aziendale. Essa, per la precisione, corrisponde al profilo dell’agente doppio, già descritto dal sociologo Erving Goffman nel suo volume fondamentale del 197324. Essere infedele per definizione, l’infame assume i contorni di un soggetto il cui fare dipende da esigenze e circostanze che sono ben più fluide di quelle “contrattuali”, come, per rimanere al caso nostro, quelle del legislatore. Più che di contratti potremmo parlare di patti, assai mutevoli, nella cui sfera non è difficile sentirsi a proprio agio nei panni del traditore.
- Note de bas de page 25 :
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La parola letteraria, op. cit.
In un contesto così fatto gli attori vivono con sospetto le relazioni con i propri colleghi, e di sovente coinvolti in giochi di smascheramento delle possibili intenzioni nascoste. Così, tra percezione del complotto e paura della cospirazione la relazione tra programmazione e soggettivazione, con le parole di Geninasca, non attiene alla dimensione fedele dell’adesione timica25. Il sistema di valori è semmai oggetto di una assunzione predicativa, più temporanea e attualizzata all’interno delle retoriche della manipolazione. Una relazione, ancora, assai più contradditoria della prima, nella quale i valori sono insieme affermati e negati.
- Note de bas de page 26 :
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P. Fabbri, Elogio di Babele, op. cit., p. 118.
Ciò non ci conduce in una sfera intima, personale, quasi privata e dunque difficilmente osservabile dei comportamenti effettivamente attualizzati nella sfera quotidiana. Questa dinamica piuttosto è propria della dimensione comune. Essa infatti, seguendo Paolo Fabbri, riguarda “l’ordine sociale” il quale, “può dirsi rafforzato e insieme messo in discussione”26. Così, nel corpo sociale accade che se da una parte, si manifesta il desiderio di un processo di affermazione dell’ordine e del senso definito dal legislatore, dall’altra, nella dinamica concreta delle sue azioni si realizza il suo tradimento, attraverso movimenti collettivi in cui si definiscono ordini singolari.
- Note de bas de page 27 :
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J. Lotman, Cercare la strada. Modelli della cultura, Venezia, Marsilio, 1994.
Questo principio mosso da una programmazione doppia si ritrova di sovente anche tra gli attori non-umani, nei testi normativi che proiettano nella sfera del senso le tensioni e le contraddizioni interne al discorso giuridico. Sono i casi in cui si presenta un conflitto di valori che genera spazi di ambiguità. Il soggetto si trova di fronte alla scelta : è meglio proporre un progetto di lavoro la cui realizzazione attualizzerebbe i valori di base, come ad esempio l’ideale del bene comune riportato nello statuto dell’entità pubblica o, viceversa, presentare un progetto meno ambizioso ma che ci assicura un premio di produttività ? Come spesso succede si procede per aggiustamenti. È il momento in cui, diremo con Lotman, si apre il fascio delle possibilità del soggetto27. E anche la sua libertà.