Dire il gusto, ma in che chiave ?

Giorgio GRIGNAFFINI

Università Cattolica di Milano

https://doi.org/10.25965/as.6293

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Mots-clés : continuité / discontinuité, expérience, goût, intersubjectivité, subjectivité, sujet / objet

Auteurs cités : Jean-Marie FLOCH, Algirdas J. GREIMAS, Eric LANDOWSKI, Gianfranco MARRONE, Isabella PEZZINI

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Texte intégral

Introduzione

Il nostro rapporto con il mondo è, anche più di quanto potremmo pensare, caratterizzato quotidianamente da una continua formulazione di giudizi di gusto. Scegliamo cosa mangiare, bere come vestirci, in quali luoghi incontrarci e con chi sulla base di un criterio che spesso è riconducibile, se ridotto alla sua formulazione di base, all’opzione binaria “mi piace / non mi piace”. Questa semplice reazione di fronte alle cose o alle persone che ci circondano si è poi negli ultimi anni trasformata in una sorta di ossessione collettiva attraverso i social network, il cui funzionamento è fondato largamente sulla possibilità di manifestare la propria adesione attraverso il “like” : essere sui social network significa sottoporsi ad un continuo giudizio di valore manifestato proprio sull’asse del “mi piace / non mi piace”.

Per comprendere meglio che cosa stia alla base della formulazione dei giudizi di gusto, iniziamo notando che essi sono riconducibili all’espressione di giudizi di valore rispetto alla relazione tra il sè e l’altro da sè — che sia una cosa, un essere animato o un essere umano. Trasferendo queste osservazioni nei termini di una problematica in ambito semiotico, la relazione in gioco è quella che si stabilisce, ma anche si discute — e inoltre si può sempre trasformare — tra un Soggetto e un Oggetto. Questa relazione si manifesta attraverso diversi tipi di discorsi, l’insieme dei quali potrebbe essere vista come un’epistemologia semiotica del gusto.

Infatti, come cercheremo di mostrare, nei diversi modi in cui si posizionano reciprocamente Soggetto e Oggetto all’interno del discorso — quindi attraverso la mediazione del linguaggio — è possibile ricostruire una sorta di mappa delle diverse accezioni in cui si articola il gusto. Da questo punto di vista, ciò che viene chiamato di “gusto” si presenta come una categoria generale tanto più potente in termini euristici in quanto ci appare sfaccettata nelle diverse accezioni del linguaggio comune (gusto come sapore, come inclinazione soggettiva, come moda ecc.) a cui si possono ricondurre tutta una serie di esperienze, di pratiche, di attitudini, e, ovviamente, di discorsi, che mettono al centro una relazione tra Soggetto e Oggetto vista sotto il segno dell’attrazione (gusto) o della repulsione (disgusto).

Non è necessario insistere sul fatto che la mediazione discorsiva è fondamentale per comunicare, a livello intersoggettivo, qualcosa delle proprie percezioni, ovvero di quei fenomeni che si possono considerare puramente soggettivi, giacché nascono nell’incontro propriocettivo tra Soggetto e Oggetto. È infatti proprio grazie alla messa in discorso che il sistema di attrazione / repulsione che caratterizza il rapporto di ogni Soggetto con il mondo che lo circonda, diventa socializzabile ed è sempre grazie alla messa in discorso che si può parlare del gusto come di una categoria generale, nonostante le sue molteplici accezioni.

Note de bas de page 1 :

Cfr. A.J. Greimas, De l’Imperfection, Périgueux, Fanlac, 1987. Dell’imperfezione, Palermo, Sellerio, 1988.

Ma prima di analizzare i diversi tipi di discorsi che si occupano di gusto, vediamo in dettaglio quali sono le accezioni di questo termine a cui facciamo riferimento. La prima è quella che vede il gusto come uno dei cinque sensi, come facoltà percettiva del Soggetto che reagisce ad uno stimolo fisico provando una sensazione che immediatamente si qualifica come piacevole o spiacevole. Si tratta di un momento che potremmo definire fusionale, in cui i confini tra Soggetto e Oggetto sembrano svanire in quella che Greimas ha definito “la saisie esthétique”1. È un momento intimo, legato all’interiorità del soggetto.

Un’altra accezione è quella che, partendo sempre dalla percezione sensoriale, fa un passo ulteriore, segmentandola e paragonandola a un repertorio esperienziale ricavato da altre percezioni sensoriali precedentemente sperimentate : è quel confronto tra percezioni gustative diverse che scatta, ad esempio, quando il Soggetto che assaggia un cibo o un vino, descrive la sensazione provata secondo determinati parametri (un cibo è più salato di un altro, è grasso, croccante ecc., un vino è fruttato, armonico ecc.). È il momento in cui la percezione diventa un atto organizzato, destinato a produrre un giudizio di gusto : è quell’attività socialmente definita e istituzionalizzata sotto il nome di “degustazione”.

Di gusto si parla poi quando ci si riferisce a una tendenza socialmente rilevante di apprezzamento di una categoria di oggetti : ad esempio quando si parla del gusto dei giovani per un determinato stile musicale o di abbigliamento, oppure di persone di “buon gusto”, cioè aderenti a determinati modelli di riferimento comportamentali, consumi, modi di pensare, frequentazioni. A questo genere di nozioni “sociali” vanno poi aggiunti due modi socialmente diffusi di considerare il “gusto”. Parliamo in particolare dell’uso che del giudizio di gusto fanno gli individui per definirsi all’interno dei gruppi sociali : da una parte l’idea della irriducibile idiosincraticità del gusto per cui “de gustibus non disputandum est”, motto usato e abusato che attribuisce al giudizio di gusto un carattere insindacabile e quindi estromesso da ogni possibile contraddittorio o spiegazione ulteriore. Dall’altra, l’idea che invece esista un “buon” gusto e un “cattivo” gusto : in questo caso il gusto viene considerato alla stregua di un canone, estetico, etico, comportamentale, a cui aderire per restare all’interno di un gruppo sociale rispettandone le norme e, di conseguenza, anche il modo di suddividere la società in gruppi. Chi si adegua al “buon gusto” — nella misura in cui ogni gruppo sociale lo definisce — è accettabile e accettato, chi non si adegua viene respinto ai margini del proprio gruppo sociale.

Alla base di tutte queste nozioni di gusto troviamo sempre una relazione tra soggetto senziente / percipiente e oggetto sentito / percepito, relazione che si fa, grazie al linguaggio, intersoggettiva. Quello che vorremmo tentare a partire da queste premesse è ricondurre queste diverse accezioni alla loro dimensione discorsiva, cioè vedere in che modo ciascuna generi una categoria discorsiva peculiare.

In termini di efficacia analitica, ci sembra che uno dei migliori criteri di distinzione tra i discorsi che — pur nella loro grande diversità — trattano del gusto, sia quello che ci fornisce la categoria di continuità versus discontinuità (già tante volte esplorata dai semiologi), che, in questo caso, applicheremo alla relazione tra Soggetto e Oggetto. Questo ci consentirà di tipologizzare i discorsi “del gusto” secondo il modo in cui esplorano l’uno o l’altro dei quattro tipi di relazioni che di seguito elenchiamo :

i) per primi vedremo i discorsi che ci parlano del gusto inteso come pura attività percettiva e come esperienza fusionale : in essi Soggetto e Oggetto si pongono in una relazione di continuità ;

ii) altri discorsi considerano la stessa attività percettiva, ma collocandosi potremmo dire “a distanza”, con un’attitudine analitica : il Soggetto si pone in discontinuità rispetto all’oggetto e quindi l’esperienza gustativa viene riproposta discorsivamente in maniera riflessiva ;

iii) altri indagano il gusto come costruzione sociale, come categoria storicamente, economicamente, geograficamente determinata : in questo caso tra Soggetto e Oggetto abbiamo una relazione di non continuità, in cui la relazione tra i due poli si effettua per il tramite di un sapere sociale condiviso, in genere di una disciplina scientifica o sociale ;

iv) infine ci sono discorsi che trattano del gusto come predilezione soggettiva : in questo caso si manifesta una relazione di non discontinuità tra Soggetto e Oggetto, in quanto il soggetto reagisce senza mediazioni all’oggetto, ma senza allo stesso tempo segmentare la percezione come accadeva nel caso della discontinuità totale.

Queste distinzioni si prestano ovviamente a una schematizzazione in forma di quadrato semiotico. Lo presentiamo di seguito in modo che possa servire come modello di riferimento su cui si articola la logica delle relazioni tra i quattro tipi di discorsi che ora ci proponiamo di percorrere brevemente.

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1. I testi estesici

Note de bas de page 2 :

E. Landowski, “Unità del senso, pluralità di regimi”, in G. Marrone, N. Dusi, G. Le Feudo (a cura di), Narrazione ed esperienza. Intorno a una semiotica della vita quotidiana, Roma, Meltemi, 2007.

Note de bas de page 3 :

Ibid., p. 29.

Al polo in cui Soggetto e Oggetto sono in una situazione di piena continuità, si trova un tipo di testi che definiremo “estesici” : si tratta di quei testi in cui il linguaggio si ripiega sull’esperienza annullandone le distanze. Eric Landowski in un articolo del 2007 parlava di “vissuto dell’esperienza” — il momento percettivo di contatto tra mondo e soggetto — e “discorso della narrazione”, ossia l’articolazione che organizza il dato percettivo in discorso2. Questa distinzione non porta come conseguenza quella di rendere pertinente allo sguardo semiotico solo la dimensione discorsiva propriamente detta (ovvero “il discorso della narrazione”) ma, al contrario, ci mostra come anche l’altro polo, “il vissuto dell’esperienza”, sia invece assolutamente pertinente : per Landowski bisogna tener conto del fatto che “è infatti il reale nella sua globalità che ha una vocazione a significare e di conseguenza il nostro compito è di rendere conto del modo in cui l’insieme degli elementi che ci circondano producono senso, attraverso l’esperienza diretta e immediata che noi ne abbiamo”3.

Postulata quindi la pertinenza dell’esperienza soggettiva all’analisi semiotica, quello che caratterizza questa prima categoria di discorsi è proprio la cancellazione della distanza tra il linguaggio — caratterizzato dalle sue categorie discrete e sottomesso alla logica della temporalità narrativa fatta da una sequenza diacronica di momenti — e l’esperienza, in cui il corpo, attraverso la percezione, reagisce in maniera sincronica al mondo, mettendo perciò in totale continuità il Soggetto e l’Oggetto della percezione.

Il gusto emerge in questo tipo di discorsi come attività percettiva, prima della sovrapposizione di qualunque altra categoria analitica e valutativa : insomma il gusto si presenta in questi testi come pura reazione sensoriale del Soggetto all’Oggetto. Il linguaggio cerca di rendere la fusione tra Soggetto e Oggetto, cercando di superare l’irriducibile segmentazione che il livello grammaticale, con le sue categorie articolate logicamente (singolare / plurale ; attivo / passivo ; prima persona / seconda persona / terza persona — “débrayage” e “embrayage” in altre parole) porta con sé, per raccontare l’indicibile, cioè il puro istante fusionale tra l’io è il mondo.

Per esemplificare questo primo tipo di testi abbiamo scelto il celebre brano della Madeleine nel primo libro della Recherche di Proust. Di questo brano metteremo in luce il modo in cui l’esperienza percettiva si fa discorso mettendo in continuità, attraverso le forme linguistiche, il Soggetto e l’Oggetto.

Note de bas de page 4 :

M. Proust, A la recherche du temps perdu. I. Du coté de chez Swann, Paris, Folio, 1988, pp. 101-102.

Et bientôt, machinalement, accablé par la morne journée et la perspective d’un triste lendemain, je portai à mes lèvres une cuillerée du thé où j’avais laissé s’amollir un morceau de madeleine. Mais à l’instant même où la gorgée mêlée des miettes du gâteau toucha mon palais, je tressaillis, attentif à ce qui se passait d’extraordinaire en moi. Un plaisir délicieux m’avait envahi, isolé, sans la notion de sa cause. Il m’avait aussitôt rendu les vicissitudes de la vie indifférentes, ses désastres inoffensifs, sa brièveté illusoire, de la même façon qu’opère l’amour, en me remplissant d’une essence précieuse : ou plutôt cette essence n’était pas en moi, elle était moi. J’avais cessé de me sentir médiocre, contingent, mortel. D’où avait pu me venir cette puissante joie ? Je sentais qu’elle était liée au goût du thé et du gâteau, mais qu’elle le dépassait infiniment, ne devait pas être de même nature. D’où venait-elle ? Que signifiait-elle ? Où l’appréhender ?4

Si tratta del resoconto di un’intensa esperienza interiore, scatenata da una percezione gustativa : assistiamo a una sorta di “fusione” tra Soggetto e Oggetto in cui vengono meno i confini di entrambi : “cette essence n’était pas en moi, elle était moi”. A partire da questa percezione si attiva quel meccanismo di memoria involontaria che è alla base della poetica della Recherche. In questo caso quindi, la dimensione del sensibile rappresenta, per così dire, il “contenuto” del brano.

È però possibile compiere un’analisi di questo brano anche vedendolo dal punto di vista del linguaggio in quanto mezzo di espressione che traduce, attraverso le sue categorie linguistiche e grammaticali, la situazione di piena continuità (giunzione) tra Soggetto e Oggetto. La dimensione del sensibile emerge così a livello dell’espressione.

Note de bas de page 5 :

Cfr. E. Landowski, Rischiare nelle interazioni, Milano, FrancoAngeli, 2010.

Seguendo questo approccio analitico, vediamo come la percezione gustativa venga descritta come attivazione involontaria di un piacere senza causa, o meglio senza causa cosciente “Un plaisir délicieux m’avait envahi, isolé, sans la notion de sa cause”. Il gusto è quindi contatto fortuito tra un corpo e un elemento sensibile, in questo caso un cibo, un biscotto, sciolto parzialmente in un liquido, il tè ; si tratta di un contatto sottoposto al regime del rischio, dell’accidente che nasce dall’incontro non programmato né manipolato volontariamente tra il mondo e il corpo5.

Proseguendo nel brano, dopo questo primo contatto non programmato tra il cibo e l’organo gustativo, vediamo verificarsi una sorta di perdita dei confini tra Soggetto e Oggetto : “Il m’avait aussitôt rendu les vicissitudes de la vie indifférentes, ses désastres inoffensifs, sa brièveté illusoire”. Attraverso il ribaltamento del rapporto più tradizionale di causa ed effetto che domina la percezione — è il Soggetto a controllare le percezioni — in questo caso è come se fosse l’Oggetto a imporsi (manipolare) il Soggetto, trasformandolo nelle sue certezze cognitive e patemiche (“les vicissitudes de la vie” e “ses désastres” e “sa brièveté illusoire”), in pratica modificandone lo status identitario.

Questo regime di manipolazione che l’Oggetto opera sul Soggetto si manifesta anche grammaticalmente : nelle prime due frasi analizzate il ruolo di Soggetto grammaticale è ricoperto da “un plaisir” che ha “envahi” e “isolè” il soggetto discorsivo ; anche in “Il m’avait rendu” e “il a rempli” ad agire in funzione di Soggetto è sempre il gusto. Solo a questo punto si opera il riconoscimento anche grammaticale della avvenuta fusione : “elle [cette essence précieuse] n’était pas en moi”. Al Soggetto del discorso, l’io, in questa prima parte della frase è ancora assegnato un ruolo di complemento di luogo, spazio aperto all’invasione dell’Oggetto del discorso che è ancora a pieno titolo soggetto grammaticale : ma finalmente si arriva alla congiunzione, “elle était moi”.

Da qui il soggetto del discorso e il soggetto grammaticale tornano a sovrapporsi, e ritorna a dominare la dimensione del sensibile con il verbo sentir che torna due volte in sequenza “J’avais cessé de me sentir médiocre, contingent, mortel. D’où avait pu me venir cette puissante joie ? Je sentais qu’elle était liée au goût du thé et du gâteau, mais qu’elle le dépassait infiniment, ne devait pas être de même nature”.

In questo segmento si assiste quindi al cambiamento di status sensibile (“J’avais cessé de me sentir médiocre, contingent, mortel”) : il Soggetto del discorso non si avverte più come era prima perché trasformato proprio dall’esperienza gustativa che è l’agente responsabile della trasformazione. Quello che avviene attraverso il gusto è l’annullamento della aspettualizzazzione terminativa — “contingent”, “mortel” — per accedere ad una dimensione di indefinitezza.

Come si vede, in questo testo si manifesta con estrema chiarezza la dimensione di continuità in cui si trovano Soggetto e Oggetto e il modo in cui il linguaggio si fa tramite intersoggettivo di ciò che avviene a livello propriocettivo.

2. I testi della degustazione

Al polo contrario del quadrato troviamo quei testi in cui si manifesta una sostanziale discontinuità tra Soggetto e Oggetto : chiameremo questa seconda categoria i “testi della degustazione”. In essi il linguaggio si fa tramite di un processo di “oggettivazione” dell’esperienza percettiva del gusto : sia l’oggetto della percezione (es. un vino o un cibo), sia il meccanismo sensoriale che porta a distinguerne e poi a descriverne le caratteristiche, sono tradotti in un testo in cui è prevalente la dimensione narrativa.

Note de bas de page 6 :

Sulla degustazione del vino cfr. G. Grignaffini, “Estesia e discorsi sociali : per una sociosemiotica della dgustazione del vino”, in E.Landowski e J.L. Fiorin (a cura di), Gusti e disgusti, Torino, Testo & Immagine, 2000, pp. 214-232 ; I. Pezzini, “Fluidi vitali : dalla bile nera allo champagne. Note sull’immaginario alcolico-passionale”, in G. Manetti, P. Bertetti, A. Prato, Semiofood, Torino, Centro Scientifico Editore, 2006, pp. 149-158 ; G. Marrone, “La narrazione del gusto in Brillat-Savarin”, in E. Landowski e J.L. Fiorin, Gusti e disgusti, op. cit., pp. 175-198.

In essi, infatti, ciò che si verifica è un percorso che attraverso tappe successive arriva proprio alla appropriazione da parte del Soggetto dell’oggetto di valore, che in questo caso è rappresentato dalla distinzione delle caratteristiche organolettiche del vino : si tratta quindi di un movimento progressivo che va da una disgiunzione a una congiunzione, riproponendo così la struttura di base della narratività6.

Nei testi della degustazione, il linguaggio, per così dire, “ipersegmenta” la sensazione, ne coglie sfumature sempre più sottili : ad esempio nel caso del vino, le innumerevoli gradazioni del colore di un rosso, oppure le infinite nuances del bouquet o del sapore vero e proprio che vengono ricondotte ad una gamma straordinariamente ampia di profumi, appartenenti ai più diversi mondi percettivi (pensiamo al gusto di goudron — catrame che viene riconosciuto all’interno del bouquet olfattivo di molti vini rossi importanti).

Quello che quindi nel testo estesico era descritto come momento fusionale, nel testo della degustazione viene invece analizzato e scomposto, portando all’estremo la disgiunzione tra Soggetto e Oggetto. E mentre nel testo estesico avevamo visto il discorso mettersi al servizio di una restituzione della percezione stessa, del “gusto” quindi visto come attività percettiva, in questo caso abbiamo il discorso che mira a restituire il gusto come “oggetto” esso stesso dell’attività analitica svolta dal soggetto.

Note de bas de page 7 :

“Unità del senso, pluralità di regimi”, op. cit., p. 27.

Note de bas de page 8 :

Ibid.

Se nel primo caso il discorso emergeva come riflessione sul proprio vissuto, quello che Landowski definiva “vissuto dell’esperienza7, ora invece vediamo all’opera il “discorso della narrazione” cioè quella “concatenazione di circostanze, che noi sentiamo il bisogno di ricostruire con l’obiettivo di padroneggiare e controllare nei minimi dettagli quella che ci appare come la nostra esperienza attuale”8.

Per esemplificare meglio il funzionamento dei “testi della degustazione”, vediamo come viene descritto un piatto da un critico gastronomico :

Note de bas de page 9 :

Andrea Grignaffini https://passionegourmet.it/2018/07/12/ristorante-the-craftsman-reggio-emilia/

Notevole il Capriolo con verza in due realtà e okra in cui il gambo della pianta tropicale, grazie alla sua viscosità coinvolgente, smorza la nota ferrosa della proteina, creando un contatto con la verza che ne esalta la consistenza.9

Il giudizio di valore, “notevole”, viene motivato da un’attenta disamina delle componenti del piatto, analizzate nel modo in cui le loro proprietà fisiche (“viscosità”, “nota ferrosa”, “consistenza”) agiscono sui sensi (“coinvolgente”, “smorza”, “esalta”). Il Soggetto degustatore si trova quindi a ripercorrere nel testo — dissezionando idealmente il piatto in ogni sua parte — il modo in cui avviene la percezione, mettendo al centro l’Oggetto, che arriva a dominare la scena discorsiva.

Discorso simile per quanto riguarda il vino in questo testo di un critico enologico :

Note de bas de page 10 :

http://gustodivino.it/vino/il-futuro-della-borgogna-e-nei-territori-considerati-di-serie-b-il-pinot-noir-di-guilhem-e-jean-hugues-goisot/armando-garofano/13402/

Pinot nero : il naso è composto, modesto, rende ben riconoscibile l’impronta varietale e poco più, ma al palato si svela un vino vibrante e sapido, dal frutto esile ma dal corpo pieno, animato da acidità calibrata e tannini eleganti. Un vero francese dallo stile limpido, preciso riconoscibile.10

Qui viene mostrato il rapporto tra il Soggetto, figurativizzato attraverso gli organi del senso — naso, palato — e l’Oggetto, di cui viene svelata, attraverso un percorso sensoriale dettagliato (dall’olfatto al gusto vero e proprio), una sorta di “personalità”. Il corpo del Soggetto è a confronto con la ricchezza di stimoli provocati da un Oggetto che si staglia autonomo, quasi antropomorfizzato (vedi l’uso di aggettivi come “modesto”, “vibrante”, “animato”). Alla fine del percorso sensoriale ricostruito passo dopo passo, appare quasi come dopo un identikit la vera identità del vino cui viene riconosciuta una sorta di dimensione di soggettività contrapposta a quella del degustatore : “un vero francese dallo stile limpido, preciso riconoscibile”.

Un ultimo brano invece appartiene a una guida alla degustazione del vino :

Note de bas de page 11 :

L.D. Adams, Liberi di bere, Milano, Mondadori, 2018, p. 73.

Il primo assaggio si fa con gli occhi. Tenete il bicchiere in piena luce. È limpido, o brillante, o nebbioso, o opaco ? Ha viscosità ? Aderisce ai lati del bicchiere formando quelle che i francesi chiamano gambe o lacrime del vino ? Esaminato il colore : è giusto per il tipo di vino o c’è qualcosa che non va ? Prendete nota perché ogni cosa percepita dagli occhi sarà parte della valutazione globale del vino. (...) Il secondo esame si fa con il naso. Fate ruotare il bicchiere per vaporizzare di odori volatili in modo che raggiungono le cellule nervose dell’olfatto, sepolte nelle mucose delle parti in alto dei canali nasali. Ci sono aromi strani o cattivi (lievito, parti legnose, accetto, muffa, uva passita, gomma, ossidazione) ? Ci sono aromi di frutta ? Di che genere ? Il bouquet è intenso, moderato, poco presente o assente del tutto ? Alla terza tappa, arriva il momento di sentire il vino in bocca. Masticatelo, aspirate aria tra denti e vino di nuovo per volatilizzare e inviare gli odori così intensificati lungo i passaggi nasali ripieni di cellule olfattive. Nel frattempo, le papille gustative sulla punta della lingua vi diranno se il vino è dolce e quanto, quelle ai lati percepiranno il salato e altre se è acido e quanto, mentre l’amaro si sente più verso il fondo. Le papille gustative percepiscono solo questi quattro sapori : dolce, salato, acido e amaro. Altre terminazioni nervose nella bocca restituiscono le sensazioni di caldo o freddo, morbido o ruvido, astringenza e consistenza, o “corpo”.11

In questo testo, si dimostra ancora più chiaramente il funzionamento di questo tipo di discorsi : la disgiunzione tra soggetto e oggetto si fa programmatica e la dimensione discorsiva diventa parte integrante della degustazione, attraverso l’invito a “prendere nota”. Ogni step percettivo si deve quindi verbalizzare, e il gusto emerge di conseguenza come la risultante di una serie estremamente puntuale e dettagliata di percezioni testualizzate.

3. I testi critici

Proseguendo nella disamina del quadrato siamo arrivati ai sub-contrari : il polo della “Non continuità” è quello dove si situa quel tipo di discorsi in cui viene negata la fusione tra Oggetto Percepito e Soggetto Percipiente (ad es. vino e degustatore), tipica del “testo estesico”, ma in un modo diverso rispetto a quelli “della degustazione”.

Infatti, mentre in questi ultimi, come abbiamo visto, il discorso opera la messa a distanza dell’Oggetto che provoca la percezione, fornendo del gusto una descrizione oggettivata — che si manifesta attraverso una segmentazione discreta dell’Oggetto — in questo caso il distanziamento tra Soggetto e Oggetto viene riportato alla dimensione intersoggettiva. La “non continuità” tra Soggetto e Oggetto è quella infatti che si verifica quando nel discorso il gusto viene visto non più nella sua dimensione idiosincratica (sia pure nelle due accezioni opposte che abbiamo visto all’opera in precedenza — fusionale e oggettivata) bensì attraverso la mediazione che ne fanno i discorsi socialmente deputati a parlare di gusto : li chiameremo “testi critici”.

Note de bas de page 12 :

Robert Appelbaum, De Gustibus, Bologna, Odoya, 2012.

Ci riferiamo a quei testi che possono essere ricondotti a discipline come la storia, la sociologia, la geografia, l’economia, quando mettono al centro del loro interesse il “gusto” nell’accezione di predilezione socialmente definita. Tra questi possiamo annoverare ad esempio tutti quei testi dedicati alla storia della cucina o di un determinato alimento, oppure alla diffusione o all’influenza di un particolare cibo o bevanda, a livello economico e sociale, oppure alla descrizione delle produzioni e delle preparazioni alimentari di un territorio. Per esemplificare in che modo funziona questo regime discorsivo, abbiamo preso alcuni esempi. Il primo è tratto dall’opera di un critico letterario e storico inglese, Robert Appelbaum, dedicata ad analizzare il ristorante dal punto di vista della sua genesi storica e delle sue implicazioni filosofiche, storiche, economiche12. Quindi, già progettualmente, il libro si occupa della questione del gusto, attraverso la mediazione di una serie di discipline (e di autori di riferimento, tra i quali Sartre, Baudrillard, Morris) : il gusto provocato dall’incontro sensoriale tra Soggetto e Oggetto, che abbiamo visto al centro dei due precedenti tipi di testi, viene quindi allontanato dalla soggettività per diventare discorso intersoggettivo.

Vediamo un brevissimo estratto per comprendere meglio questo approccio :

Note de bas de page 13 :

De Gustibus, op. cit., p.13.

Secondo la classica teoria economica, gli individui razionali, con l’intento di massimizzare l’utilità e il piacere, sceglieranno liberamente di frequentare i ristoranti appetibili a loro disposizione. (...) Inoltre, quegli stessi individui razionali preferiranno un dato ristorante a un altro basandosi su un calcolo in cui si ricerca sempre un tipo di profitto, un qualche surplus. (...) I nostri “gusti”, pertanto, costituiscono il nostro surplus di godimento. Per quanto riguarda la scelta fra due ristoranti diversi per qualità, prezzo o tipologia di cucina, entra in gioco il medesimo calcolo di un valore extra perché magari il bel ristorante francese e costoso ci offrirà qualcosa che più si confà ai nostri gusti oppure, viceversa, forse la trattoria locale più modesta ed economica ci darà qualcosa in più, poiché ci sentiamo più a nostro agio, è alla nostra portata e soddisfa maggiormente i nostri gusti semplici e la voglia di cibi grassi.13

In questo brano la nozione di gusto viene quindi analizzata facendo ricorso alla teoria economica : dal livello propriocettivo dei testi estesici o da quello analitico tipico dei testi della degustazione — tutto orientato alla segmentazione dell’oggetto e delle percezioni che ne accompagnano la fruizione — siamo arrivati qui a considerarlo a un livello socioeconomico, relativo alla soddisfazione di bisogni (indotti o reali).

I gusti quindi non sono tanto una questione percettiva, ma la risultanza di una sorta di calcolo utilitaristico, di maggiore o minore soddisfazione legata a una molteplicità di fattori : il prezzo del cibo, la qualità, il cercare “distinzione” sociale o invece il “sentirsi a proprio agio”.

Note de bas de page 14 :

Gilles Pudlowski, A quoi sert vraiment un critique gastronomique ? Paris, Armand Colin, 2011, p. 170.

Un altro esempio di come si possa parlare di gusto attraverso le griglie di un discorso “non soggettivo” in quanto mediato da un sapere sociale stabilito, è il seguente passo tratto dal libro A quoi sert vraiment un critique gastronomique ?14 del celebre giornalista gastronomico francese Gilles Pudlowski :

Dénicher le bleu de Termignon, fabriqué encore en Isère par quatre producteurs courageux, (…) le comté fruité, le reblochon crémeux, le saint-nectaire au goût de terre, le beaufort d’alpage, le cantal serré, le laguiole friable, le vacherin doux, le brie coulant mais pas trop, le camembert authentique, le livarot aux lèches vertes, indiquant ses cinq bandes de “colonel” et sa fabrication artisanale, le pont l’évêque au nez de lait sûri et les chèvres cendrés, frais, secs ou serrés : voilà un sport qui ressemble à une exploration douce et lente de tous les bons petits pays français.

In questo elenco di formaggi si intreccia costantemente una descrizione produttivo-geografica dei vari formaggi con un breve accenno alle proprietà organolettiche del prodotto ; il tutto è poi descritto come una “exploration douce et lente” dei territori della Francia contadina. Anche in questo caso sia pure con modalità diverse, il testo lavora “parlando del gusto” di alcuni formaggi — abbondano gli aggettivi riferiti alle qualità dei prodotti,“fruité”, “crémeux”, “au goût de terre”, “doux” — anche se allo stesso tempo di altri formaggi vengono invece utilizzate altre caratteristiche identificative quali la provenienza (“le beaufort d’alpage”), l’autenticità (“le camembert authentique”), il tipo di produzione (“sa fabrication artisanale”), le varianti disponibili (“chèvres cendrés, frais, secs ou serrés”). Niente a che vedere quindi con i testi della degustazione, in quanto le proprietà qualificanti dei vari formaggi sono date a priori, come elementi caratterizzanti il prodotto stesso, e non sono invece il frutto della disamina percettiva effettuata dal soggetto.

4. I testi della predilezione soggettiva

Al polo della “Non discontinuità” si pone invece quella modalità discorsiva in cui domina una reazione immediata del Soggetto all’Oggetto come nel caso dei testi estesici, ma in cui, a differenza di questi ultimi, ciò che viene messo in evidenza è la dimensione esplicitamente valutativa (il gusto come restituzione di un “mi piace o non mi piace”, non articolato, irriflesso).

In questi testi la descrizione dell’esperienza percettiva è al servizio di un sistema di valutazione in cui predomina l’opposizione gusto / disgusto ; ma tale valutazione non arriva al termine di un processo in cui, come nel caso dei testi della degustazione, ogni passaggio percettivo è sviscerato e narrativizzato, bensì è la reazione immediata e sincretica all’esperienza. In essi, la valorizzazione di un oggetto rispetto ad un altro è fondata dichiaratamente su un criterio puramente soggettivo, svincolato da ogni parametro oggettivo. È insomma il trionfo del de gustibus non disputandum est, perché il gusto è relativo alla sola idiosincratica valutazione soggettiva. Da qui discende la natura fortemente semplificata e addirittura tautologica di espressioni come : “mi piace e basta !” oppure “mi piace perché mi piace”. Li chiameremo “testi della predilezione soggettiva” proprio perché sono totalmente al servizio del giudizio di gusto.

Esemplari in questo senso sono molte delle recensioni effettuate dagli utenti sui vari siti internet relativi ai ristoranti o alle ricette di cucina. Prendiamo ad esempio una recensione di un ristorante postata sul sito Tripadvisor.com.

Note de bas de page 15 :

https://www.tripadvisor.it/ShowUserReviews-g187849-d2361569-r641740973-VUN_Andrea_Aprea-Milan_Lombardy.html#

Io e il mio fidanzato abbiamo scelto questo magnifico ristorante per festeggiare il nostro anniversario.
È stata un’esperienza davvero unica e speciale che consiglio a tutti.
I piatti sono esplosioni di gusto, si sente tutta la qualità dei prodotti utilizzati e la maestria nell’elaborarli. Indimenticabile la caprese dolce e salata, che senza ordinarla arriva come amuse bouche e ti lascia senza parole !

Per quanto riguarda il locale, è elegantissimo ma molto sobrio, il personale è gentile e disponibile, e hanno accontentato ogni nostra richiesta.15

La recensione evidenzia fin da subito due dei caratteri che abbiamo definito come fondamentali in questo tipo di discorso : da una parte la centratura sulla soggettività evidenziata dall’uso della prima persona (singolare o plurale, perché il testo si svolge come un’esperienza condivisa), dall’altra l’estrema semplicità del racconto dell’esperienza gustativa. A prevalere è l’idea che il gusto sia un’esperienza, un momento quindi non mediato da troppe distinzioni concettuali, un momento che con una certa ingenuità viene definito come unico e irripetibile, ma che nello stesso tempo si pensa di poter condividere con gli altri : “È stata un’esperienza davvero unica e speciale che consiglio a tutti”. Che l’esperienza gustativa sia costantemente sottomessa non all’analisi di quello che avviene a livello percettivo, ma soltanto alla restituzione di un giudizio di valore sostanzialmente sintetico è confermato dalle frasi successive : “I piatti sono esplosioni di gusto, si sente tutta la qualità dei prodotti utilizzati e la maestria nell’elaborarli”. Dei piatti, in generale, senza distinzioni, si ricorda “l’esplosione di gusto”, senza entrare nello specifico (a differenza dei testi della degustazione, dove invece le componenti del piatto e il percorso gustativo erano dettagliati). Allo stesso modo il valore delle materie prime usate e l’abilità del cuoco sono considerate tautologicamente come inerenti alla stessa percezione : affermo che i piatti sono buoni perché cucinati con buone materie prime da un bravo chef, ma posso dire che le materie prime son buone e il cuoco è bravo perché “si sente” dai piatti.

Ancora una volta nessuno sforzo di dettagliare meglio l’origine dei prodotti, lo stile di preparazione, o per riflettere criticamente sul tipo di ristorazione proposto, confrontando la propria esperienza con un sistema assiologico strutturato disciplinarmente, come avevamo visto nel caso dei “testi critici”, ma un ripiegamento sulla propria scala personale di valori, in cui quello che conta è il proprio personale apprezzamento, la rispondenza dell’“esperienza” al proprio criterio di soddisfazione. E nello stesso tempo pur essendo un tipo di discorso centrato sulla soggettività, quello che viene descritto non è il momento percettivo / fusionale che il linguaggio si presta a cercare di rendere intelligibile, come avveniva nei testi estesici.

Non a caso abbiamo portato come esempio di questo tipo di discorso relativo al gusto, proprio un testo tratto da un social network : come dicevamo all’inizio, è proprio della dimensione discorsiva dei social network la centratura sul “like” (o il “dislike”) insomma l’adesione diretta e non argomentata del soggetto all’oggetto.

E a ben guardare si tratta della stessa logica discorsiva ipersemplificata e totalmente rivolta alla gratificazione immediata del soggetto che è alla base dello slogan ormai decennale della catena di fast food McDonald’s : “I’m loving it”. Andando da Mc Donald’s non c’è bisogno di particolare conoscenze o competenze percettive : “io lo amerò, mi piacerà”, senza ulteriori complicazioni. L’esperienza offerta da Mc Donald’s è quindi proposta dalla pubblicità come momento sincretico di godimento : non importa cosa si mangia o chi è il cliente perché sicuramente lo si amerà.

In altre parole, in questo tipo di testi il processo di degustazione oggettivamente restituita dal linguaggio viene sostituito — o integrato successivamente— in un giudizio di valore sintetico che non ha pretese di oggettività bensì esalta invece la dimensione soggettiva. In essi si verifica perciò una “non discontinuità” tra Soggetto e Oggetto, in quanto pur essendo necessaria una presa di distanza tra i due poli, senza la quale non sarebbe possibile un giudizio di valore, essa comunque viene negata in quanto, alla fine, viene “riassunta” dalla soggettività preponderante del giudizio stesso basato su un dato percettivo, per quanto semplificato all’estremo.

Conclusione

Note de bas de page 16 :

Si pensi in primo luogo a quelli di Jean-Marie Floch (in Semiotica, marketing e comunicazione, Milano, FrancoAngeli, 1992), Eric Landowski (in Pour une sémiotique du goût, São Paulo, CPS, 2013 e Actes Sémiotiques, 122, 2019) e Gianfranco Marrone (in Semiotica del gusto, Milano, Mimesis, 2016).

Dell’analisi di una serie di discorsi volontariamente limitata, ma, crediamo, abbastanza rappresentativa, sono emerse contemporaneamente due punti : non solo, come era previdibile, la grande ampiezza della gamma di significati e conseguentemente di discorsi in cui si articola la nozione di “gusto”, cosi come l’importanza delle differenze qualitative che le oppongono tra loro, ma anche e soprattutto, la possibilità di ricondurre questa varietà ad una categoria (continuità / discontinuità tra Soggetto e Oggetto) euristicamente abbastanza potente da descriverne i contorni con una certa efficacia. Si tratta naturalmente delle basi di un lavoro che dovrebbe essere confrontato a altri modelli possibili o gia esistenti16 e che, ovviamente, andrebbe ampliato e sottoposto ad ulteriori prove sul campo dei testi socialmente diffusi, ma che ci sembra possa consentire un proficuo lavoro di semplificazione metodologica nell’affrontare una materia così complessa e sfaccettata.

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