« Il giardino dei sentieri che si biforcano » : la Villa d’Este a Tivoli

Fausto Testa 

https://doi.org/10.25965/visible.301

Texte intégral

Dedico questo saggio a Rossana Bossaglia per i suoi ottant’anni.

Note de bas de page 1 :

Rosario Assunto, Il paesaggio e l’estetica, Napoli, Giannini, 1973.

Se la fruizione estetica della natura in quanto paesaggio comporta la sollecitazione, in misura diversa, di pressoché tutti gli organi di senso dell’uomo1, laddove, nella realizzazione di un giardino, la natura stessa diviene materia per la ricreazione di un paesaggio artificiale, tale operazione artistica potrà del pari sfruttare la qualità polisensoriale intrinseca al proprio oggetto per disporre di una gamma straordinariamente ampia e variata di registri semantici.

Note de bas de page 2 :

Michel de Montaigne, Journal de voyage, a cura di François Rigolot, Presses Universitaires de France, 1992, p. 79. Cfr. Rosa Maria Frigo, « Le jardin d’eau dans les relations de voyage du XVIe siècle », La letteratura e i giardini, Atti del convegno internazionale di studi, Verona-Garda, 2-5 ottobre 1985, Firenze, Olschki, 1987, p. 227-240.

Opera d’arte elettivamente vocata, come ebbe a scrivere Montaigne ricordando le emozioni ricevute durante la visita al giardino mediceo di Pratolino, a rivolgersi a tutti i « cinq sens de nature »2, il giardino ha inoltre assunto, nel corso della sua storia e, in particolare, nella tradizione occidentale moderna a partire dal Rinascimento, il carattere di una autentica Gesamtkunstwerk, opera d’arte globale alla cui attuazione cooperano, secondo equilibri e gerarchie storicamente differenziate, una pluralità di discipline artistiche e di sofisticate competenze artigianali.

Note de bas de page 3 :

Francesco di Giorgio Martini, Trattati di Architettura, Ingegneria e Arte militare, a cura di Corrado Maltese, trascrizione di Livia Maltese Degrassi, Milano, Edizioni Il Polifilo, 1967, p. 245.

Sin dagli albori della moderna arte del giardino, dalla seconda metà del XV secolo, e quindi lungo tutto l’arco di sviluppo della tradizione italo-francese del giardino formale, l’inclusione della natura nell’universo umano della cultura si compie nei modi di un assoggettamento della natura stessa alle medesime « proporzionate misure » - come ebbe a scrivere Francesco di Giorgio - « che quelle delle case »3, conferendo all’architettura un ruolo egemone nel governo degli impianti strutturali del giardino e nella manipolazione della materia vegetale. Sempre l’architettura presiederà del pari alla realizzazione di grotte, ninfei, mostre d’acqua, padiglioni, fabriques, che andranno a popolare con continuità lo spazio del giardino nei secoli successivi, anche dopo la rivoluzione stilistica che, nel corso del Settecento, vedrà imporsi il nuovo gusto per la natura libera con il giardino paesistico all’inglese.

Note de bas de page 4 :

Cfr. Derek Clifford, A History of Garden Design, London, Faber and Faber 1962, p. 38-45 ; Elisabeth Blair MacDougall, « Imitation and Invention : Language and Decoration in Roman Renaissance Garden », Journal of Garden History, vol. 5, n. 2, 1985, p. 119-134. Cfr. anche Claudia Lazzaro Bruno, The Renaissance Garden, New Haven and London, Yale University Press, 1990, p. 131-166; David R. Coffin, Gardens and Gardening in Papal Rome, Princeton (N. J.), Princeton University Press, 1991, p. 17-27.

Dalla fine del XV secolo verrà tuttavia ad acquisire un’importanza sempre maggiore anche la scultura4, deputata ad arricchire la natura artificiata del giardino di apparati statuari, ornamento sempre più fastoso - organizzato spesso in cicli o sequenze dal valore simbolico, allegorico o narrativo - dei giardini formali, destinato a sopravvivere alla rivoluzione stilistica che si consuma nel corso del XVIII secolo per continuare ad animare, con presenze cariche di forza evocativa sentimentale, anche i giardini paesistici.

Note de bas de page 5 :

Cfr. Georg Simmel, « Philosophie der Landschaft », Id., Brüke und Tür, Stuttgard, Koehler, 1957, trad.it. Il volto e il ritratto. Saggi sull'arte, Bologna, il Mulino, 1985, p. 71-83.

Sarà quest’ultima tradizione culturale che vedrà infine il coinvolgimento più deciso, per quanto indiretto, della terza delle arti maggiori : la pittura, pronta ad offrire, con la pittura di paesaggio, un vasto e raffinato repertorio di modelli, ciascuno depositario di una peculiare Stimmung5, per le sistemazioni geomorfologiche e le composizioni vegetali del giardino all’inglese.

In particolare, poi, l’utilizzo delle acque, che costituiranno una presenza costante nei giardini, per quanto in forme storicamente molto diversificate, mobiliterà, nella stagione manierista e barocca, competenze artigianali ad altissimo livello per realizzare impianti idraulici sempre più complessi e sofisticati, in grado di « plasmare » l’elemento liquido in sfarzose, fugaci composizioni. La decorazione delle fontane, e delle nicchie o grotte che le accolgono, comportò inoltre l’apporto di altre arti minori, alle quali si debbono raffinate tessiture di tartari, colature, incrostazioni di « cose marine ».

Per il tramite dell’acqua, infine, anche la musica, per quanto in forme elementari votate a produrre stupefazione piuttosto che autentico godimento estetico, potrà offrire il suo contributo ad arricchire lo spazio del giardino, grazie agli organi idraulici, che, sul modello degli automata pneumatici eroniani, verranno spesso utilizzati per animare con i loro suoni i giardini dal Rinascimento al Barocco.

Nell’analisi dei giardini storici, se si intende assumere il giardino, ogni singolo giardino, inteso come spazio organizzato significante - rispettando così quella che nella più parte dei casi è stata la volontà di committenti e progettisti - , è necessario tuttavia rilevare come, oltre a configurarsi quale testo elettivamente polisensoriale e, per così dire, multimediale, esso, come e più di ogni opera di architettura, sia una sorta di organismo « vivente » in un equilibrio dinamico diacronico, suscettibile cioè di modificarsi nel tempo per i naturali processi di crescita della vegetazione, di degradarsi per incuria e abbandono, ma anche di subire profonde alterazioni in seguito ad interventi di « aggiornamento » stilistico, prassi, ad esempio, assai diffusa nel XVIII secolo al fine di assecondare il desiderio dei committenti di ammodernare i propri giardini formali, percepiti come obsoleti nei confronti del nuovo universo di forme imposto dall’imperante moda del giardino all’inglese.

Esito di tali operazioni è la creazione di organismi ibridati, entro i quali si affiancano per convivere, in muta paratassi o in palese conflitto, e comunque entro un testo che conserva una propria identità unitaria, sistemi formali eterogenei rispondenti ad estetiche antitetiche.

Se a queste situazioni radicali si può far fronte, in sede di indagine storica, con procedure analitiche che, forti di rigorose precisazioni filologiche, sappiano isolare astrattivamente coerenti tagli sincronici in modo da consentire uno studio metodologicamente corretto delle differenti fasi costruttive dell’opera in esame, un certo tasso di eterogeneità risulta tuttavia comunque intrinseco al giardino e in fondo coessenziale alla composizione di arti, codici, sistemi simbolici, ordini sensoriali che cooperano alla sua definizione.

Poiché inoltre, come spesso si è verificato nella storia, arti diverse possono presentare cicli di sviluppo discronici - sotto il profilo stilistico ma anche per quanto pertiene le poetiche - il giardino, come opera d’arte globale, costituisce il luogo elettivo di emergenza di tali eterogeneità e frizioni, che possono anche manifestarsi, come si potrà verificare più oltre, qualora sistemi formali depositari ab origine di una specifica valenza semantica vengano forzati a comunicare messaggi differenti, pur continuando a condurre su di sé, per una sorta di inerzia del codice, tracce del valore originario.

Analoghe situazioni di tensione risultano del pari rilevabili, sotto un altro punto di vista, anche per quanto riguarda i differenti ordini sensoriali implicati nella composizione e nei processi di ricezione del giardino : se in molti casi, spesso in risposta ad una precisa volontà progettuale coerente a una consapevole teorizzazione, essi si trovano ad agire in solidale sinergia tra loro e a declinare, per vie diverse e ciascuno nel proprio codice specifico, un medesimo contenuto semantico, ovvero agire autonomamente entro un neutro ordinamento paratattico, talora possono anche trovarsi - in risposta a riconoscibili istanze espressive - ad interferire conflittualmente tra loro, comunicando messaggi incoerenti o, al limite, in esibito contrasto.

Le tensioni che, come si è accennato, possono incrinare la coerenza interna di un congegno multimediale e polisensoriale delicato e complesso come il giardino in quanto neutri accidenti della storia o preterintenzionali incidenti della progettazione, nella tradizione manierista sono state tuttavia ricercate ed ostentate. L’interprete che affronti lo studio delle più ardite realizzazioni di quella età aurea del giardino formale sarà pertanto indotto a interrogarsi se, nell’analisi di ciascuna di esse, ci si trovi di fronte ad un testo unitario e non piuttosto a testi eterogenei, contigui, o meglio co-incidenti, e perciò stesso in attrito tra loro, e che l’effetto di senso complessivo che ne deriva scaturisca, primamente, da tale irriducibile, conflittuale eterogeneità.

Fantasmagorico teatro del disorientamento, il giardino manierista assurge così a forma simbolica emblematica di quella intensa stagione di incertezze e di crisi vissuta dalla civiltà europea nel corso del XVI secolo.

Se tale crisi, nell’ambito dei linguaggi artistici, si manifesta come frantumazione dell’identità della forma, la frizione tra istanze semantiche e modalità di produzione di senso dei differenti codici linguistici interagenti nel giardino manierista assume in tale prospettiva anche una precipua valenza critica, delineando una nuova poetica, in aperto contrasto con quelle rinascimentali.

Quella « perdita del centro » che la storia dello stile mostra ad evidenza, per la definizione degli impianti compositivi, nel passaggio tra il classicismo maturo dei primi due decenni del XVI secolo e le successive insorgenze anticlassiche - si pensi, a titolo di esempio, sulla scena fiorentina, alla dissoluzione dei misurati schemi spaziali di Fra’ Bartolomeo operata da Pontormo - avrà nel giardino un luogo emblematico ove palesarsi, trovando espressione proprio nella tensione, evidente anche a livello di modalità fruitive, tra i diversi codici che ivi interagiscono, all’interno di un medesimo organismo formale.

Note de bas de page 6 :

Cfr. Fausto Testa, Spazio e allegoria nel giardino manierista, Firenze, La Nuova Italia, 1991.

Tale radicalizzazione dell’eterogeneità tra i codici artistici cooperanti alla costruzione di un giardino - in particolare architettura e scultura6 - che in varia misura caratterizza tutti i più importanti giardini realizzati in Italia centrale dalla fine del quarto al nono decennio del secolo - dai giardini medicei di Castello, di Boboli e di Pratolino, a quelli di Villa Lante a Bagnaia, di Caprarola e di Bomarzo nel viterbese - si manifesta in forma esemplare nel complesso forse più sofisticato e fastoso cui tale tradizione abbia dato vita : il giardino della Villa d’Este a Tivoli.

Note de bas de page 7 :

Descrittione di Tiuoli, et del Giardino dell'Ill.mo Cardinal di Ferrara, con le dichiarazioni delle statue antiche et moderne et d'altri belli, et marauigliosi artificij, che ui sono, con l’ordine come si trouano disposti, ms., Paris, Bibliothèque Nationale, cod. Ital. 1179, ff. 247r-266v, f. 248v ; il testo è stato edito da David R. Coffin, The Villa d'Este at Tivoli, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1960, p. 141-150, per la citazione p. 143.

Note de bas de page 8 :

Sulla figura del Cardinale si rimanda a Vincenzo Pacifici, Ippolito II d’Este Cardinale di Ferrara (1920), ristampa anastatica Tivoli, Società Tiburtina di Storia e Arte, 1984; H. Lutz, « Kardinal Ippolito II d’Este (1509-1572) », Reformata reformanda. Festgabe für Hubert Jedin, a cura di Erwin Iserloch & Konrad Repgen, 2 voll., vol. I, Münster, Aschendorff, 1965, p. 508-530, trad. it. in Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e Arte, XXXIX, 1966, p. 127-156 ; L. Byatt, voce « Este, Ippolito d’ », Dizionario biografico degli italiani, vol. XLIII, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1993, p. 367-374.

Note de bas de page 9 :

Della vasta bibliografia relativa alla storia del complesso tiburtino si segnalano : Francesco Saverio Seni, La Villa d’Este in Tivoli, Roma, Scuola tipografica «Tata Giovanni», 1902 ; Vincenzo Pacifici, « Villa d'Este », Atti e Memorie della Società Tiburtina di Storia e Arte, I, 1921, p. 58-90 ; Attilio Rossi, La Villa d’Este a Tivoli, Milano, Treves, 1935 ; David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit. ; Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli. Ein Beitrag zur Geschichte der Gartenkunst, München, Prestel Verlag, 1966 ; Isa Belli Barsali & Maria Grazia Branchetti, Ville della campagna romana, Lazio 2, Milano, Sisar, 1975, p. 118-132 ; Leonardo B. Dal Maso, La villa di Ippolito d’Este a Tivoli, Firenze, Bonechi, 1978 ; David R. Coffin, The Villa in the Life of Renaissance Rome, Princeton (N. J.), Princeton University Press, 1979, p. 311-340, in particolare 311-319 ; Id., Gardens and Gardening in Papal Rome, op. cit., p. 85-91 ; Claudia Lazzaro Bruno, The Renaissance Garden, op. cit., p. 215-242 ; David Dernie, The Villa d'Este at Tivoli, London, Academy Editions, 1996 ; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », Villa d’Este, a cura di Isabella Barisi & Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, Roma, De Luca, 2003, p. 11-31, in particolare p. 23-29 ; Isabella Barisi, « Il disegno del giardino e l’architettura vegetale », Villa d’Este, op. cit., p. 55-81 ; David R. Coffin, Pirro Ligorio. The Renaissance Artist, Architect, and Antiquarian, University Park, Pennsylvania, Pennsylvania State University Press, 2004, p. 83-105.

Il grandioso complesso fu creato « con rarissima, et singolare magnificenza »7 per volere del cardinale Ippolito d’Este8, figlio cadetto di Alfonso I, duca di Ferrara, nominato governatore di Tivoli sin dal 1550 da parte del papa Giulio III. I lavori di costruzione, che si protrassero tra il 1560 e il 15729, anno della morte del committente, senza che l’opera potesse dirsi compiuta, vengono ricordati dalle fonti coeve, non senza palesi enfatizzazioni apologetiche, con i connotati mitici di una ciclopica impresa, che avrebbe trasfigurato un vallone aspro e petroso nel più splendido dei giardini.

Note de bas de page 10 :

Cfr. Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 89-90 ; William L. MacDonald & John A. Pinto, Hadrian’s Villa and Its Legacy, New Haven-London, 1995, p. 216-220 ; Eugenia Salza Prina Ricotti, « Villa Adriana in Pirro Ligorio e Francesco Contini », Atti della Accademia Nazionale dei Lincei : Memorie : Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, serie 8, XVII, 1973, p. 1-47.

Per quanto i documenti attestino con certezza il suo intervento solamente riguardo ad alcune fontane, da parte della storiografia contemporanea si ritiene con giudizio unanime che l’eruditissimo Pirro Ligorio, che fu alle dipendenze di Ippolito in qualità di « antiquario », e che aveva lavorato allo scavo archeologico della tiburtina Villa Adriana10, debba essere riconosciuto come il responsabile del progetto complessivo del giardino, pur senza potersi escludere che altri membri del cenacolo di umanisti legato al Cardinale siano intervenuti nella definizione del programma iconografico dell’apparato decorativo della villa e del giardino.

A dispetto delle modifiche introdotte nel corso dei lavori di completamento dell’opera negli anni successivi la morte del committente, e di quanto il tempo, l’incuria e l’azione dell’uomo, abbiano potuto, nei secoli successivi, alterare ulteriormente l’aspetto del giardino, un nutrito corpus di fonti coeve costituisce una solida base documentaria per ricostruire idealmente l’assetto originario che il complesso avrebbe dovuto assumere nell’intento dei suoi creatori.

Note de bas de page 11 :

Cfr. Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op. cit., p. 92-93; David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 125-126, 141-142 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 84. L’attribuzione a Ligorio è revocata in dubbio da Maria Luisa Madonna, « Il Genius Loci di Villa d’Este. Miti e misteri nel sistema di Pirro Ligorio », Natura e artificio. L’ordine rustico, le fontane, gli automi nella cultura del Manierismo europeo, a cura di Marcello Fagiolo, Roma, Officina, 1979, p. 190-226, in particolare p. 190.

Note de bas de page 12 :

Si tratta dei manoscritti : Paris, Bibliothèque Nationale, cod. Ital. 1179, ff. 247r-266; Wien, Nationalbibliothek, cod. 6750, ff. 449r-461v (edito quest’ultimo da Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 99-102). Un frammento della medesima descrizione è conservato alla Biblioteca Estense di Modena : Campori, MS G.2.3.

Note de bas de page 13 :

I testi della missiva indirizzata da Dupérac a Caterina de’ Medici nel 1573 ad accompagnare l’invio dell’incisione, e la legenda relativa a quest’ultima redatta da Antonio Lafrerj e intitolata A quelli che amano et desiderano di veder le cose belle, e rare, sono pubblicati in Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 102-103 e in Leonardo B. Dal Maso, La villa di Ippolito d’Este a Tivoli, op. cit., p. 23.

In particolare spiccano, per la ricchezza analitica delle informazioni e per la prossimità cronologica alle fasi conclusive della costruzione del giardino sotto il cardinale Ippolito, l’incisione realizzata da Étienne Dupérac nel 1573, e pubblicata nello Speculum Romanae Magnificentiae dal Lafrerj, e un’anonima Descrittione manoscritta, conservata in due copie identiche, a Parigi e a Vienna, che si ipotizza riproducano entrambe un originale perduto, redatto dopo il 1568 e attribuibile probabilmente allo stesso Pirro Ligorio11. Le due redazioni della Descrittione - che registrano il progetto in fase di attuazione - avrebbero accompagnato, fungendo da legenda, un disegno - non conservato - di Dupérac, inviato nel 1571 alle corti di Parigi e di Vienna con evidente volontà di propaganda12, e dal quale lo stesso artista avrebbe poi derivato il soggetto per la sua incisione, dedicata alla regina di Francia, Caterina de’ Medici13.

Note de bas de page 14 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 142.

Note de bas de page 15 :

David R. Coffin, Gardens and Gardening in Papal Rome, op. cit., p. 255-257.

Oltre ad attestare in modo attendibile, salvo qualche dettaglio14, il progetto definitivo dell’opera - del quale, secondo una consuetudine diffusa, vengono descritti come esistenti anche particolari ancora non realizzati - tali fonti, e, in particolare, il testo della Descrittione, contengono puntuali notazioni pertinenti e anche le modalità di fruizione, percettiva e dinamica, del giardino estense15, e costituiscono perciò, considerando l’importanza paradigmatica che esso detiene tra i contemporanei, un documento prezioso al fine di investigare la complessità dei livelli semantici e dei registri sensoriali implicati nella definizione del giardino come forma simbolica nell’età della Maniera.

Note de bas de page 16 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143.

Si richiude un gran uacuo, il quale pochi a’ni sono era pieno di dirupe di sassi, et di macchie, ma ora da due lati contigui è rileuato talmente, che fa una dolcissima collina, alla radice della quale s'allarga un piano in quadro [...] ridotta in questa forma per ordine dell Ill.mo et Rmo sig.r Don Hippolito da Este Cardinal di Ferrara, il quale avendo fatto stirpare le macchie, romper’ i gran sassi, et agguagliar’ i dirupi, et condottoui un grosso ramo del fiume hauendo fatto forare con grand.ma fatica et spesa il Monte passando sotto la Città hà fabbricato la sua famosissima villa, et Giardino Estense con rarissima, et singolare magnificenza, i compartimenti delle fabbriche, le statue, et altre infinite marauiglie, lequali sono notate ad alfabeto, et numeri, che mostrano il lor sito nel presente ritratto16.

Note de bas de page 17 :

Cfr. Claudia Lazzaro Bruno, The Renaissance Garden, op. cit., p. 69-108.

Sin dall’incipit la Descrittione evidenzia come, nella realizzazione del giardino, i problemi costruttivi comunque inerenti alla formalizzazione di un’area aperta tanto vasta fossero accentuati dall’impervia natura del sito dove esso sarebbe sorto, in forte pendenza e caratterizzato da un duplice declivio strutturato secondo due direttrici approssimativamente ortogonali orientate da nord-ovest a sud-est e da nord-est a sud-ovest. L’intervento di sistemazione territoriale con il quale si volle ricondurre un’area siffatta alle forme razionalmente ordinate che una tradizione formale ormai canonizzata imponevano al giardino17, ebbe il carattere di una impresa grandiosa, tale da richiedere vasti lavori di demolizione, un’imponente opera di riporto di terra e l’erezione di muri di sostegno atti a stabilizzare il nuovo assetto del terreno.

Lo spazio disponibile venne configurato in forma di un quadrilatero, solo approssimativamente regolare in quanto nel determinare la definizione perimetrale di esso si dovette tener conto, soprattutto sul lato a destra, guardando dalla Villa, delle costruzioni già esistenti.

Note de bas de page 18 :

Cfr. Marcello Fagiolo, « Il significato dell'acqua e la dialettica del giardino : Pirro Ligorio e la « Filosofia » della villa cinquecentesca », Natura e artificio, op. cit., p. 176-189, in particolare p. 186-187; riproposto con lo stesso titolo in Il giardino storico italiano. Problemi di indagine. Fonti letterarie e storiche, a cura di Giovanna Ragionieri, Atti del convegno di studi, Siena - San Quirico d’Orcia, 6-8 ottobre 1978, Firenze, Olschki, 1981, p. 197-210, in particolare p. 209-210 ; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op. cit., p. 19-20. Il richiamo a prestigiosi modelli romani era d’altra parte sotteso già alla scelta del sito - meticolosamente studiato sotto l’aspetto archeologico da Pirro Ligorio - incastonato tra ville e complessi templari antichi. Cfr. Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 87-90 ; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op. cit., p. 11-13 ; David Dernie, The Villa d'Este at Tivoli, op. cit., p. 20-25 ; A. Scheurs, « “Herkules verachtet die einstigen Gärten der Hesperiden im Vergleich mit Tibur”. Die Villa d’Este in Tivoli und die “memoria dell’antico” », Architektur und Erinnerung, a cura di Wolfram Martini, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht, 2000, p 107-127. Cfr. anche Antonella Ranaldi, Pirro Ligorio e l'interpretazione delle ville antiche, Roma, Quasar, 2001.

Le dimensioni complessive del recinto che delimita il giardino - circa 200 metri per 250 - e la presenza di esedre sporgenti lungo i lati ad accogliere la Fontana di Pegaso, la Fontana di Roma e la Fontana di Nettuno, progettata ma mai realizzata, inducono ad ipotizzare un riferimento planimetrico al modello delle Terme imperiali romane18.

Note de bas de page 19 :

Cfr. Marcello Fagiolo, «Il significato dell’acqua», op. cit., p. 186, fig. 85 ; 92 ; riproposto con lo stesso titolo in Il giardino storico italiano, op. cit., p. 210 ; David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 20-25 e fig. a p. 19, p. 49 e passim ; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op. cit., p. 18-19 e fig. 12 a p. 22.

Un’ulteriore memoria dell’antico può essere riconosciuta nell’evocazione della tipologia castrense, che traspare quale schema soggiacente l’impianto viario del giardino, disciplinato con rigore da un reticolo di percorsi ortogonali fulcrato intorno ad un asse centrale, che coincide con quello della villa, e interconnesso alla maglia strutturale dell’antica Tibur e del suo territorio19.

Note de bas de page 20 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143.

Note de bas de page 21 :

Cfr. Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 90-92.

Note de bas de page 22 :

Secondo una antica tradizione, ancora ben viva almeno per tutto il XV secolo, il Tempio di Palestrina era infatti ritenuto un palazzo di Giulio Cesare : nella riproposizione bramantesca del tipo, tale suggestione ben si compone con la fitta tessitura di riferimenti alla dinastia giulio-claudia che connotano la politica delle immagini del committente Giulio II. Cfr. Christoph Luitpold Frommel, « I tre progetti bramanteschi per il Cortile del Belvedere », Il Cortile delle Statue. Der Statuenhof des Belvedere im Vatikan, a cura di Matthias Winner & Bernard Andreae & Carlo Pietrangeli, Akten des internationalen Kongresses zu Ehren von Richard Krautheimer, Rom, 21.-23. Oktober 1992, Mainz am Rhein, 1998, p. 17-65, in particolare p. 25-26 ; Christoph Luitpold Frommel, « Giulio II, Bramante e il Cortile del Belvedere », L'Europa e l'arte italiana. Per i cento anni dalla fondazione del Kunsthistorisches Institut in Florenz, a cura di Max Seidel, Convegno Internazionale, Firenze, 22-27 settembre 1997, Venezia, Marsilio, 2000, p. 211-219 ; Fausto Testa, « “ut ad veterum illa admiranda aedificia accedere videatur”. Il Cortile del Belvedere e la retorica politica del potere pontificio sotto Giulio II », Donato Bramante (1444-1514). Ricerche, proposte, riletture, a cura di Francesco Paolo Di Teodoro, Urbino, Accademia Raffaello, 2001, p. 229-266, in particolare p. 242.

Note de bas de page 23 :

Oltre ai testi citati nella nota precedente, per il Cortile di Belvedere si rimanda ai classici contributi : James S. Ackerman, « The Belvedere as a Classical Villa », Journal of the Warburg and Courtald Institutes, XIV, 1951, p. 70-91 (ripubblicato in Id., Distance Points. Essays in Theory and Renaissance Art and Architecture, Cambridge (Ma.)-London, The Mit Press, 1991, p. 325-359) ; Id., The Cortile del Belvedere, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1954 ; Arnaldo Bruschi, Bramante architetto, Bari, Laterza, 1969, p. 865-882.

La trasfigurazione dell’erta pendenza antistante la villa in « una dolcissima collina »20 verrà del pari attuata ispirandosi ad un prestigioso edificio antico ben noto a Ligorio che lo aveva studiato nella sua attività di « antiquario » : il Tempio della Fortuna a Preneste21. Tale complesso monumentale offriva infatti soluzioni di alto valore scenografico e simbolico, in chiave neoimperiale22, utilizzabili per la costruzione architettonica di un terreno in declivio, e in tal senso era stato ripreso e canonizzato quale exemplum da Bramante nel Cortile del Belvedere per conferire disciplina formale al pendio che separava i Palazzi Vaticani dalla villa innocenziana del Belvedere mediante una sequenza di terrazze raccordate tra loro da una forte cerniera assiale, nel contesto di un progetto nel quale la rigorosa organizzazione prospettica dello spazio si era coniugata con una fitta serie di riferimenti a soluzioni tipologiche desunte dall’architettura classica23.

Note de bas de page 24 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 143.

A Tivoli il pendio nord-orientale - a destra per chi guardi dalla Villa - venne assoggettato allo schema compositivo che governa l’impianto del giardino soltanto a livello di disegno planimetrico. L’inclinazione del terreno, per quanto ricondotta a un profilo regolare, venne infatti conservata, in quanto, in un certo senso, ignorata : non incide affatto sull’organizzazione topografica dello spazio, e non è percepibile in pianta dacché, come ben mostra l’incisione del Dupérac, il tracciato dei sentieri e delle aiole, con due coppie simmetriche di « Laberinthi »24 risulta identico nelle due aree - l’una pianeggiante, l’altra in declivio - simmetriche rispetto all’asse centrale del giardino.

Note de bas de page 25 :

In tale configurazione è da riconoscersi anche un richiamo al favoloso archetipo dei giardini pensili di Semiramide a Babilonia. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op. cit., p. 13.

È il pendio che degrada frontalmente rispetto alla Villa ad essere invece esplicitamente affrontato e tematizzato come problema di costruzione architettonica, con l’adozione di una soluzione a terrazze successive25, collegate da scalee e rampe oblique ed incardinate ad un asse di simmetria ad esse ortogonale, che ripropone, in forma ancor più ampia e articolata, anche se forse non altrettanto monumentale, la rielaborazione del modello prenestino esemplarmente sperimentata da Bramante nel Cortile del Belvedere, al completamento del quale, è opportuno rimarcarlo, lavorò lo stesso Pirro Ligorio.

Note de bas de page 26 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 143.

Note de bas de page 27 :

Ibid.

Note de bas de page 28 :

Cfr. David R. Coffin, Gardens and Gardening in Papal Rome, op. cit., p. 179-180.

Note de bas de page 29 :

Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op. cit., p. 20.

Note de bas de page 30 :

Ibid.

A Villa d’Este, dopo l’ingresso, che si trova sull’asse centrale all’estremità opposta rispetto al palazzo, presso la Porta Romana della cinta urbica tiburtina, si apre una vasta area piana – « un piano in quadro »26 - realizzata artificialmente con una colmata di terra di riporto. In origine questa parte del giardino era quadripartita da una grande pergola a crociera - una « Crociata di Pergole coperte di uerdura con li suoi portoni »27 - al cui centro si ergeva un padiglione a pianta ottagonale, sviluppato su due piani e coperto da una cupola di verzura, ripreso da quattro minori padiglioni simili ma più bassi disposti a quinqunx nei quattro quadranti adiacenti, con una soluzione che riprendeva un impianto strutturale ed un tipo di arredo vegetale di ascendenza tardomedioevale28, rimodellandolo tuttavia secondo uno schema compositivo ispirato al progetto bramantesco per la basilica di San Pietro a Roma29. Il « piano in quadro » entro il quale si inscrive la « Crociata di Pergole », con le sue tre porte di accesso per ciascuno dei quattro lati introdurrebbe un’allusione all’archetipo della Gerusalemme Celeste, conferendo alla zona di accesso al giardino una precipua connotazione sacrale30.

Note de bas de page 31 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 145.

Note de bas de page 32 :

Cfr. C. Lazzaro Bruno, « The Villa Lante at Bagnaia : An Allegory of Art and Nature », The Art Bulettin, LIX, 1977, p. 553-560, in particolare p. 559 ; Id., The Renaissance Garden, op. cit., p. 226. Sul modello pliniano si vedano : James S. Ackerman, « Sources of the Renaissance Villa », Studies in Western Art, Acts of the Twentieth International Congress of the History of Art, vol. II, The Renaissance and Mannerism, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1963, p. 6-18, ripubblicato con un Postscript, in Id., Distance Points, op. cit., p. 303-324 ; Lise Bek, « Ut ars natura, ut natura ars : le ville di Plinio e il concetto del giardino nel Rinascimento », Analecta Romana Instituti Danici, 7, 1974, p. 109-156.

Note de bas de page 33 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 144.

Note de bas de page 34 :

Cfr. Marcello Fagiolo, « Il giardino come teatro del mondo e della memoria », La città effimera e l’universo artificiale del giardino. La Firenze dei Medici e l’Italia del '500, a cura di Marcello Fagiolo, Officina, Roma, 1980, p. 125-141, in particolare p. 130. Cfr. anche Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op. cit., p. 20-21.

Note de bas de page 35 :

Cfr. David R. Coffin, Pirro Ligorio, op. cit., p. 55-58. Per i rapporti tipologici tra i due interventi ligoriani al Belvedere e all'hippodromus tiburtino si veda Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e i teatri delle acque : le Fontane dell’Ovato, della Rometta e dell’Organo », Villa d’Este, op. cit., p. 95-109, in particolare p. 105.

Questa zona pianeggiante era limitata, dal lato verso la Villa, da un primo importante asse trasversale, ritmato dalla sequenza di quattro peschiere rettangolari - delle quali soltanto tre furono in realtà poi portate a termine - e concluso alle due estremità dalla Fontana del Diluvio (ricordata nella legenda del Lafrerj come Fontana della Dea della Natura e nota anche, in ragione dell’ingegno musicale che la anima, come Fontana dell’Organo) e dalla progettata, ma mai eseguita, esedra con la « Fontana del mare o di Nettuno »31. L’impianto planimetrico che coordina in un complesso coerente tale sequenza di fontane evoca l’hippodromus descritto da Plinio il Giovane32, quand’anche non si riferisca, come parrebbe significare la spina delle due « mete sudanti »33, al tipo antico della Naumachia di Nerone34, riproponendo il nesso tipologico imperiale Palatium-Circus, esibito in forma di esaltata monumentalità da Bramante nel progetto per il Cortile di Belvedere, il cui completamento con il Nicchione terminale venne realizzato nel 1565 ad opera dello stesso Pirro Ligorio35.

Dopo la serie delle peschiere si innalza il pendio che conduce alla Villa, cui venne imposto un profilo regolare, e che è articolato da un complesso di scalinate e di rampe parallele all’asse centrale o oblique rispetto ad esso. Il dislivello è strutturato in una sequenza di strette terrazze, quasi dei viali, ortogonali all’asse di simmetria del giardino.

Note de bas de page 36 :

Cfr. Isabella Barisi, « Il disegno del giardino e l’architettura vegetale », op. cit., p. 72.

Come nel complesso bramantesco, archetipo al quale variamente si ispireranno quasi tutti gli impianti di giardino realizzati nel corso del XVI secolo, anche a Villa d’Este elemento saliente nella organizzazione dello spazio è indubbiamente l’asse di simmetria, che coincide con quello della Villa e che innerva come un cardo maximus il giardino, costituendo una matrice d’ordine e di unità. Esso crea, infatti, un canale ottico che guida lo sguardo dal portale di accesso sulla spianata a valle, su su verso la sommità del pendio, in un percorso ascensionale scandito da una sequenza di punti di appoggio visivi e da un progressivo infittirsi della vegetazione36 destinato a concludersi con la monumentale loggia posta al centro della facciata della residenza del Cardinale.

Note de bas de page 37 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143. Tale impianto, che pone in sequenza l’arco di accesso alla pergola, il corridoio di verzura e la « Scalinata dei Bollori », potrebbe essere stato ispirato dalla successione arco-rampa che caratterizzava il modello tiburtino di via della Scalinata. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op. cit., p. 20.

Dopo l’ingresso a valle, è il corridoio della pergola a imporre, con una struttura a cannocchiale che guida lo sguardo e il cammino e che non ammette alternative, la preminenza del « Viale di mezzo »37.

Note de bas de page 38 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143.

Usciti dalla « cerchiata coperta di verdura »38 e percorsa una prima rampa, circa a metà del declivio, al centro di un bacino ovato incorniciato da due rampe semiellittiche, si incontra il grandioso episodio plastico e sonoro della Fontana del Dragone. Infine, dopo una sequenza ascendente di tre nicchioni, l’asse si conclude con la loggia a due piani che raccorda la villa al giardino.

A fianco dell’asse centrale e paralleli ad esso si prolungano altri viali, almeno due i principali, che completano la strutturazione longitudinale dello spazio giocando un ruolo che appare ad evidenza gerarchicamente secondario. Sprovvisti di gangli plastici di un rilievo scenografico paragonabile alla Fontana del Dragone, essi sono scanditi, con un ritmo meno infittito, da un minor numero di nicchioni, e privi del grandioso approdo finale della loggia monumentale della villa, non possono certo competere quanto a forza di attrazione visuale, con il « Viale di mezzo ».

Note de bas de page 39 :

Giovanni Maria Zappi, Annali e memorie di Tivoli di Giovanni Maria Zappi (1576), a cura di Vincenzo Pacifici, Tivoli, Società tiburtina di storia e arte (Studi e Fonti per la Storia della Regione Tiburtina), 1920, p. 55-65, per la citazione p. 55.

Note de bas de page 40 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143.

« La forma al detto giardino dagli architetti disegnata »39 - per valerci delle parole scritte dal cronista tiburtino Giovanni Maria Zappi nel 1576 - la « forma » alla quale la natura e « ridotta » per volere del « Cardinal di Ferrara »40, così come ci è restituita dall’incisione di Dupérac e dal testo della Descrittione, risulta puntualmente ispirata a un ordo geometrico e prospettico rispondente ai canoni estetici teorizzati fin dalla metà Quattrocento per la formalizzazione della natura nel giardino, ed esemplarmente incarnati dall’archetipo bramantesco del Belvedere.

Note de bas de page 41 :

Vitruvius Pollio, I dieci libri dell’architettura, In Venetia, appresso Francesco de’ Franceschi, 1567, Allo illustrissimo et reverendissimo Cardinal di Ferrara D. Hippolito da Este, s.i.p.

Note de bas de page 42 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143.

Note de bas de page 43 :

Cfr. Giulio Carlo Argan & Maurizio Fagiolo, «Premessa all'arte italiana», cap. V, « La strutturazione della natura. Schemi astratti », Storia d’Italia, vol. I, Torino, Einaudi, 1972, p. 775-780 ; Claudia Lazzaro Bruno, The Renaissance Garden, op. cit., p. 69-108.

Note de bas de page 44 :

Francesco di Giorgio Martini, Trattati di Architettura, Ingegneria e Arte militare, op. cit., p. 348 ; il passo, nella sua completezza, suona : « Perché i giardini principalmente si fanno per dilettazione di chi fa edificare, e ancora secondo la comodità del luogo, però pare superfluo assegnare la figura loro : pure si debba il compositore ingegnare di ridurla a qualche figura perfetta ».

Come è ben espresso, per quanto nei toni esaltati dell’encomio apologetico, nella dedica ad Ippolito d’Este fatta precedere da Daniele Barbaro alla propria edizione del De Architectura di Vitruvio, grazie all’opera del Cardinale, a Tivoli « la natura conuiene confessare di essere stata superata dall’arte »41. Il « gran uacuo [...] pieno di dirupe di sassi, et di macchie »42, evocato dall’anonimo estensore della Descrittione, si è trasformato in un giardino : l’uscita della natura dalla selvatichezza e il suo accedere all’ordine umano del simbolico coincide con il suo assoggettamento43 alle « proporzionate misure », che già Francesco di Giorgio auspicava venissero estese dalla progettazione degli edifici alla definizione planimetrica dei giardini, del pari votati ad assumere « qualche figura perfetta »44.

Note de bas de page 45 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 144.

Note de bas de page 46 :

Cfr. Isabella Barisi, « Il disegno del giardino e l’architettura vegetale », op. cit., p. 65-72.

Note de bas de page 47 :

Leon Battista Alberti, De re aedificatoria (1485), IX, v, trad. it. L’architettura, testo latino e traduzione di Giovanni Orlandi, introduzione e note di Paolo Portoghesi, 2 voll., Milano, Edizioni Il Polifilo, 1966, vol. II, p. 806.

Anche la materia vegetale, pur senza raggiungere gli eccessi di cristallizzazione astrattizzante proposti dall’Hypnerotomachia Poliphili, sia per quanto riguarda in generale il « riquadramento del giardino »45, sia per la manipolazione artificiosa delle essenze nelle pergole e nei labirinti di verzura, risulta a Villa d’Este sottoposta ad una rigorosa disciplina architettonica46, cifra distintiva di una ormai consolidata tradizione tipologica, che era stata chiaramente teorizzata oltre un secolo prima da Leon Battista Alberti, il quale aveva postulato anche per l’impianto dei giardini una rigorosa scansione « architettonica » da realizzarsi mediante la vegetazione : « Praeterea et cicli et emicicli, et quae descriptiones in areis probentur ex lauro ex citro ex iunipero deflexis ac sese mutuo complectentibus ramis concludentur »47.

Il codice linguistico - estrapolato dall’architettura e fondato sui canoni della concinnitas proporzionale e sulla disciplina prospettica - grazie al quale la natura prende forma nel giardino entro una struttura ordinata e razionalmente dominabile, è latore di un plesso di valori semantici che gli sono intrinseci ab origine, e che, proiettati sul giardino, conferiscono ad esso un preciso significato quale forma idealizzata della natura. Sotto l’egida dell’imponente costruzione metafisica platonico-pitagorica su cui si fondava la teoria delle proporzioni nella tradizione del pensiero umanistico, attribuendo all’architettura la potestà di attuare una corretta mimesis astratta della Natura, per tramite della concinnitas proporzionale ed entro i vincoli di una rigorosa orditura geometrica, la natura in quanto giardino potrà infatti attingere la propria originaria perfezione archetipica, rivelando l’essenza razionale che ne è fondamento, celata sotto l’accidentalità degradata della facies con cui essa si presenta nella varietà fenomenica, prima dell’intervento redentore dell’artificio umano.

Note de bas de page 48 :

Manfredo Tafuri, L’architettura del Manierismo nel ‘500 europeo, Roma, Officina, 1966, p. 41.

Note de bas de page 49 :

Cfr. Robert Klein, « La forme et l’intelligible » (1958), Id., La forme et l’intelligible. Écrits sur la Renaissance et l’art moderne, Articles et essais réunis et présentés par André Chastel, Gallimard, 1970, p. 151-173, in particolare p. 151-160.

Note de bas de page 50 :

Manfredo Tafuri, L’architettura del Manierismo, op. cit., p. 109.

Articolata composizione di forme geometriche regolari dominata da una nitida impalcatura tettonica ortogonale e assoggettata al rigore della simmetria, il giardino della Villa d’Este, in quanto complesso organizzato significante, si attesta pertanto quale prodotto esemplare di un codice di configurazione dello spazio che aspira a proporsi quale « metafora o simbolo della spazialità assoluta »48, attualizzazione in re di una struttura intelligibile49, « forma », nel senso pieno di « paradigma universalistico e simbolo figurale pregno di cosmica e assoluta autorevolezza »50.

Note de bas de page 51 :

Il recinto della Fontana della Civetta sarebbe idealmente da ricondursi al modello dell’ « Aviarium » varroniano. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, «L'evoluzione delle Fontane dal Cinquecento al Novecento», Villa d’Este, op. cit., p. 111-131, in particolare p. 113.

Note de bas de page 52 :

Per una intelligente sintesi su questo tema, si rimanda a Hubertus Günther, « La rinascita dell'antichità », Il Rinascimento da Brunelleschi a Michelangelo. La rappresentazione dell’architettura, a cura di Henry Millon & Vittorio Magnago Lampugnani, Milano, Bompiani, 1994, p. 259-305.

Note de bas de page 53 :

Al modello della Villa Madama, in particolare, rimanda il principio di composizione additivo adottato - e rivisitato in chiave manierista - da Pirro Ligorio nel montaggio dei diversi modelli archeologici citati. Cfr. David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 12. La stessa Villa Adriana, costituì peraltro un prestigioso esempio per l’applicazione di tale criterio progettuale. Cfr. Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 89-90.

È sulla scena di tale Eden more geometrico constructus che può attuarsi a Villa d’Este, come esibito gioco di citazioni, carico di un coerente corredo di ulteriori connotazioni idealizzanti di secondo livello - riferite non già ad astratte qualità gestaltiche, bensì ad un codificato repertorio di modelli storici - l’assemblaggio di autorevoli suggestioni tipologiche romane - le terme imperiali, lo schema planimetrico castrense, il Tempio di Palestrina, l’hippodromus pliniano, la Naumachia51 - secondo un paradigma progettuale canonizzato dalla cultura rinascimentale nella sua inesausta tensione alla imitatio-aemulatio dell’Antico52, ed attuato in modo esemplare nei grandi archetipi bramantesco e raffaellesco del Belvedere e di Villa Madama53.

Note de bas de page 54 :

Francesco di Giorgio Martini, Trattati di Architettura, Ingegneria e Arte militare, op. cit., p. 245.

Come ancora rimarca una puntuale osservazione di Francesco di Giorgio, tale sofisticata opera di estetizzazione della natura basata sui codici di configurazione dello spazio elaborati dall’architettura, avrà come ordine sensoriale di riferimento il più intellettualizzato e astratto dei sensi : la vista. « Non con manco proporzionate misure son da fare che quelle delle case, dov’è la ragione delle corrispondentie grato e bello all’occhio essare il fa »54.

Nella tradizione rinascimentale il giardino è, in modo pressoché esclusivo e a più livelli, dominio incontrastato dell’occhio.

A Villa d’Este le valenze semantiche del complesso in quanto Eden umanistico si rivelano elettivamente in tutta la loro pienezza nella sinossi visiva a volo d’uccello che di esso ci è offerta dall’incisione di Dupérac : tale immagine consente di apprezzare nel suo esibito nitore tettonico la rigorosa disciplina geometrica dell’impianto, palesando con pari chiarezza l’orditura di citazioni planimetriche di tipi architettonici antichi di cui il giardino è intessuto.

Note de bas de page 55 :

Cfr. Letizia Franchina, « Proposta di lettura prospettica di un giardino : il « Belvedere » bramantesco », Il giardino storico italiano, op. cit., p. 45-52.

Note de bas de page 56 :

Per il concetto si veda Francesca Rigotti, Metafore della politica, Bologna, il Mulino, 1989, p. 86 e passim.

Note de bas de page 57 :

Per una analisi più approfondita delle valenze simboliche di cui è depositaria la « geometria del vedere » che Villa d’Este assume dal modello bramantesco del Belvedere si rimanda a Fausto Testa, « “ut ad veterum illa admiranda aedificia accedere videatur". Il Cortile del Belvedere e la retorica politica del potere pontificio sotto Giulio II », op. cit., p. 245-251.

L’occhio, in quanto fulcro ordinatore della piramide prospettica è, d’altronde, ancora una volta in ossequio al modello canonizzato da Bramante con il Cortile del Belvedere55, il fondamento della « topografia della percezione »56 che governa la struttura compositiva del giardino di Villa d’Este, assoggettandola a una « geometria del vedere »57 impostata anch’essa, come nell’archetipo bramantesco, su un impianto a fuga centrale e a fuoco unico.

Il « Viale di mezzo », asse che taglia simmetricamente il giardino per il lungo dall’ingresso a valle sino alla villa, scandito da una sequenza di episodi plastici e architettonici il cui ritmo si infittisce sul declivio che adduce all’edificio, impone infatti al complesso tiburtino - come ben si evince anche dalla Descrittione - un percorso ottico egemone, che funge da nervatura strutturante, in grado di conferire coerenza, unità, ordinamento gerarchico, ma anche da legge topologica, tale da fissare un preciso verso di lettura dettato dalla marcata direzionalità ascensionale, a un organismo complesso, dislocato a più livelli su un impianto perimetrale non del tutto regolare, e concepito come composito centone di tipi antiquariali dalle differenti matrici planimetriche.

Note de bas de page 58 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 144.

Note de bas de page 59 :

Terry Comito, The Idea of the Garden in the Renaissance, New Brunswick (New Jersey), Rutgers University Press, 1979, p. 161.

Note de bas de page 60 :

Cfr. Robert Klein, La forme et l’intelligible [1958], Id., La forme et l’intelligible. Écrits sur la Renaissance et l’art moderne, Articles et essais réunis et présentés par André Chastel, Gallimard, Paris 1970, p. 151-173, in particolare p. 151-160.

In relazione al significato annesso dalla tradizione del pensiero umanistico al codice prospettico della rappresentazione come strumento di mimesis-conoscenza del reale, in grado di disvelarne, in una sintesi percettiva immediata che ha nel soggetto vedente il suo proprio fulcro ordinatore, l’intima essenza, la qualità edenica del giardino - cui alludono del pari il « riquadramento »58 geometrico e i riferimenti ai prestigiosi modelli dell’architettura antica - si palesa pertanto, ad un altro livello, nella stessa « structure of vision »59 che lo ordina, agendo quale intelligibile principio armonico60 a promuovere una idealizzazione razionalistica dello spazio che da essa prende forma come immagine di un cosmo ordinato, misurabile e perciò dominabile.

Osservando l’incisione di Dupérac si può inoltre rimarcare come l’approdo conclusivo del « Viale di mezzo » - coincidente con il punto di fuga dell’ideale impianto prospettico, dove gli sguardi vengono attratti per convergere e ove lo spazio rivela pienamente la logica gerarchica che lo ordina - corrisponda alla monumentale loggia a due piani con scalee diagonali che si erge al centro della vasta facciata della villa. Si crea in tal modo l’impressione che l’ordo imposto da tale « geometria del vedere » allo spazio che le è soggetto promani dall’architettura della villa e - come parrebbe alludere la coppia di scalinate a forbice simmetriche che scendono al terrazzo immediatamente successivo, il ritmo delle quali si moltiplica dilatandosi trasversalmente nei sentieri che discendono tagliando in diagonale il pendio seguente - debordi a cascata dalla residenza del committente per investire la valle sottostante, conferendo al giardino il senso di una grandiosa metafora architettonica e spaziale intesa ad esaltare il ruolo di demiurgico dator formarum della natura che le fonti coeve attribuivano al cardinal Ippolito.

Qualora tuttavia si scelga di abbandonare il palco privilegiato dal quale l’incisione di Dupérac ci consente di esercitare un signorile dominio visivo sul giardino e, accolta come guida l’anonimo estensore della Descrittione, si decida di inoltrarsi tra i sentieri che abbiamo osservato dall’alto, il luminoso spettacolo di ordine e di misura razionale che sinora ci si è offerto alla contemplazione sarà destinato ad offuscarsi, lo sguardo si farà incerto, divagante, la vista stessa sarà costretta ad abdicare al proprio ruolo egemone e ad accogliere i più oscuri messaggi che l’udito e il tatto verranno a declinare.

Note de bas de page 61 :

Manfredo Tafuri, L’architettura del Manierismo, op. cit., p. 41.

Note de bas de page 62 :

Cfr. Fausto Testa, Spazio e allegoria nel giardino manierista, op. cit., p. 36-41.

Nello stesso modo l’architettura, il cui linguaggio aveva mostrato di condurre in sé, quasi per una inerzia propria agli schemi gestaltici e topologici adottati, un’intrinseca qualità semantica, tale da innalzare il giardino al rango di « metafora o simbolo della spazialità assoluta »61, si troverà a dialogare con le istanze di senso veicolate dall’apparato scultoreo, che in quel medesimo spazio si insedia, trasformandolo dall’interno da spazio-segno, emblema dell’Eden, a spazio-scena, riplasmato idealmente in funzione dei percorsi allegorico-narrativi che in esso si snodano62.

Tutto ciò a Villa d’Este accade all’interno di un organismo che preserva tuttavia intatta la propria identità formale e che, in virtù del proprio statuto multimediale e polisensoriale, è in grado di accogliere entro di sé codici linguistici e ordini sensoriali latori di istanze semantiche in frizione, quand’anche non in conflitto, tra loro : il luminoso ordine del Belvedere e l’erratico labirinto allegorico di Bomarzo si compenetrano compiutamente, come se, volendo riprendere un paragone con l’arte della pittura già più sopra evocato, nel medesimo dipinto potessero idealmente sovrapporsi la Pala di San Marco di Fra’ Bartolomeo e la Pala Pucci di Pontormo.

Note de bas de page 63 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143.

Note de bas de page 64 :

Ibid., p. 144.

Note de bas de page 65 :

Ibid., p. 143.

Rispetto al modello del Belvedere, si osserva come il carattere peculiare della planimetria del giardino di Villa d’Este sia dato dalla sequenza di « xiij viali »63 « trasuersali »64 che « intersecano » perpendicolarmente il « Viale di mezzo ». Il bramantesco nitore assiale della composizione si complica così in un intreccio di viali ortogonali « i quali » come segnala ancora la Descrittione « tutti hanno i suoi rincontri, ò di fonte, ò di statue, ò di altra simil cosa, che rappresenta bellissima uista »65.

Se una serie di episodi plastici ed architettonici è disposta infatti in successione sull’asse di simmetria, in direzione della villa di seguito alla Fontana del Dragone, sono tuttavia numerose le fontane, e senza dubbio quelle più spettacolari e significative, che dislocano la loro presenza lungo gli assi trasversali, in posizione periferica e deviante rispetto alla « via regia » indicata dal « Viale di mezzo ».

Si è già potuto notare come la Fontana del Diluvio e quella di Nettuno chiudano alle due opposte testate il viale delle peschiere-hippodromus-naumachia, scandito, lungo l’asse mediano, dalle guglie delle due Mete sudanti.

Dalla Fontana del Dragone, sulla destra, procedendo dal basso in direzione della villa, un piccolo viale conduce al complesso formato dai recinti architettonici della Fontana degli Imperatori e della Fontana della Civetta, raggiunta quest’ultima anche da un più ampio viale trasversale situato più a valle e tangente il margine dell’anfiteatro che accoglie la Fontana del Dragone.

Note de bas de page 66 :

Ibid., p. 146.

Più in alto, sul limitare inferiore del pendio che adduce alla residenza del Cardinale, la fantasmagorica presenza di acqua e di suoni del Viale delle Cento Fontane collega la « Fontana di Tiuoli »66, chiamata anche Fontana della Sibilla Albunea o dell’Ovato, con la scenografica Fontana di Roma. Lungo l’ultimo tratto del declivio, prima della villa, una serie di statue e di fontane era collocata in nicchie, grotte, logge, sparse lungo i viali trasversali ed i sentieri obliqui che attraversano questa sezione del giardino.

La geometrica chiarezza dello schema bramantesco, nel quale l’asse di simmetria agiva quale principio ordinatore di una spazialità logica, orientata, e come tale dominabile visivamente e razionalmente, viene, in questo modo, sottilmente confutata.

Note de bas de page 67 :

Ibid., p. 144. Cfr. Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op. cit., p. 43.

L’accentuazione dell’asse, a Villa d’Este, preserva infatti, e solamente nella inquadratura a volo d’uccello dell’incisione di Dupérac, una mera parvenza di unità visuale. Chi s’avanzi dall’ingresso del giardino per salire verso la villa lungo il « Viale di mezzo » sarà infatti sottoposto ad una diversa « geometria del vedere » che lo vorrà costantemente distratto dalla metà finale da un fitto susseguirsi di aperture prospettiche : i viali trasversali « seruono àueder più distintamente ogni cosa »67, dischiudendo scenografiche vedute in cui appaiono, come fondali, le fontane sparse nel giardino.

Note de bas de page 68 :

Il testo della descrizione di Audebert - il quale visitò la villa in un periodo che si colloca tra la fine del 1576 e gli inizi dell'anno successivo - è edito in Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert and the Villa d’Este », Journal of the Warburg and Courtald Institutes, XXVII, 1964, p. 164-190, in particolare p. 188-189.

Tale è la « geometria del vedere » che governa l’esperienza della visita al giardino che ci è restituita dalla testimonianza di un viaggiatore contemporaneo come Nicolas Audebert, il quale organizza la sua descrizione del complesso tiburtino secondo i ritmi di un percorso discendente a partire dalla villa, scandito dalla sequenza delle « allées qui en largeur trauersent le Jardin », così ricche di fontane e di episodi plastici, per riservare soltanto una rapida notazione conclusiva ai cinque viali « qui vont en la longueur », « ce qu’il y a de beau » nei quali era stato in precedenza analizzato come pertinente alla struttura primaria ordita dai percorsi trasversali68.

Alla fruizione del giardino come percorrenza visiva guidata dall’asse centrale, che nella incisione di Dupérac sembrava affermarsi come totalmente egemone e priva di autentiche alternative, si affianca così una percorrenza erratica, che impone di abbandonare il « Viale di mezzo » per inoltrarsi nelle vie che ad esso si intersecano, e perdersi nei sentieri obliqui.

La deviazione rispetto al cardo maximus, puramente suggerita dall’aprirsi vedutistico dei viali trasversali, si impone tuttavia come necessità fisica dopo il Viale delle Cento Fontane. Qui, se lo sguardo procede infatti liberamente verso la loggia della Villa attraverso una sequenza di nicchie dislocate lungo l’asse centrale, il percorso fisico risulta però interrotto. L’ascesa può avvenire soltanto abbandonando il « Viale di mezzo », che sul pendio sussiste solo come allusione visiva ma non è in realtà praticabile, e inoltrandosi per un intreccio di sentieri obliqui che, privi di univoci appoggi visivi ascensionali focalizzati sulla Villa, adducono alle due coppie di rampe convergenti, simmetriche ai lati dell’asse, le quali portano infine all’ultimo terrazzo su cui sorge la residenza del Cardinale.

Note de bas de page 69 :

Cfr. Claudia Lazzaro Bruno, « The Villa Lante at Bagnaia », op. cit., p. 553.

Note de bas de page 70 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 144.

Si innesca in tal modo una dinamica di disorientamento, accentuata dal carattere della vegetazione, che, fattasi via via più folta sull’area a pendio - nella quale è possibile riconoscere il tradizionale « selvatico »69 - rende i sentieri « vie sotterranee, et fresche non percosse mai dal sole »70, impedendo allo sguardo di spaziare, di orientarsi, di mantenere il riferimento all’asse, di individuare la loggia monumentale della villa che costituisce la meta del salire.

Note de bas de page 71 :

Claudia Conforti, « Il giardino di Castello e le tematiche spaziali del Manierismo », Il giardino storico italiano, op. cit., p. 147-163, per la citazione p. 147.

La frizione che così si ingenera - con una soluzione che ha un precedente assai simile nel giardino della villa medicea di Castello - tra due « geometrie del vedere » di opposta matrice, coesistenti all’interno di un medesimo organismo, comporta un’autentica decostruzione critica dei principi formali deputati, nella tradizione rinascimentale, a presiedere la definizione progettuale del giardino, i quali, dopo essere stati applicati quasi ostentatamente a Villa d’Este, vengono a essere sottilmente confutati « nella frantumazione dell’univocità dell’impianto compositivo, nell’invenzione della molteplicità di fruizione psicologico-spaziale, infine nella negazione polemica della aspirazione rinascimentale all’unitarietà compositiva e alla biunivocità prospettica »71.

La crisi dello schema prospettico, e dei valori idealizzanti di cui questo è latore, implica del pari una profonda alterazione dello statuto del soggetto percipiente al quale la natura si offre in forma di giardino. Come osserva, infatti, David Coffin:

Note de bas de page 72 :

David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 15.

This constant deviation from the principal axis, whether forced or only suggested, means that the observer can never fully experience the gardens in a Renaissance manner from a fixed objective viewpoint. His experience of the gardens becomes a much more subjective one of continuous exploration and surprise, unified by the constantly varying sounds of water72.

Il visitatore che si fosse inoltrato nel reticolo di percorsi che il giardino di Villa d’Este gli propone, non solo sarebbe stato infatti chiamato a controllare il costante disorientamento visuale al quale l’impianto del complesso lo sottopone, ma anche a subire una variata sequenza di chocs visivi, uditivi e tattili prodotti dalla presenza, quasi ossessiva, delle acque.

Note de bas de page 73 :

Antonio Del Re, Dell'antichità tiburtine capitolo V, Roma, Giacomo Mascardi, 1611, p. 65.

Note de bas de page 74 :

Cfr. David R. Coffin, Gardens and Gardening in Papal Rome, op. cit., p. 40-46 ; 52-54 ; 56-57 ; Isabella Barisi, « Tivoli, Villa d’Este », Atlante delle grotte e dei ninfei in Italia, 2 voll., vol. I, Toscana, Lazio, Italia Meridionale e isole, a cura di Vincenzo Cazzato & Marcello Fagiolo & Maria Adriana Giusti, Milano, Electa, 2001, p. 282-305.

L’acqua è, infatti, la vera sovrana dello spettacolo messo in scena nel giardino, nel quale l’uso delle fontane e la manipolazione artificiosa dell’elemento liquido, metamorfico protagonista di innumerevoli « belle mutationi »73, conoscono esiti straordinari, che superano per ricchezza e varietà ogni precedente esperienza74.

Le fontane e i bacini presenti in gran numero a Villa Adriana - oggetto di scrupolosi studi in situ da parte di Ligorio - costituiscono, verosimilmente, la matrice archeologica diretta del trionfo di acque di Villa d’Este. Senza dubbio una potente suggestione dovette anche essere esercitata dalla stessa situazione idrografica tiburtina, che, con le grandiose cascate dell’Aniene, offriva un imponente modello per le fontane del complesso estense e, nel contempo, con la sua ricchezza di acque, costituiva l’inesauribile fonte alla quale il sistema idrico del giardino poteva alimentarsi.

Note de bas de page 75 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 9 ; Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op. cit., p. 37-39 ; Isabella Barisi, « Il disegno del giardino e l’architettura vegetale », op. cit., p. 62 ; Leonardo Lombardi, « L’impianto idraulico », Villa d’Este, op. cit., p. 60-61 ; David R. Coffin, Pirro Ligorio, op. cit., p. 84, 86.

Tra il 1560 e il 156575 complesse opere di idraulica, tra cui lo scavo di un condotto sotterraneo di circa duecento metri che raggiungeva l’Aniene in prossimità delle cascate, furono portate a termine per poter fornire al giardino l’ingente quantità d’acqua necessaria per animare le sue fontane, che nel loro insieme agiscono come una gigantesco congegno inteso ad esplorare, nella sua infinita ricchezza, la fenomenologia plastica e sonora delle acque.

Note de bas de page 76 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 144. Il particolare è confermato anche dalla descrizione di Nicolas Audebert ; cfr. Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 188. Il testo di Audebert, nel quale l’esperienza diretta si confonde spesso con dati relativi al progetto desunti dall’incisione di Dupérac, non è perciò sempre attendibile al fine di una ricostruzione filologica del complesso tiburtino. Esso tuttavia costituisce una fonte preziosissima per conoscere gli artifici idraulici del giardino estense e soprattutto, per quanto pertiene alle finalità specifiche di questo studio, un documento imprescindibile per comprendere quali registri percettivi venissero sollecitati nel visitatore contemporaneo durante il processo di fruizione estetica del giardino.

Chi fosse entrato nel giardino dall’ingresso principale, a valle, si sarebbe trovato, al principio, incanalato entro la galleria della pergola per procedere quindi in una direzione obbligata, accompagnato dal mormorio, per ora garbato, delle acque che scaturivano dalle fontane site nella terrazza inferiore : « due fontane di sassi rustici » presso l’entrata e « quattro fontane nelli quattro canti di questo Padiglione fatte in forma de gigli grandi »76.

La pacata atmosfera della spianata inferiore, ancora ispirata a modelli tardomedioevali, scema tuttavia bruscamente, per lasciar il campo a un universo spettacolare e inquietante : il susseguirsi dei viali trasversali scandisce l’apparire delle fontane secondo il ritmo del loro improvviso stupefacente, rivelarsi attraverso le prospettive inaspettate che si aprono nel verde.

Note de bas de page 77 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 145.

Note de bas de page 78 :

Giovanni Maria Zappi, Annali e memorie di Tivoli, op. cit., p. 57.

Note de bas de page 79 :

Ibid.

Note de bas de page 80 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 183.

Note de bas de page 81 :

Ibid. L’effetto sarà descritto con ammirata acribia da Michel de Montaigne (Journal de voyage, op. cit., p. 129) e ancora, nel 1611, da Antonio Del Re (Dell’antichità tiburtine capitolo V, op cit., p. 69-70).

Usciti dalla pergola, la residua porzione pianeggiante del terrazzamento inferiore antistante al pendio che adduce alla villa è occupata dalla sequenza di quattro peschiere rettangolari. Gli specchi d’acqua della coppia delle vasche mediane, al centro delle quali si ergevano due « Mete sudanti le quali gettano acqua dalla Cima al basso »77, erano valicati da una traslucida volta a botte intessuta da vigorosi zampilli d’acqua che, scaturiti da coppie contrapposte di balaustri regolarmente dislocati lungo il perimetro del bacino, « quando buttano tutti in un tempo si riuniscono uno con l’altro »78 a formare con « vago e bel vedere [...] una gentil pioggia artificiosa, ma non naturale »79, dalla quale, « le soleil luysant a trauers »80, prendeva forma, agli occhi dello spettatore che si fosse trovato nel punto di osservazione corretto e nelle giuste condizioni di luce, soprattutto « au soleil leuant ou couchant »81, la traccia iridescente dell’arcobaleno.

Note de bas de page 82 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 145.

Note de bas de page 83 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 186.

Note de bas de page 84 :

Antonio Del Re, Dell’antichità tiburtine capitolo V, op. cit. p. 68.

Inquadrati da tale baluginante cornice, sulla sinistra del visitatore che stesse salendo verso la villa, sarebbero apparsi quindi gli « infiniti capi d’acqua, che n’escono con mirabile impeto »82 dalla Fontana del Diluvio, che deve il proprio nome all’imponente quantità d’acqua emessa83 e la cui fronte concludeva con mirabile effetto l’asse rilucente delle peschiere in un trionfo di ornamenti « a oro intarsiati con marmi, e specchi che risplendessero e rendessero il riverbero del tramontante sole »84.

Note de bas de page 85 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 145.

Note de bas de page 86 :

Ibid.

Note de bas de page 87 :

Ibid. La Descrittione restituisce un’esperienza virtuale, in quanto la fontana non fu mai portata a compimento. Cfr. anche Antonio Del Re, Dell’antichità tiburtine capitolo V, op. cit., p. 69.

Alla Fontana del Diluvio corrisponde, alla testata opposta del viale delle peschiere, la « Fontana grande, che rappresenta il Mare come quella che raccoglie in se tutte le acque del giardino »85 - altrimenti nota come Fontana di Nettuno - nella quale « quattro cavalli marini » che circondano il dio degli abissi « gettano acqua »86, e dalla quale fuoriesce, per raccogliersi in una sottostante peschiera esterna al giardino, una « Cascata »87.

Note de bas de page 88 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 145.

Note de bas de page 89 :

Antonio Lafrerj, A quelli che amano et desiderano di veder le cose belle, e rare; cfr. Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op cit., p. 103; Leonardo B. Dal Maso, La villa di Ippolito d’Este a Tivoli, op. cit., p. 23.

Si ascende quindi lungo una delle tre scalinate parallele dette « Scalinate dei Bollori », « con i parapetti dalle bande et con i suoi vasi, et vaschette, che gettano acqua l’una nell’altra »88 « in forma de bollore »89, per giungere, in un crescendo progressivo, all’esplosivo getto proiettato verso l’alto dalla Fontana del Dragone, incastonata nel recinto ovato chiuso ai lati da due cordonate, sui parapetti esterni delle quali altre catene d’acqua scaturiscono dalle poppe di due sirene alate, mentre da una serie di vasi disposti sui parapetti interni si levano vigorosi zampilli, che vanno infine a ricadere nella vasca centrale.

Note de bas de page 90 :

Cfr. Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 176-177.

Sul cardus maximus, a monte della Fontana del Dragone, un effetto simile a quello esibito nelle « Scalinate dei Bollori » era ottenuto anche nella Loggia di Pandora, dove, secondo quanto testimonia Nicolas Audebert, la figura di Pandora - reinterpretata dal cronista francese come Psiche - stringeva tra le mani un vaso, « comme s’il estoit chault et boillant », dal quale, mediante un ingegno idraulico, l’acqua « regorge de façon qu’il semble boillir »90.

Note de bas de page 91 :

Ibid, p. 169.

Come ancora ricorda Audebert, che riservò una particolare attenzione a « les secretz & artifices » delle « fontaines artificielles »91, nella Fontana di Leda un gioco d’acqua offriva una luminosa riproduzione del disco solare :

Note de bas de page 92 :

Ibid, p. 172.

Soubs le bras gaulche de Leda est un vase couché, dedans lequel sourd une fontaine par le moyen de laquelle le Soleil est fort naifuement représenté, y ayant une piece de fer blanc toute ronde en forme de soleil, appliquée sur la bouche du vaisseau, sans y toucher, mais tellement proche que il ne demeure que peu d'espace entr'ouuert entre ledict fer blanc et la bouche du vase, de sorte que l'eau qui veult sortir en abondance pousse de force contre le fer blanc, et ainsy s’espend toute platte au tour ; faisant une grande rondeur, puis par ceste force et combat qui est a la sortie, l’eau venant à s'esclaircir & dilater représente une forme de rayons qui sont si brillans & de tant de diuerses formes & figures, que la voue en demeure comme esblouye. & par ce moyen le soleil est imité, lequel en ce lieu représente Juppiter92.

Note de bas de page 93 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 146.

Nella Fontana di Tivoli una fragorosa cascata deborda nella vasca sottostante da un bacino in cui vi è uno « scoglietto posto nel mezo del detto vaso dal quale sorge un bel bollor d’acqua che con artificio fá un bellissimo giglio »93, richiamando una delle insegne del cardinal Ippolito.

Note de bas de page 94 :

Ibid.

Questo stesso compiacimento virtuosistico nel plasmare l’elemento liquido in modo da conferire ad esso labili forme di oggetti viene trionfalmente esibito nella medesima fontana, dove, entro « Grotticelle poste alle radici del Monte trà u’fiume et l’altro [...] sono diuersi animali, che gettano acqua con inuentioni bellissime, et rappresentano nelle Piogge Padiglioni uentagli becchierie, bollori, gigli, et altre simili cose »94.

Dall’area della Fontana di Tivoli i tre canali sovrapposti del Viale delle Cento Fontane intessono una variegata parete di zampilli, di spruzzi, di veli d’acqua che accompagna il visitatore fino al bacino della Fontana di Roma, allusivo al corso del Tevere, e alla cascata che evoca il salto tiburtino dell’Aniene.

Note de bas de page 95 :

Ibid, p. 147.

[Il] Primo acquedotto più alto degli altri due, hà 23 barchette di pietra, et ciascuna barchetta hà la sua Anten'a di mezzo, dalla quale esce un grande e bel bollore, lacui acqua casca in dette in dette barchette, et doppò per certifori ornati di mascare acquatili si spande gentilmente sopra l'orlo del muro disopra nel quale sono posate le barchette in modo che proprio par che nuotino, et dilà si uersa tutta insieme nel secondo acquedotto più basso, facendo nel cascare un effetto mirabile, perche ui sono accomodati certi grondali sopra li quali passando l’acqua rappresenta una gagliardissima pioggia quando casca dalli tetti facendo infiniti ueli gorgoli d'acqua che di lettano incredibilmente95.

Note de bas de page 96 :

Ibid.

Note de bas de page 97 :

Ibid.

Lo straordinario spettacolo delle acque prosegue nel « Secondo acquedotto, che per uariare getta l’acqua nel terzo acquedotto da molte cannelle, lequali [...] fan’o diuerse forme nel gettare l’acqua fuori »96, per placarsi infine nel canale inferiore che « non hà altro, che il suo Fiumicello »97.

Note de bas de page 98 :

Per il riferimento archeologico all’archetipo pliniano della diaeta si veda David R. Coffin, Gardens and Gardening in Papal Rome, op. cit., p. 188-189.

Note de bas de page 99 :

Antonio Lafrerj, A quelli che amano et desiderano di veder le cose belle, e rare; cfr. Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op. cit., p. 103 ; Leonardo B. Dal Maso, La villa di Ippolito d’Este a Tivoli, op. cit., p. 23.

Note de bas de page 100 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 189.

Note de bas de page 101 :

Ibid, p. 189-190.

L’acqua sarà infine protagonista di un’altra raffinata scenografia che ha per teatro il padiglione98 posto al centro del Giardino segreto adiacente al fianco nord-orientale della villa, nel quale erano collocate « quattro fontane che buttano acqua in forma di specchio »99 : il visitatore che si fosse soffermato ad ammirarle sostando al centro del piccolo edificio sarebbe stato aggredito da una miriade di zampilli sorti all’improvviso dal suolo per innalzarsi a intessere « en l’air un entrelassement d’eau »100 e ricadere infine sul pavimento, ove le acque verrano fugacemente a disegnare « un compartiment fort beau & ingenieux qui dure jusques a tant que la quantité de l’eau qui s’espend apporte la confusion »101.

Note de bas de page 102 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 146.

A Villa d’Este le acque non mettono in scena soltanto uno spettacolo « marauiglioso alla uista »102, per offrire al visitatore anche un suggestivo concerto sonoro e coinvolgerlo infine tattilmente con un’insidiosa trama di scherzi d’acqua.

Questi infatti pullulano intorno alla Fontana di Roma, pronti a colpire colui che si segga ad ammirarla sulle adiacenti panche di pietra, e a guizzare contro chi si avventuri sul ponte che attraversa il bacino del Tevere.

Note de bas de page 103 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 177.

Note de bas de page 104 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 147. Cfr. anche Antonio Del Re, Dell’antichità tiburtine capitolo V, op. cit., p. 46-51.

Scherzi d’acqua si ritrovano sulle pendici del roccione della Fontana di Pegaso, dove, « en un instant sans y penser on se trouue tout baigné »103, presso la Fontana di Tivoli, nella quale il « Corritore scoperto » che forma una sorta di « Teatro » a criptoportico dietro la fontana « è tutto pieno d’inganni da bagnare per piacere chi su si posa »104 e presso la Fontana della Civetta, dove, come racconta Agostino del Riccio :

Note de bas de page 105 :

Agostino Del Riccio, « Del giardino di un re », a cura di Detlef Heikamp, Il giardino storico italiano, op. cit., p. 59-123, per la citazione p. 87.

e in mentre che si stava a vedere e sentire questi canti, usciva una quantità di zampilli fuora della grotta che tengono trenta braccia da ogni banda, e le giovinette con le loro madre e fratelli non vogliono uscire della grotta, perché hanno paura di non si bagnare. Così ad un tratto, quando son dubbiose quel che debbono fare, la volta della gran grotta che viene ad essere fatta di spugne, manda giù certe gocciole d'acqua sempre rinforzano attalché le povere donzelle e i lor parenti non sanno che partito si pigliare, fuor della grotta viene a zampillare di scelta acqua, e quel che è peggio, dura da trenta braccia, cioè quindici braccia per banda, e se stanno nella grotta, piove loro addosso attalché ci bisogna sbucare o bere o affogare, come dice il proverbio. [...] Io che ho visto tal cosa, mi sono rallegrato e risomi di cotal piacevolezza105.

Note de bas de page 106 :

La sonorità diffusa e variata che anima il giardino, facendo di esso quasi un unico grande strumento musicale è stata posta in relazione con la fede pitagorico-platonica nel valore cosmologico dell'armonia musicale diffusa nella cultura umanistica e condivisa dallo stesso Ligorio. Cfr. Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e Villa d’Este : la scena di Roma e il mistero della Sibilla », Il giardino storico italiano op. cit., p. 173-196, in particolare p. 189-190 ; Id., « Il Genius Loci di Villa d'Este », cit., p. 198-201 ; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e i teatri delle acque », op. cit., p. 106.

Note de bas de page 107 :

Antonio Del Re, Dell’antichità tiburtine capitolo V, op. cit., p. 65.

Una vasta gamma di suoni naturali dell’acqua viene poi artificiosamente riprodotta nel giardino106 : dal mormorio delle fontane accolte nei padiglioni della pergola, al dilavare delle acque sulla superficie delle mete sudanti che avrebbero dovuto ergersi al centro delle due peschiere mediane, al gorgoglio delle « Scale dei Bollori », alla « rouinosa pioggia »107 che poteva essere simulata dalla Fontana del Dragone.

Note de bas de page 108 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 145.

Note de bas de page 109 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 186.

Note de bas de page 110 :

Ibid.

Nella Fontana del Diluvio « si doueuano rappresentarele uoci de molti animali et suoni di quasi tutti gl’istrumenti così bellici, come musici »108 e, a conclusione del concerto musicale eseguito da un organo idraulico, lo svuotamento del serbatoio d’acqua che consentiva il funzionamento di quest’ultimo comportava l’emissione subitanea di una imponente massa d’acqua « qu’il semble vrayment d’une tempeste et orage pour le grand bruit qui se faict par la force & impetuosité dont elle est poussee »109, prima di placarsi « tous doulcement »110 nel bacino sottostante.

L’universo dei suoni artificiali veniva del pari esplorato a Villa d’Este in un crescendo di virtuosismo mimetico.

Note de bas de page 111 :

Antonio Lafrerj, A quelli che amano et desiderano di veder le cose belle, e rare; cfr. Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op. cit., p. 103; Leonardo B. Dal Maso, La villa di Ippolito d’Este a Tivoli, op. cit., p. 23. L’effetto verrà ricordato da Michel de Montaigne (Journal de voyage, op. cit., p. 128-129), che visitò il giardino nell’aprile del 1581, e minuziosamente descritto con ammirazione tanto da Nicolas Audebert quanto da Antonio Del Re. « quattre Dragons [...] jettent l’eau par la bouche & de la force qu’elle sort comme par secousses, faict un pareil bruit que coups de harquebuses, de sorte que cela continuant, il semble d'une escoppetterie de harquebusuers, & durant que cela se faict on entend parmy ce bruit comme quelques coups de gros canon qui est le gros tuyau du milieu qui ne jette que par interualles & a coups interrompuz repesente fort bien l’artillerie mettant son eau hors comme par gorgees auec un gargoullement tel que faict une bouteille pleine estant renuersee la bouche contre bas ». Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 180-181. « Alle volte con arte detta acqua fà scoppi a guisa di piccola bombarda, ò di più archibugi scarcati insieme ; & alle volte si allarga intorno a guisa di padiglione, rappresentante rouinosa pioggia, cosa marauigliosa a vedere, & a penetrar l’ingegno di far con l’istessa acqua in vn momento così belle mutationi ». Antonio Del Re, Dell’antichità tiburtine capitolo V, op. cit., p. 64-65.

La Fontana del Dragone poteva variare il tenore della propria emissione, simulando l’esplosione di un piccolo mortaio, o una scarica di fucileria « con un capo d’acqua, la quale salendo altissimo, nell’uscire fa strepiti come di colpi d’artiglieria »111.

Note de bas de page 112 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 184.

Note de bas de page 113 :

Ibid., p. 185. Cfr. anche Michel de Montaigne, Journal de voyage, op. cit., p. 128.

Note de bas de page 114 :

Antonio Lafrerj, A quelli che amano et desiderano di veder le cose belle, e rare ; cfr. Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op cit., p. 103 ; Leonardo B. Dal Maso, La villa di Ippolito d'Este a Tivoli, op. cit., p. 23.

Note de bas de page 115 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 186.

Nella Fontana del Diluvio, « qui surpasse du tout les aultres [...] pour l’artifice et secrets ingenieux qui y sont »112, l’acqua, entrata violentemente in una camera eolica, comprimeva l’aria insufflandola entro le canne di un organo, la cui tastiera veniva azionata automaticamente, « sans ayde de personne »113, mediante un congegno mosso anch’esso dall’energia idrica, il quale « con mirabile artificio à forza d’acqua suona da se stesso ogni madrigale ò mottetto che si voglia à quattro, ò cinque voci »114, mentre, « pendant que ceste musique dure, il y a un Rossignol qui ne cesse de chanter »115.

Note de bas de page 116 :

Ovidio, Metamorfosi, I, 330-347, edizione consultata Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, a cura di Piero Bernardini Marzolla, Torino, Einaudi, 1994, p. 20-21. Secondo l’interpretazione di David Dernie il plesso di fontane ubicate nella sezione inferiore del giardino (Fontana del Diluvio, Peschiere, e Fontana di Nettuno - per la quale si ipotizza tuttavia una collocazione leggermente differente rispetto a quella indicata da Dupérac) costituirebbero, nel loro insieme, una grandiosa allegoria del ciclo di rigenerazione della terra dopo il diluvio, evocato non solo nella grandiosa emissione d'acqua della fontana omonima, ma anche nella « pioggia artificiosa » che si inarca sopra le due peschiere mediane. Ad un secondo livello l’allegoria alluderebbe alla realtà tiburtina, celebrando l’opera del Cardinale, artefice del nuovo ordine imposto al caos naturale del vallone con la creazione del giardino. Cfr. David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 48-50. L’iridescente volta d’acqua che valicava le peschiere inquadrando la fontana verrebbe così ad evocare anche l’arcobaleno apparso a Noè a suggellare la fine del diluvio, alludendo all’unione simbolica tra cielo e terra. Cfr. ibid, p. 44; 115. Sulla base dell'interpretazione della coppia di mete sudanti come figura delle Colonne d’Ercole, Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna ipotizzano la possibilità di annettere l’asse delle peschiere anche al ciclo erculeo sviluppato nella sezione superiore del giardino. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « I miti del giardino di Ippolito », Villa d'Este, op. cit., p. 83-93, in particolare p. 88; 90.

Note de bas de page 117 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 186-187. La complessa articolazione sonora della Fontana del Diluvio avrebbe dovuto essere completata, secondo la ricostruzione di David Dernie, da un antro retrostante la Grotta della Sibilla Tiburtina scavata nella zona basamentale della fontana, nel quale l’eco della musica dell’organo si sarebbe confuso con il naturale rumore delle acque ad evocare l’oscura, tellurica fascinazione del verbo profetico della Sibilla. Cfr. David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 68-69.

Al tacersi della musica, simultaneamente alla violenta e fragorosa emissione d’acqua che concludeva il concerto, « durant ce deluge » si poteva udire, « au milieu de ceste eau », un tritone in pietra – l’araldo che, nella narrazione ovidiana116, per volere di Nettuno decreta la cessazione del diluvio -, suonare una tromba « d’un son enroué », la cui voce si innalzava grado a grado per poi scemare « peu à peu » in « un gargoullement et murmure qui semble venir de fort loing »117.

Note de bas de page 118 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 145.

Note de bas de page 119 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 182.

Note de bas de page 120 :

Cfr. Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op. cit., p. 63-65 ; Leonardo Lombardi, « La Fontana della Civetta », Villa d'Este, op. cit., p. 112-113.

Note de bas de page 121 :

Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op. cit., p. 182.

Note de bas de page 122 :

Michel de Montaigne, Journal de voyage, op. cit., p. 128.

La Fontana della Civetta « mentre si versa l’acqua rappresenta naturaliss.te le uoci di Rosignoli, Cardellini, Fanelli, et altre sorti di vcelli »118, « auec une telle melodie qu’il semble ny auoir difference entre cest’ artifice, et le naturel »119, accompagnandosi lo spettacolo sonoro ad un teatrino di automi120, palese memoria eroniana destinata a suscitare la più viva impressione presso i contemporanei, come testimoniano la minuziosa descrizione di essa redatta da Nicolas Audebert121, quella più succinta lasciataci di Montaigne122 - entrambi attenti a comprendere il funzionamento del congegno - ma anche la vivace notazione di Agostino del Riccio :

Note de bas de page 123 :

Agostino Del Riccio, « Del giardino di un re », op. cit., p. 87.

Molti uccelletti sono intorno a una grotta et nel mezzo, s’io non fallo, vi è una bella statua, et tal fiata esce fuora appo quella una civetta di rame ma dipinta al naturale ; subito che esce fuora, tutti gl’uccelletti cantavano, e quando tornava dentro tutti si chetavano123.

Note de bas de page 124 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143.

Il ricchissimo apparato di fontane che popola il giardino, esibendo creazioni di grandiosa monumentalità e di fastoso impatto scenografico, non ha tuttavia soltanto la finalità di offrire al visitatore « bellissime viste »124 e di coinvolgerlo in un intenso spettacolo di immagini e di suoni.

Note de bas de page 125 :

Il telaio fondamentale dell'impianto iconografico del giardino risulta chiaramente delineato, o, meglio, esibito nel testo della Descrittione, sulla quale si è basata, con raffinato esercizio di approfondimento erudito, la ricostruzione di esso elaborata da David Coffin nella sua classica monografia sulla Villa d’Este (The Villa d’Este, op. cit., in particolare p. 78-92) e riproposta, con marginali nuove precisazioni, negli studi posteriori (The Villa in the Life, op. cit., p. 327-329 ; Gardens and Gardening in Papal Rome, op. cit., p. 85-91 ; Pirro Ligorio, op. cit., p. 87-93). Un’opera così prestigiosa e così vertiginosamente complicata come Villa d’Este non poteva tuttavia cessare di sollecitare l'interesse degli studiosi, offrendosi anzi quale campo elettivo di esercizio per l'ermeneutica iconologica, in un processo che, se ha portato a perfezionare la conoscenza del complesso tiburtino, lascia sopravvivere ancora molte zone d’ombra, e, d’altro canto - come spesso accade in questi ambiti di studio -, convive con la tentazione all’eccesso di interpretazione e rischia di innescare un gioco ad infinitum di letture alternative, tutte legittimamente - e talora con impiego sofisticato e sapiente di filologia ed erudizione - fondate, ma tali da erigere un « labirinto » dell’esegesi, nel quale un « labirinto » del senso come Villa d’Este non potrà peraltro non compiacersi nel rispecchiare se stesso. Oltre ai numerosi saggi elaborati nel corso degli ultimi tre decenni da Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna, e al già citato contributo di David Dernie (The Villa d'Este at Tivoli, op. cit.), si segnala il recente volume di Gérard Desnoyer (La Villa d’Este à Tivoli ou Le songe d'Hippolyte. Un rêve d’immortalité héliaque, Myrobolan, 2002) che propone una radicale, meticolosa rilettura del complesso tiburtino come trascrizione di una teologia poetica neoplatonica, risolvendo la spazializzazione del senso che il giardino propone in una sinossi ideale ottenuta grazie ad « une perception ubiquiste » (Ibid., p. 143) che riarticola le immagini significanti in una pluralità di plessi sintattici astratti. Non è ambizione di questo saggio dar conto della complessità del dibattito storico-critico che il corpus di testi citati sottende né tantomeno tracciarne il bilancio : ai fini dei quesiti che qui ci si è posti, che riguardano la forma della produzione del senso attiva nel giardino piuttosto che i contenuti da esso comunicati, va tuttavia segnalato che le diverse interpretazioni del complesso tiburtino elaborate dalla critica, tutte sottendono la struttura a reticolo poliverso che si è cercato qui di ricostruire e di evidenziare.

I gruppi plastici che supportano le mostre d’acqua, ma anche i paramenti decorativi iconici che rivestono le strutture delle fontane, detengono infatti precisi valori semantici, talora puntuali e circoscritti, ma di norma agenti all’interno di elaborate sequenze allegorico-narrative, che si valgono del telaio tettonico dell’impianto del giardino come di un’ideale pagina sulla quale inscrivere i propri percorsi di senso125.

Note de bas de page 126 :

Giancarlo Innocenti, L’Immagine Significante. Studio sull'emblematica cinquecentesca, Padova, Liviana Editrice, 1981, p. 121.

Lo spazio ordinato e razionalmente dominabile nella sinossi visiva della veduta prospettica accoglie così al suo interno una spazialità di altra matrice, governata dalla sintassi dei cicli iconografici declinati dall’arredo statuario, i quali ordiscono a Villa d’Este un complicato congegno semantico, fatto di percorsi intersecantisi intorno snodi polisemici, o talora sovrapposti e poliversi, realizzando nel giardino la « costruzione di uno spazio scenico delle immagini-segni, dei figurati della significazione : di una significazione che decentra la gerarchia del significato unico per una pluralità dei sensi »126.

Note de bas de page 127 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 93; David R. Coffin, Pirro Ligorio, op. cit., p. 98.

Note de bas de page 128 :

La spazializzazione di un contenuto concettuale tradotto in un discorso per immagini è tratto costitutivo del giardino manierista, che lo assimila alle coeve esperienze dei Teatri della Memoria. Cfr. Fausto Testa, Spazio e allegoria nel giardino manierista, op. cit., p. 37. Sul modello dei Teatri della Memoria si rimanda a Lina Bolzoni, La stanza della memoria. Modelli letterari e iconografici nell'età della stampa, Torino, Einaudi, 1995.

In tal modo il giardino amplifica nella dilatata estensione che gli è concessa quanto si evidenzia anche negli ambienti interni della villa, dove le decorazioni pittoriche non si organizzano in un ciclo iconografico coerente127 per sviluppare al contrario in sequenze limitate e circoscritte di ambienti, quand’anche non nelle singole stanze, una pluralità di narrazioni all’apparenza autonome, la cui unità di fondo poggia su un reticolo sottile di rapporti concettuali o tematici che nel giardino potrà tradursi in un labirintico intrico di percorsi128.

Il complesso tiburtino viene così a configurarsi come un testo simbolico a più livelli, il più elementare e immediato dei quali è rappresentato dalla fitta disseminazione di cifre araldiche, che presidiano capillarmente gli ambienti interni della villa e ogni zona del giardino.

Note de bas de page 129 :

Calco dell’ovidiano « ab insomni concustodita dracone » : Ovidio, Metamorfosi, IX, 190, edizione consultata cit. p. 352-353.

Note de bas de page 130 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143.

Il giglio estense e le figure dell’impresa del Cardinale – un’aquila bianca che afferra una ghirlanda adorna di alcune mele d’oro, accompagnata dal motto « Ab insomni non custodita dracone »129 - compaiono, singolarmente o in svariate combinazioni, con presenza quasi ossessiva : « le arme del Cardinal sostenuta da due fanciulli »130 accoglieva i visitatori sul fastigio della « porta principale del giardino » a valle ; aquile e gigli ornavano il padiglione della pergola posta nel terrazzo inferiore, decorano il bacino della Fontana di Tivoli ; insieme alle mele d’oro ricoprono il pavimento e le pareti della Grotta di Diana, dove cariatidi portano sul capo cesti di aurei pomi, dai quali si dipartono intrecci di rami carichi dei medesimi frutti, che si snodano su ampi fascioni lungo le diagonali della volta, al centro della quale campeggia un’aquila bianca entro un serto di rami con mele d’oro ; gigli estensi, alternati ad imbarcazioni di pietra e a vasi, fanno da coronamento al condotto superiore del Viale delle Cento Fontane, al centro del quale, lungo l’asse primario del giardino, si erge la figura di un’aquila ; ghirlande di mele d’oro invadono la trabeazione e si avviticchiano intorno alle colonne che fiancheggiano la nicchia della Fontana della Civetta, sul cui fastigio, riprendendo il motivo che caratterizza il coronamento del recinto della fontana, si staglia l’aquila bianca tra due gigli ; due aquile si ergono del pari sulla sommità dei pilastri d’accesso alla Fontana degli Imperatori ; un’aquila conclude, tra le volute del frontone spezzato, il prospetto della Fontana del Diluvio ; un’aquila bianca tra rami intrecciati con i pomi delle Esperidi occupa il frontone del ninfeo a edicola della Fontana di Tivoli nel salotto al piano inferiore della villa ; lo stemma di Ippolito e tralci in stucco con i pomi delle Esperidi costituiscono il decoro della prima delle tre Fontanine rustiche in foggia di ninfei a edicola ubicate nella « Manica lunga » della villa, mentre la seconda di esse si fregia di un decoro musivo con le consuete mele d’oro e di due aquile bianche, e la terza, posteriore al 1571, è adorna di una teoria di gigli ; un grande stemma del cardinale campeggia infine, sorretto da due putti, sul fastigio della Grotta di Venere, un ninfeo a camera realizzato al piano inferiore della villa e aperto sul giardino segreto.

Se tale infittita cifratura presiede all’impossessamento simbolico del territorio nel segno del suggello araldico di Ippolito II, non esaurisce tuttavia in ciò la propria funzione ; l’universo del mito cui l’emblema rimanda conferisce infatti ad esso una ben più vasta pregnanza semantica e una autonoma vitalità nell’introdurre, con un ridondante gioco di allusioni, la narrazione fondamentale che coordina, a più livelli, il tessuto iconografico del giardino.

Note de bas de page 131 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 89 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 99.

Le mele d’oro evocano infatti l’impresa erculea del Giardino delle Esperidi, avallando così l’ideale identificazione del complesso tiburtino con l’Hortus Hesperidum, figura dell’Eden trasposta nelle forme della mitologia classica131, archetipo dell’originario stato di perfezione della natura, qui ricreato dall’arte per volere del Cardinale.

Note de bas de page 132 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 79, 95 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 93.

Note de bas de page 133 :

Suidae Lexicon Graece et Latine, Halle, 1843, I, pt. 2, coll. 875-876. Il riferimento di tale canone etico al cardinale si inscrive d’altronde in una ben precisa tradizione estense, dacché le tre virtù connesse ai pomi delle Esperidi erano state indicate quale elettivo patrimonio morale dell'eroe tebano già nella vita di Ercole dedicata nel 1514 al fratello di Ippolito, Ercole II d’Este, da Lelio Gregorio Giraldi. Cfr. Lelio Gregorio Giraldi, Opera omnia, 2 voll., Leyden, 1696, vol. I, col. 581. Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 79.

Gli aurei frutti del Giardino delle Esperidi per un erudito umanista come Ligorio132 detenevano tuttavia anche un eminente valore di allegoria morale : la vittoria di Ercole sul drago - simbolo delle passioni e del vizio - che le difendeva conduce infatti idealmente l’eroe alla conquista delle virtù cui le tre mele alludono ; « non irasci », « pecuniae non inhiare », « voluptatibus non esse deditum »133.

Il riferimento all’Hortus Hesperidum, contenuto nell’impresa del Cardinale, ancorché non limitarsi a suggerire una sovrapposizione tra il complesso tiburtino e l’illustre archetipo, agisce pertanto come autentico nucleo generatore del congegno semantico ordito nel giardino, evocando un universo di valori morali e introducendo quella che è, senza dubbio, la figura centrale del sistema allegorico della villa : Ercole, autentico fulcro dal quale si irraggiano i plurimi sviluppi tematici e le molteplici narrazioni mitiche che intessono il testo di immagini simboliche ordito dall’apparato decorativo del giardino.

Note de bas de page 134 :

Cfr. Charles Dejob, Marc-Antoine Muret : un professeur français en Italie dans la seconde moitié du 16e siècle, E. Thorin, 1881.

Note de bas de page 135 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 94; David R. Coffin, The Villa in the Life, op. cit., p. 327.

Note de bas de page 136 :

Con questo ruolo la figura di Ercole compare come Saxanus negli affreschi della Prima Sala Tiburtina della Villa, nella quale si evoca la mitica fondazione di Tivoli. Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 60-63. Cfr. anche David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 49-50

Note de bas de page 137 :

Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « I miti del giardino di Ippolito », op. cit., p. 89.

I giardini di Tivoli, novello Hortus Hesperidum, come ebbe a scrivere Marc-Antoine Muret - dotto umanista francese al servizio del Cardinale dal 1558134, che si ipotizza possa aver avuto parte nel processo di definizione del programma iconografico del complesso tiburtino135 - sono infatti consacrati ad Ercole, conquistatore delle mele sacre, antico patrono della regione136, mitico progenitore degli Estensi, e infine, in qualità di eroe dissodatore e bonificatore, ideale protettore della grandiosa trasformazione territoriale voluta da Ippolito a Tivoli137.

Dedicatio hortorum Tiburtinorum

Aurea sopito rapuit quae mala Dracone

Alcides, eadem nunc tenet Hippolytus.

Qui memor accepti, quos hic conseverat hortos,

Note de bas de page 138 :

Marc-Antoine Muret, Orationes, epistolae & poemata, Leipzig, Johann Grosse, 1672, Poemata varia duobus libris distincta, libro I, p. 47, n. 53.

Auctori voluit esse sacros138.

All’eroe genealogico del casato viene peraltro ad affiancarsi, come ancora indica Marc-Antoine Muret in un secondo epigramma dedicatorio, l’eroe eponimo del Cardinale, il casto Ippolito.

Dedicatio hortorum Tiburtinorum

Nec labor Alciden fregit, nec blanda voluptas

Unquam animum casti molliti Hippolyti.

Ambarum hos hortos virtutum accensus amore,

Note de bas de page 139 :

Ibid., n. 52.

Herculi & Hippolyto dedicat Hippolytus139.

Note de bas de page 140 :

L’impresa appare in tal senso connotata da una decisa tensione ideologica. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « I miti del giardino di Ippolito », op. cit. p.  88.

I versi di Muret ci introducono nel cuore del sistema simbolico del giardino, ne individuano i protagonisti, evocando l’universo etico di cui entrambi sono testimoni esemplari e in ragione del quale adempiono alla funzione di condensare in sé l’encomio del committente, e della sua casata, con la celebrazione dei valori morali che gli pertengono nel suo ruolo di sacerdote, principe della chiesa e governatore di Tivoli140. Ercole e Ippolito sono infatti consacrati dall’umanista francese quali campioni di virtù : il coraggio e la strenua abnegazione dimostrati da Ercole nel travaglio delle sue fatiche, la castità eroica di Ippolito.

La diarchia che governa il giardino si regge tuttavia su un tessuto di connessioni ben più ricco, che correla i due eroi sul piano tematico ma anche in ragione delle intersezioni delle narrazioni mitiche che li vedono protagonisti, dando vita ad un congegno simbolico complesso, articolato su più livelli e capace di una diaspora di dinamiche espansive tali da convocare altre figure e sviluppare ulteriori percorsi di senso.

Note de bas de page 141 :

L’episodio è evocato della scena del Concilio degli Dei affrescata al centro della volta della Sala di Ercole. Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 55-56.

Note de bas de page 142 :

Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XV, 487-546, edizione consultata cit., p. 628-631 ; Ovidio, Fasti, VI, 733-756, edizione consultata Publio Ovidio Nasone, Fasti e frammenti, Torino, UTET, 1999, p. 456-457 ; Virgilio, Eneide, VII, 761-777, edizione consultata Publio Virgilio Marone, Opere, a cura di Carlo Carena, Torino, UTET, 1971, p. 626-627.

Le peripezie di entrambi gli eroi greci ai quali il giardino è consacrato si concludono con la conquista dell’immortalità : Ercole accolto sull’Olimpo141, Ippolito resuscitato in terra laziale sotto le spoglie di Virbio142.

L’accesso ad un superiore livello di esistenza, conquistato dopo aver attraversato le tenebre della morte o il travaglio della più cieca disperazione accomuna Ercole e Ippolito alla terza figura cardine del sistema simbolico del giardino, l’eroina greca Ino, scampata alla morte e trasmutatasi nella divinità marina Leucòtea, per approdare infine in terra laziale ove sarà onorata a Tivoli come Sibilla Albunea.

Note de bas de page 143 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 69-77 ; Renato Lefevre, Pirro Ligorio e la sua « Vita di Virbio », Dio minore del Nemus Aricinum, Roma, Quasar, 1998 ; David R. Coffin, Pirro Ligorio, op. cit., p. 99-106.

I tre protagonisti del complesso tiburtino declinano pertanto un medesimo motivo : il raggiungimento dell’immortalità, che, se ad un livello più generale adombra, sotto la scorza pagana del mito, il tema cristiano della morte e resurrezione, conduce anche una puntuale allusione alla personale vicenda umana del committente. Anch’egli infatti era idealmente risorto a vita nuova una volta che Pio IV lo ebbe reintegrato nella funzione di governatore di Tivoli dopo l’esilio patito sotto il pontificato di Paolo IV, nello stesso modo di Ippolito-Virbio, resuscitato per opera di Esculapio e assurto in terra laziale, per intervento di Diana, al rango di divinità minore, secondo l’analogia formulata da Ligorio nella traslazione allegorica della vita del Cardinale affidata a una serie di sedici disegni che illustrano la « vita parallela » dell’eroe eponimo, verosimilmente elaborati al fine di realizzare un ciclo di arazzi per la villa143.

Ercole, Ippolito-Virbio, Ino-Leucòtea-Sibilla Albunea sono del pari legati tra loro sul piano della narrazione mitica : ciascuno di essi ebbe infatti un ruolo nelle vicende degli altri due in un gioco complesso di intersezioni che avrà una parte non secondaria nel determinare le logiche compositive dei percorsi allegorico-simbolici nel complesso tiburtino.

Ercole, divinità patrona di Tivoli, Ippolito-Virbio, mitico fondatore di Ariccia, venerato in un tempio a lui dedicato presso il Lago di Nemi, e la Sibilla Albunea, oggetto di un culto elettivamente tiburtino, presiedono infine tutti, come numi tutelari, al territorio ove sorge Villa d’Este : nell’economia generale del sistema del giardino essi potranno pertanto agire o interagire, con ruoli e rilievo diversi, anche all’interno della grandiosa allegoria geografica che nel giardino si realizza, in un’ulteriore specifico percorso semantico, a suggellare l’impossessamento simbolico della regione da parte del suo governatore.

I grandi temi morali della vittoria della Virtù sul Vizio, e dell’esaltazione della Castità, il continuo richiamo alla conquista dell’immortalità come glorioso epilogo del ciclo morte-resurrezione, l’apologia dinastica e personale del committente, l’appropriazione del territorio nel segno del genius loci vengono così a coagulare intorno alla triade Ercole, Ippolito, Sibilla Albunea.

Tale imponente sedimento di contenuti troverà nel giardino il luogo in cui tradursi in un discorso per immagini, che si dipana nello spazio secondo sequenze allegorico-narrative entro le quali si dislocano statue antiche, gloria collezionistica del Cardinale, e opere moderne realizzate ad hoc, in una serie plurima di percorsi di senso che il testo della Descrittione ci consente di ricostruire nelle sue linee essenziali.

L’asse principale del giardino, la « via regia » che conduce alla Villa dall’accesso a valle, con la sequenza delle fontane che lo popolano, ha come protagonista la figura di Ercole e scandisce i temi etici della contrapposizione tra Vizio e Virtù e della conquista dell’immortalità che premia chi abbia saputo perseguire quest’ultima.

Note de bas de page 144 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 145.

Lasciata la terrazza inferiore e le figurazioni araldiche che comparivano nella pergola, ascesa la « Scala dei Bollori » mediana, si dischiude la spettacolare visione della Fontana del Dragone « così detta per che rappresenta il famoso Dragone, che custodiua l’Orto dell’Esperidi »144, circondata da due scale curvilinee, episodio senza dubbio eminente per la centralità della posizione, per la grandiosità della sistemazione architettonica e, non ultimo motivo, per l’imponente e sonora emissione d’acqua, l’unica di tale rilievo lungo l’asse centrale.

Dietro di essa, in un ninfeo a nicchia scavato nel pendio retrostante, secondo il progetto originario avrebbe dovuto stagliarsi :

Note de bas de page 145 :

Ibid. Il gruppo di Ercole non fu mai collocato nella nicchia, dove, già nel 1611, Antonio del Re descrive una statua di Giove con la folgore. Secondo una ipotesi avanzata da David Dernie tale soluzione iconografica, ancorché non costituire un travisamento del progetto attestato dalla Descrittione, risponderebbe al contrario all'intento originario dei creatori del giardino. L’interpretazione complessiva dell'impianto iconografico che, a partire da tale supposizione, viene elaborata, per quanto comporti una parziale riarticolazione dei plessi semantici dell'arredo plastico, in ragione della analogia tra la figura di Giove e quella di Cristo Giudice, non contraddice nella sostanza la tesi centrale proposta dalla Descrittione, che vuole il giardino estense una grandiosa ritrascrizione del tema cristiano della morte e resurrezione nel linguaggio dell’allegoria mitologica. Cfr. David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., 36-37 ; p. 115-117. Anche di Ercole la cultura umanistica aveva peraltro elaborato una interpretazione quale figura del Cristo : cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 89; Id., Gardens and Gardening in Papal Rome, op. cit., p. 90-91 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 99.

Un’Hercole di forma colossa conlasua mazza in mano, il quale stà in un Nicchio nel mezo come Protettore dell'Aquila, che uccide il Dragone, alludendo così all'impresa del Cardinale, la quale è un’Aquila, con un ramo del pomo dell'Esperide et il motto dice ab insomni non custodita dracone145.

Proseguendo lungo l’asse, in ascesa, si incontrava un :

Note de bas de page 146 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 148.

Nicchio grande corrispondente alla fontana del Dragone dabasso, nel quale è posto un'Hercole d'età senile à giacere di forma golossa di marmo antico et molto bello, et questo si posa sopra tutte le spoglie et trofe ; et hà la sua Claua et pelle del leone sotto il capo, il nicchio poi ètutto depinto di cose che rappresentano le forze del medesimo Hercole146.

Ercole, colto nella Fontana del Dragone nel momento cruciale del suo gesto eroico, che insieme allude alla decisiva intrapresa della via della virtù, ricompare qui, circondato dalle memorie della sua gloria, con le fattezze di un vecchio la cui fiaccata natura umana è pronta ad accogliere la catarsi della divinizzazione, evocata dal successivo episodio plastico.

Al di sopra della nicchia che ospitava la statua dell’Ercole vecchio, sempre ovviamente sull’asse primario si ergeva infine un :

Note de bas de page 147 :

Ibid., p. 148-149.

Pie distallo grande, sopra il quale è collocata una statua colossa antica di marmo che rappresenta il medesimo Hercole, et hà unfanciullo in braccio auuolto nella pelle del lione et una ceruia appresso in’anzi ai piedi, et perché alcuni fauoleggiano che quel fanciullo fusse Achille nodrito delatte della Cerua, et fattato per esser stato inuolto nella pelle del leone per questo esse'dosi di mostrato con le due prime statue la fatica doue uccide il dracone, et il riposo doue giace sopra le sue spoglie, quiui si dimostra l’im’ortalità per ragione della quale fù adorato dagli huomini per Dio147.

L’apoteosi conclude la vicenda terrena di Ercole : l’immortalità dell’Olimpo è la meta alla quale conduce la via della virtù eroica.

La connotazione araldica di Ercole quale antenato mitico degli estensi, si contamina pertanto, come già si è avuto modo di anticipare, con un preminente simbolismo morale, al fine di esaltare la virtù del Cardinale suggerendo l’analogia tra questi e la figura dell’eroe greco.

Note de bas de page 148 :

Ibid., p. 148.

Note de bas de page 149 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 56-57.

Secondo la Descrittione148, in una posizione che risulta oggi difficile definire con esattezza, ma comunque site in nicchie scavate sul pendio, adiacenti alla Fontana del Dragone dovevano essere poste statue antiche effigianti Socrate, Solone e Licurgo solennemente assisi, immagini di sapienza e di giustizia che si integravano nel ciclo iconografico deputato all’esaltazione della virtù realizzato dalla serie di episodi plastici che avevano avuto come protagonista Ercole, riprendendo, nello spazio giardino, un tema che aveva avuto compiuto sviluppo all'interno della Villa con le figure di saggi greci affrescate nella Sala della Nobiltà149.

Note de bas de page 150 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 149.

Note de bas de page 151 :

Nell’economia del plurimo gioco di richiami reciproci che si intesse tra le diverse figure presenti nel giardino, la presenza di Minerva può del pari giustificarsi in ragione del legame che essa ha con le Muse, celebrate nella Fontana dell’Ovato (Cfr. Ovidio, Metamorfosi, V, 250-272, edizione consultata cit., p. 186-187). Cfr. David Dernie, The Villa d'Este at Tivoli, op. cit., p. 73.

Lungo l’asse centrale, proseguendo ancora in ascesa verso la Villa, dopo la coerente sequenza narrativo-allegorica dedicata ad Ercole, la riflessione sul tema del male innescava un autonomo sviluppo allegorico nelle due fontane successive, la prima delle quali, in una loggia posta al centro dell'asse trasversale chiamato Passeggiata del Cardinale, è nota come Grotta di Pandora150. La statua di Pandora si ergeva sopra una roccia, sotto la quale era posto un drago che sprizzava acqua. Ai lati, in due nicchie, erano site due statue di Minerva. Il motivo del conflitto tra Vizio e Virtù veniva qui sviluppato accostando una duplice immagine della dea della saggezza151 alla figura di Pandora, scaturigine di tutti i mali ed i princípi di corruzione morale che affliggono l’umanità.

Note de bas de page 152 :

Cfr. Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op cit., p. 172, Cfr. supra nota 92.

Note de bas de page 153 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 149.

L’ostensione dei nefasti effetti che conseguono da una condotta peccaminosa veniva ripresa nel successivo episodio plastico posto sull’asse, proseguendo verso l’alto, la Fontana di Leda, ospitata nel piano inferiore della loggia a due livelli che si eleva al centro della facciata della Villa. Il gruppo principale rappresentava Leda con il Cigno, l’animale in cui, al fine di possederla, si era trasformato Giove, la cui presenza è qui convocata una seconda volta, come osserva Audebert, nella forma dell’epifania solare realizzata grazie a un raffinato gioco d’acqua152. In quattro nicchie trovavano collocazione le figure di Elena, di Clitennestra, di Castore e di Polluce, « tutte quattro figliuoli di Gioue et di Leda »153 e tutti legati nel mito a tragiche vicende di discordia e di lutto, che hanno la loro matrice originaria nell’illecita e peccaminosa unione da cui essi discendono.

Note de bas de page 154 :

Ibid.

Ai piedi delle due rampe che adducono al secondo piano della loggia, su due piedestalli, si ergevano, « come per custodia del Palazzo »154, una statua di Ercole ed una di Achille, figure entrambe legate, per quanto in modo differente, all’idea dell’immortalità, già evocata all’interno del ciclo erculeo e qui così richiamato al termine dell’itinerario lungo l’asse centrale.

Il tema della vittoria della Virtù sul Vizio, sotteso alla vicenda di Ercole evocata lungo l’asse centrale, è fatto oggetto di un ulteriore sviluppo per tramite di un’altra narrazione mitica, concettualmente organica alla precedente ma svolta lungo un itinerario spaziale differente, per quanto fisicamente interconnesso al precedente all’interno di una coerente topografia allegorica. È in questo contesto che farà il proprio ingresso in scena la figura di Ippolito.

Note de bas de page 155 :

La trama viaria del giardino acquisisce qui una precisa valenza simbolica, riproducendo nel tracciato dei viali la Y pitagorica. Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 83.

Ercole, che si staglia nella nicchia dietro la Fontana del Dragone, è al centro di un bivio che è insieme reale e metaforico. Il momento cruciale nella scelta dell’eroe tra il Vizio - il dragone, simbolo delle basse passioni - e la Virtù - le mele d’oro - è segnato dal divaricarsi a Y di due vie155. Ercole è al bivio tra Vizio e Virtù, l’alternativa si compendia, secondo la logica dell’allegoresi mitologica, in due figure : Venere e Diana.

Note de bas de page 156 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 144.

Note de bas de page 157 :

Pirro Ligorio, Libro dell'antichità, Torino, Archivio di Stato, ms. a.II.14.j. 27 (« de la Diana Ephesia »). In merito alla Grotta di Venere Marcello Fagiolo avanza una interpretazione opposta rispetto a quella esposta e codificata dalla Descrittione, per quanto non esclusiva, bensì complementare ad essa nell’ambito di una ambigua dialettica di indistinzione tra il Bene ed il Male. Venere potrebbe infatti essere interpretata come Venus genitrix, non già dea della lussuria, ma divinità che rapresenta la forza generante della natura. Si verrebbe in tal modo a creare una serie di connessioni tra essa e le figure della Sibilla Albunea - identificata con la Mater Matuta, dea della nutrizione - e della Diana Efesia, « Dea della Natura » che campeggiava al centro della Fontana dell'Organo. La topografia del bivio erculeo tra Vizio e Virtù assumerebbe così un diverso orientamento : la Virtù è ad oriente, nella costellazione Venere-Sibilla-Diana Efesia, mentre ad occidente la teatralità della Fontana di Roma si carica di risvolti negativi che alludono alla finzione mistificatoria e dunque al Vizio. Secondo Fagiolo tale interpretazione sarebbe corroborata dalla stessa vicenda delle acque, che giungono nel giardino, tramite gli acquedotti, in corrispondenza delle « fontane di vita » della Sibilla e della Diana Efesia, e avrebbero dovuto concludere la loro vicenda nell'opposta Fontana di Nettuno : « acque di pericolo di morte, di approdo finale ». Tale determinazione topologica delle opposte aree del giardino riceverebbe un’ulteriore conferma della corrispondenza con l’orientamento del cammino del sole, poiché ad oriente si collocano le fontane di vita, mentre le fontane occidentali alluderebbero alla dispersione e alla morte. Cfr. Marcello Fagiolo, « Il significato dell’acqua », op.cit., p 181-185 ; riproposto con lo stesso titolo in Il giardino storico italiano, op. cit., p. 204-208. Sulla stessa linea si muove Maria Luisa Madonna (« Il Genius Loci di Villa d’Este », op. cit.), che avanza la proposta (che peraltro non viene sviluppata analiticamente a livello della iconografia complessiva del giardino) di individuare un duplice livello di lettura del simbolismo di Villa d’Este. Accanto al simbolismo esoterico di contenuto morale sviluppato lungo il percorso ascensionale verso la villa dalla vicenda di Ercole si dovrebbe riconoscere un parallelo simbolismo esoterico, rilevabile solo inabissandosi dall'alto verso il basso, e fulcrato intorno alla figura di Venere intesa come Natura Generante, forza motrice e vivificante del cosmo. Regno delle acque, sito di Venere e della Sibilla Albunea, il giardino viene interpretato come la scrittura di « una cosmologia di ascendenza esiodea, risemantizzata dall'orfismo neoplatonico e storicizzata in onore del Genius Loci » (Ibid., p. 194), luogo di un « viaggio iniziatico nell'intimo dei segreti della vita della Natura » (Ibid., p. 198). Tali tesi sono state recentemente rielaborate nel saggio Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « I miti del giardino di Ippolito », op. cit., nel quale si propone una rilettura complessiva anche del ciclo erculeo, di cui si ritiene opportuno ridimensionare le connotazioni etiche ad esso attribuite dalla Descrittione, la veridicità della quale sarebbe inficiata dalla preoccupazione di occultare gli autentici messaggi esoterici del giardino sotto una veste moralistica adeguata all’incipiente temperie controriformista. L’interpretazione di Venere in chiave neoplatonica, quale figura dell’amore come forza di mediazione tra cielo e terra è ripresa anche da David Dernie, che inserisce pertanto la Grotta di Venere entro una differente topografia simbolica, connettendola al tema della generazione evocato dalla Diana Efesia e dalla Sibilla-Mater Matuta nelle fontane del Diluvio dell'Ovato, lungo un coerente percorso a mezza costa che si prolunga a L sino alla Rometta. Cfr. David Dernie, The Villa d'Este at Tivoli, op. cit., p. 82.

Alla sinistra della statua di Ercole, per chi stia ascendendo in direzione della Villa, immediatamente al di sopra della nicchia della Fontana del Dragone, il Viale delle Cento Fontane conduce al recinto architettonico della Fontana di Tivoli. Quivi, nella parete posta a chiudere il terrapieno sul lato della Villa, si apre il complesso di tre stanze chiamato Grotta di Venere, il cui ambiente centrale ospitava una fontana dominata da un’antica statua di Venere che sorge dal bagno, del tipo della Venere Capitolina, circondata da figure di putti che cavalcano oche e di giovani versanti acqua da vasi. Secondo la Decrittione questa grotta era « dedicata al piacere uoluttuoso »156, a Venere come « madre di Cupido brutto ed armato d’arco et di saette, che è la lussuria et brutta attione di mortali »157.

Note de bas de page 158 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 144.

Tornati alla Fontana del Dragone, sulla destra della statua di Ercole, un sentiero in salita - più stretto e certo meno spettacolare della porzione del Viale delle Cento Fontane che adduce alla Grotta di Venere - ascende alla Grotta di Diana, ospitata in una loggia che si apre al termine della Passeggiata del Cardinale nelle sostruzioni del primo terrazzamento, e « dedicata », con esplicita contrapposizione rispetto alla precedente, « al piacer honesto et alla Castità »158.

Note de bas de page 159 :

Ibid., p. 149. Tale statua non fu mai posta in sede e in sua vece venne installata una statua di Minerva.

Note de bas de page 160 :

Tale presenza potrebbe inoltre costituire una allusione alle figure di Amazzoni appartenute ad Augusto ritrovate tra le rovine dell’Atrio Palatino, corroborando in tal modo una consapevole strategia di assimilazione tra la Villa d’Este e la « Villa di Augusto » - in realtà Tempio di Ercole Vincitore - i cui resti si trovano nella medesima area tiburtina. Cfr. A. Scheurs, « “Herkules verachtet die einstigen Gärten der Hesperiden im Vergleich mit Tibur”. Die Villa d’Este in Tivoli und die “memoria dell'antico” », op. cit., p. 337; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op cit., p. 11-12 e p. 30, nota 16. Cfr. anche Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 87-90.

Note de bas de page 161 :

Le scene raffigurano rispettivamente : Perseo e Andromeda, Diana e Atteone, Apollo e Dafne, Pan e Siringa, Diana e Callisto. Una ipotesi interpretativa complessiva del ciclo iconografico è avanzata da David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 94-95.

All’interno dell’ambiente principale « sono due fontane una dedicata a Diana Dea della Castità l’altra a Hippolito giouane castissimo ; il quale uolse più presto patir la morte, che co’sentire al furor di Fedra sua madrigna »159. Completavano l’arredo le statue dell’eroina romana Lucrezia e di Pentesilea, regina delle Amazzoni e sorella della madre di Ippolito160, e grandi pannelli musivi effigianti soggetti tratti dalle Metamorfosi ovidiane del pari variamente connessi al tema della verginità violata o eroicamente difesa161.

La presenza di Ippolito e di figure a questi legate nella narrazione mitica, viene così a conferire, per il tramite dell’eroe eponimo in cui si adombra la figura del Cardinale, un sovratono di apologia personale all’astratta celebrazione della virtù e della castità.

Va a questo punto rilevato come il mito, utilizzato estensivamente nel giardino per la trascrizione allegorica di contenuti concettuali, preservi tuttavia la propria identità e manifesti una sorta di inerzia interna tale da generare autonomi sviluppi narrativi.

Sia Diana, dea della Castità e patrona del giovane eroe, sia Pentisilea, sorella della di lui madre, non agiscono infatti, nel contesto in cui sono collocate, solo come mere personificazioni allegoriche : con la loro presenza esse innescano del pari il ricordo della vicenda mitica dell’antico Ippolito, nella quale entrambe ebbero un ruolo fondamentale, a cui Ligorio darà grande rilievo nella già citata serie di disegni, ora alla Pierpont Morgan Library, illustranti la Vita di Virbio.

Note de bas de page 162 :

Nella scelta di tali soggetti iconografici è del pari da leggersi la volontà di perfezionare l'evocazione, attuata sistematicamente nello spazio del giardino, della geografia sacra dell'antica Tivoli, ove, come nota Ligorio, i templi di Esculapio e di Igiea si affiancavano a quelli di Ercole e della Sibilla Albunea. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Il progetto della Villa tra antichità e natura », op cit., p. 30 nota 33. Nelle due fontane è stata del pari colta, come connotazione accessoria, un’allusione alla salubrità del sito e in particolare dell’ombrosa Passeggiata del Cardinale. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « L’evoluzione delle Fontane dal Cinquecento al Novecento », op. cit., 115.

Note de bas de page 163 :

Cfr. Ovidio, Metamorfosi, XV, 533-534, edizione consultata op. cit., p. 630-631.

Note de bas de page 164 :

Ibid., XV, 622-744, p. 634-641.

Se procediamo poi lungo la Passeggiata del Cardinale, all’estremità opposta rispetto alla Grotta di Diana, incontriamo un’ulteriore, importante propagginazione del mito nelle grotte dedicate ad Esculapio e alla figlia Igiea162, che evocano la figura del medico greco, figlio di Apollo, che già aveva curato Ercole e per intervento del quale, su istanza di Diana, Ippolito venne risuscitato nella persona della divinità minore Virbio e tradotto in terra laziale163. Lo stesso Esculapio, fulminato da Zeus per aver abusato dei propri poteri nel ricondurre Ippolito alla vita, accederà del pari all’immortalità, risorgendo come dio della medicina, venerato nel grande santuario di Epidauro. Toccato dalle suppliche di un’ambasceria inviata da Roma per chiedere l’intervento del dio al fine di far cessare un’epidemia di peste che imperversava nei territori del Lazio, trasformatosi in serpente, Esculapio si lascerà condurre per nave sino alla foce del Tevere, per approdare infine a Roma dove istituirà un proprio centro cultuale sull’Isola Tiberina164.

Note de bas de page 165 :

L’episodio della resurrezione di Ippolito per opera di Esculapio alla presenza di Diana è infatti illustrato da Ligorio nella dodicesima tavola del ciclo di disegni della Vita di Virbio al fine di tradurre in forma allegorica la reintegrazione di Ippolito d’Este nelle sue cariche dopo l'esilio. Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 74; David R. Coffin, Pirro Ligorio, op. cit., p. 104.

Note de bas de page 166 :

Il nesso di Esculapio con Ippolito-Virbio e Diana risulta inscritto anche nella geografia cultuale locale, ricostruita da Ligorio nella quindicesima tavola della Vita di Virbio ove si illustra il Santuario del Lago di Nemi nel cui recinto al Tempio di Diana, fondato da Virbio, si affiancano i santuari minori di Vesta e di Esculapio e, nei pressi del lago si erge un tempio consacrato allo stesso Ippolito-Virbio. Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 75-76 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 103-105.

Legata a Ercole, protagonista di un evento cruciale - e carico di suggestioni importanti in relazione alla biografia del Cardinale165 - della vicenda di Ippolito-Virbio, doppiamente connessa al motivo morte-resurrezione, la figura di Esculapio risulta così implicata in un vertiginoso intreccio di intersezioni tematiche e narrative a più livelli166 con gli altri protagonisti e con i motivi fondamentali del grande congegno allegorico del giardino che abbiamo sinora riconosciuto. In virtù degli sviluppi laziali, cantati da Ovidio, della sua vicenda mitica, essa instaura inoltre un importante nesso tematico, non privo di sovratoni allegorico-morali, con la grande metafora geografica messa in scena lungo l’asse del Viale delle Cento Fontane, che, correndo a monte della Fontana dell’Ovato, raccorda la Fontana di Tivoli alla Fontana di Roma concludendosi proprio al cospetto di una riproduzione in scala ridotta dell’Isola Tiberina sulla quale spicca la figura di un serpente spruzzante acqua ad evocare la presenza del dio presso il proprio santuario.

Per quanto riguarda la capacità manifestata dalle trame mitiche che governano il sistema simbolico del giardino di generare autonomi sviluppi e complesse intersezioni sul piano narrativo, si deve ancora rimarcare che la vicenda di Ippolito, richiamata direttamente nella Grotta di Diana e, in forma più implicita, nella Grotta di Esculapio, presenta con la figura di Ercole, l’altro protagonista del giardino, associazioni che vanno al di là del corale convergere nella celebrazione delle virtù morali del Cardinale. Ercole ebbe infatti un ruolo importante nel corso del confitto dei Greci contro le Amazzoni, in occasione del quale catturò e consegnò a Teseo l’amazzone Ippolita, che dall’unione con l’eroe ateniese avrebbe generato Ippolito.

Note de bas de page 167 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 70-71 ; David R. Coffin, Pirro Ligorio, op. cit., p. 100.

Note de bas de page 168 :

Pirro Ligorio, « Descrittione della superba & magnificentissima Villa Tiburtina Hadriana », col. 1, Johann Georg Graevius & Pieter Burmann, Thesaurus antiquitatum et historiarum Italiae, Leyden 1723, VIII, pt. 4. Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 88.

Tale episodio, d’altronde, può essere letto come segno della solidarietà ideale tra l’eroe eponimo e l’antenato mitico del cardinale Ippolito d’Este e con questo significato è evocato da Ligorio nella prima tavola della Vita di Virbio dedicata ad illustrare lo scontro tra Teseo e le Amazzoni condotte dalla regina Ippolita167. Del pari esso si rivela indirettamente connesso anche con la realtà tiburtina, in quanto, come osserva ancora Ligorio, la statua di Ercole a Tivoli venerata nell’antichità, con una singolare soluzione iconografica allusiva simultaneamente a due delle sue imprese, mostrava l’eroe con la clava e i pomi delle Esperidi, erto tuttavia, come guerriero vittorioso, sopra un trofeo di armi tra le quali spiccava uno scudo sottratto alle Amazzoni168.

Note de bas de page 169 :

L’interpretazione della sequenza di fontane che va dalla Fontana di Tivoli (con l'annessa Fontana di Pegaso) alla Fontana di Nettuno passando per il Viale delle Cento Fontane, la Fontana di Roma e la Fontana degli Imperatori, come grande allegoria del territorio tiburtino e del suo bacino idrografico è avallata, oltre che dalle esplicite indicazioni contenute nella Descrittione, dalle osservazioni in merito espresse da Uberto Foglietta, il quale, in una lettera indirizzata al cardinal Flavio Orsini in data 3 agosto 1569, attribuisce all’amico Pirro Ligorio la paternità di tale ciclo iconografico. Cfr. Uberto Foglietta, « Uberti Folietae, Patricii Genuensis, Tyburtinum Hippolyti Estii, Cardinalis Ferrariensis ad Flavium Ursinum, Card. Amplissimum », Johann Georg Graevius, Thesaurus Antiquitatum et Historiarum Italiae, I, pt. 2, Leyden, 1704, coll. 1217-24. (Cfr. Uberto Foglietta, Uberti Folietae Opuscula Nonnulla, Roma, Vincenzo Accolto & Valente Panizza, 1574 ; Id., Uberti Folietae Opera Subsiciva Opuscula Varia, Roma, Francesco Zanetti, 1579, p. 37-45). Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 97 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 85-86 ; Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op cit., p. 93-95, che pubblica in appendice (p. 103-106) una traduzione in lingua tedesca della lettera di Foglietta ; una versione italiana del testo è proposta da Francesco Saverio Seni, La Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 58-65, in particolare p. 61-62, e, recentemente, in Uberto Foglietta, Uberti Folietae, Patricii Genuensis, Tyburtinum Hippolyti Estii, Cardinalis Ferrariensis ad Flavium Ursinum (1569), con traduzione di Franco Sciarretta, Tivoli, Tiburis artistica, 2003. Se pur in assenza di esplicita indicazioni in tal senso presenti nella Descrittione e nelle fonti coeve, secondo l’interpretazione di David Dernie, anche la sequenza di fontane ubicate nella sezione inferiore del giardino (Fontana del Diluvio, Peschiere, e Fontana di Nettuno) andrebbe ad integrarsi entro tale sviluppo tematico. Secondo un consueto processo di superfetazione dei registri semantici, il ciclo di morte e rigenerazione ivi evocato mediante il mito ovidiano del diluvio alluderebbe del pari alla rinascita - sotto l’egida del Cardinale - del territorio tiburtino, rappresentato in forma allegorica nel giardino e sottilmente convocato mediante un raffinato gioco di allineamenti che connette i punti nodali del complesso estense alle emergenze archeologiche circostanti. Cfr. David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 48-50.

Il riferimento alla regione ove sorge la Villa, alla quale allude in tal modo la figura di Ercole, si intreccia, come motivo secondario ma ricorrente, con le narrazioni mitiche dal prevalente contenuto etico sviluppate intorno all’asse centrale e al percorso a Y infulcrato sulla Fontana del Dragone. Il tema dell’impossessamento simbolico del territorio gode tuttavia di un importante sviluppo autonomo lungo la direttrice che collega la Fontana di Tivoli alla Fontana di Roma, dove la natura artificiale del giardino mette in scena la morfologia del territorio al cospetto del suo signore169 con una sequenza di spettacolari fontane che realizzano una autentica narrazione geografica.

Note de bas de page 170 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 95-97 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 105 ; Carl Lamb, Die Villa d'Este in Tivoli, op. cit., p. 89-90.

Note de bas de page 171 :

Per questo aspetto si veda Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e i teatri delle acque », op. cit.. In particolare per la Fontana di Roma si vedano Ludovico Zorzi, Il teatro e la città. Saggi sulla scena italiana, Torino, Einaudi, 1977, p. 25-26; 48-55 ; Cfr. Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e Villa d’Este », op. cit., p. 174-182 ; Id., « La “Rometta” di Pirro Ligorio in Villa d’Este a Tivoli : un incunabolo tridimensionale », in Marcello Fagiolo, Roma antica, Lecce, Capone, 1991, s. i. p.

Con palese memoria della Villa Adriana170, dove i ricordi dei viaggi dell’imperatore si erano cristallizzati in una galleria di riproduzioni di luoghi celebri dell’antichità, dislocati nello spazio del giardino, il territorio tiburtino, la vicenda dei suoi fiumi fino al mare, e infine la città di Roma, trovano trascrizione nel giardino estense in una raffinata orditura di narrazioni mitiche, personificazioni, traslazioni sineddochiche informate a un mimetismo scenografico di ascendenza teatrale171.

Note de bas de page 172 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 146.

Note de bas de page 173 :

Cfr. David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 117. Un trasferimento iconografico analogo nella forma, e del pari emblematico del sincretismo tra paganesimo e fede cristiana che pervade il milieu culturale in cui prende forma il complesso tiburtino, si riscontra nella terza tavola della ligoriana Vita di Virbio che rappresenta la Nascita di Ippolito secondo lo schema canonico per la Natività della Vergine. Cfr. David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 71-72; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 101.

La Fontana di Tivoli (o dell’Ovato, o della Sibilla Albunea) « rappresenta il monte et ifiumi del Paese di Tiuoli [...] cioè l’Aniene hoggi detto Teuerone Albuneo et Erculaneo »172. Alle spalle del grande bacino ovale - cinto nella parte posteriore da un loggiato a emiciclo, nelle nicchie del quale dieci ninfe versano acqua da urne - si erge un monte artificiale, che allude al monte tiburtino. In esso si aprono tre grotte. In quella centrale, accompagnata dal figlioletto Melicerte-Palemone-Portumno - con una soluzione iconografica palesemente informata al tipo della Vergine con il Bambino173 - è posta la Sibilla Albunea, genius loci di Tivoli, qui personificazione del fiume Albuneo. Nelle grotte laterali giacciono le figure reclinate sul fianco di due divinità fluviali : l’Aniene e l’Erculaneo.

Note de bas de page 174 :

Cfr. Maria Luisa Madonna, «Il Genius Loci di Villa d'Este», cit., p. 205-206 ; Id., « Pirro Ligorio e Villa d’Este », p. 189-190 ; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e i teatri delle acque », op. cit., p. 98; David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit., p. 72-73.

La cascata che percorre i dirupi del monte allude al salto dell’Aniene a Tivoli. Sulla sommità della montagna è posta una statua di Pegaso, colto nell’atto di spiccare il volo e di colpire il suolo con gli zoccoli, facendo così scaturire la sorgente Ippocrene, la fonte sacra alle Muse alla quale si alimentano le acque del giardino e i fiumi tiburtini che esse rappresentano, in un’ideale sovrapposizione tra il monte di Tivoli e il Parnaso174 con la quale si intende celebrare il mecenatismo artistico del Cardinale.

Il viale che si apre dinanzi al recinto della Fontana di Tivoli, e che taglia il giardino ortogonalmente rispetto all’asse centrale, ospita il triplice canale del Viale delle Cento Fontane :

Note de bas de page 175 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 147.

Essendosi per la fontana di Tiuoli rappresentato il Monte et ifiumi di quelpaese, hora con questi acquedotti si dimostra il camino, che fanno uerso Roma unitamente, doue poi raccolti dal Teuere come nelle Fontana della Roma si uedrà se ne uanno di compagnia al Mare figurato perla fontana di Nettunno, di cui s’è detto disopra, doue, si raccogliono tutte l’acque del Giardino175.

Al termine del Viale delle Cento Fontane, la Fontana di Roma, ora poco più che un rudere, rappresentò uno degli episodi più straordinari ed originali del giardino estense. Posta su una terrazza in forma di esedra sporgente dalla linea perimetrale volta a sud-ovest, essa idealmente conclude la grandiosa allegoria geografica tiburtina con un testo figurativo che sapientemente assembla, in una sofisticata scenografia, personificazioni di monti e fiumi a citazioni dirette, in scala ridotta, dei tratti salienti della morfologia fisica del territorio, sino ad evocare, in un sintetico modello microurbanistico, la stessa città di Roma.

Note de bas de page 176 :

Cfr. Antonio Del Re, Dell’antichità tiburtine capitolo V, op. cit., p. 55.

Con una sistemazione risalente probabilmente ai primi del XVII secolo e descritta nel 1611 da Antonio del Re176, nella zona addossata alla Villa venne realizzato un pendio roccioso artificiale, sovrastato dalla personificazione dell’Aniene in figura di un vecchio che teneva nella mano destra una cornucopia e con il braccio sinistro cingeva il tempio circolare della Sibilla Tiburtina : ulteriore allusione al monte di Tivoli dagli scabri dirupi del quale precipitava un’altra copia miniaturizzata della cascata dell’Aniene. Concreta nella roccia emergeva la personificazione dell’Appennino, effigiata nell’atto di puntellare con le braccia tese la montagna da cui scaturisce la caduta d’acqua, mentre alla base del pendio, immersa parzialmente nel bacino sottostante, giaceva supina la figura del Tevere, che compare già nell’incisione di Dupérac.

Al centro dell’antistante specchio d’acqua rappresentante il corso del Tevere si trova una piccola barca di pietra, che allude all’isola di San Bartolomeo a Roma, con il tempio di Esculapio e quello di Giove, simboleggiati rispettivamente da un serpente spruzzante acqua e da un’aquila.

Note de bas de page 177 :

Ibid., p. 56.

Alle spalle dell’isola, in un singolare confronto con la « vera » Roma visibile all’orizzonte, si apriva la visione di Roma antica, « in forma di Scena, ò Teatro semiouato »177, disposta a semicerchio su un pendio e distinta in sette parti,

Note de bas de page 178 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 148.

[…] che rappresentano isette Colli di Roma ciascuno de quali acciò che possa essere distintamente conosciuto hà un Tempio sopra il più celebre, che dagli antichi ui fosse fabricato [...] et ciascun Tempio hà la sua statua in anzi di marmo per la quale si uiene in facile cognitione di chi fusse quel Tempio, et nel resto poi delli colli ui sono rappresentate tutte le maggiori fabriche, et più notabili di quel tempo178.

Note de bas de page 179 :

Cfr. Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op cit., p. 174-175.

L’immagine di Roma viene compendiata in un ideogramma sineddochico - « pourtraict ou plustost modelle de Rome »179 - come sequenza paratattica di edifici esemplari, disposti ad emiciclo e collegati alle spalle da archi evocanti l’acquedotto Claudio.

Note de bas de page 180 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 23-28 ; Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op cit., p. 175-176, nota 36 ; Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op cit., p. 72-74 ; Ludovico Zorzi, Il teatro e la città, op. cit., p. 25-26 ; 48-55 ; Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e Villa d’Este », op. cit., p. 174-182 ; Id., « La “Rometta” di Pirro Ligorio in Villa d’Este a Tivoli », op. cit.; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e i teatri delle acque », op. cit., p. 101; David Dernie, The Villa d'Este at Tivoli, op. cit., p. 90-91.

Note de bas de page 181 :

Cfr. Peter J. Holliday, « Roman Triumphal Painting : Its Function, Development, and Reception », The Art Bulletin, LXXIX, 1997, 1, p. 130-147. Per la ripresa del tipo iconografico del modellino di città nelle rivisitazioni rinascimentali dei trionfi romani antichi si rimanda a Fausto Testa, « "Che 'l Tiber per veder scoperse il collo,/E pargli quasi il suo tempo ritorni. La rinascita di Roma antica e la retorica politica pontificia nel “trionfo” di Giulio II per il Carnevale del 1513 », Das alte Rom un die neue Zeit. Varianten der Rom-Programmatik zwischen Petrarca und dem Barok/La Roma antica e la prima età moderna. Varietà del culto di Roma tra Petrarca e l'età moderna, Internationale Tagung, Frankfurt am Main, J.-W. Goethe Universität, 18.- 20. November 2004, atti a cura di Peter Ihring & Friedrich Wolfzettel, Tübingen, Gunter Narr Verlag, in corso di stampa.

Note de bas de page 182 :

Secondo la testimonianza di Audebert la realizzazione della Fontana di Roma rappresenterebbe per il Cardinale una sorta di simbolica rivalsa nei confronti del pontefice Pio V, che aveva frustrato le sue ambizioni di realizzare a Roma una grande residenza: « ledict Cardinal [...] dist que puis qu'il ne luy estoit permis auoir un chasteau en Rome, qu’il vouloit auoir Rome en son chasteau ». Cfr. Ronald W. Lightbown, « Nicolas Audebert », op cit., p. 175.

Se, come è stato evidenziato dalla critica180, tale codifica iconografica denuncia complesse ascendenze culturali, rielaborando plurime suggestioni assunte dalla tradizione scenografica, da modelli archeologici, da convenzioni cartografiche, oltre che riprodurre il tipo della Forma Urbis canonico nella cultura figurativa medievale, il riferimento ai simulachra urbium delle liturgie trionfali romane181 conferisce alla Fontana di Roma un ulteriore sovratono semantico in relazione alla vicenda biografica del committente che, dopo aver visto vanificate le proprie ambizioni di ascesa al soglio pontificio, nell’« esilio » tiburtino verrebbe ad inscenare, nell’universo parallelo del giardino, un ideale gesto di appropriazione simbolica nei confronti dell’Urbe182.

Note de bas de page 183 :

Secondo il progetto di Ligorio, registrato dalla Descrittione ma travisato dallo scultore che eseguì l’opera, la « Statua di Roma trionfante » avrebbe dovuto tenere in mano una statuetta effigiante « la uittoria alata » e non una lancia. Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 148. Cfr. Carl Lamb, Die Villa d’Este in Tivoli, op. cit., p. 92 ; David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 26-27 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 89.

Note de bas de page 184 :

Secondo l’interpretazione di Maria Luisa Madonna nel gruppo scultoreo sarebbe da ravvisarsi anche un riferimento alla « giustizia capitolina ». Cfr. Maria Luisa Madonna, « La “Rometta” di Pirro Ligorio in Villa d’Este a Tivoli », op. cit.

Nell’area antistante la serie degli edifici, la scena di Roma è completata infine dalla personificazione della città in fattezze di guerriera183, accanto alla quale furono aggiunte, successivamente alla morte del Cardinale, un gruppo scultoreo effigiante la lupa con i gemelli, ed un altro raffigurante la lotta di un cavallo - emblema di Tivoli - contro un leone - che allude a Roma -, ad evocare la sottomissione di Tivoli a Roma184.

La vicenda delle acque tiburtine, confluite nel Tevere, si sarebbe dovuta concludere nella « Fontana del mare o di Nettunno », che si progettava di realizzare in una esedra analoga a quella della Fontana di Roma, posta più a valle.

Note de bas de page 185 :

Secondo una proposta interpretativa avanzata da Coffin, il tour de force eroniano della Fontana della Civetta, ubicata in posizione baricentrica tra i due principali assi trasversali del giardino, si inserirebbe nell'economia simbolica del complesso tiburtino proponendosi come luogo elettivo di mediazione tra la Natura, alla quale sarebbe consacrata la direttrice che collega la Fontana della Dea della Natura alla Fontana di Nettuno, e l’Arte, celebrata nel percorso inaugurato dalla Fontana di Pegaso e concluso dalla Fontana di Roma, interpretata come emblema del fiorire delle arti sotto l’egida delle Muse. Cfr. David R. Coffin, The Villa in the Life, op. cit., p. 327-329 ; Id., Gardens and Gardening in Papal Rome, op. cit., p. 87-89; 103-104 ; Id., Pirro Ligorio, op. cit., p. 91. Con questa lettura concorda nella sostanza Claudia Lazzaro Bruno, The Renaissance Garden, op. cit., p. 229. Una tesi affine è sostenuta da David Dernie, che legge nella figura della civetta un riferimento a Minerva e ipotizza un legame topografico e simbolico con la Grotta di Venere all'interno di un sistema bipolare volto a confrontare la creatività dell'ingegno umano con la forza generativa della natura. La Fontana della Civetta in quanto consacrata a Minerva costituirebbe inoltre il fulcro di un sistema che comprenderebbe anche la Fontana di Roma e la Grotta di Diana, tutte a vario titolo intese a declinare il tema delle virtù creatrici dell'uomo. Cfr. David Dernie, The Villa d'Este at Tivoli, op. cit., p. 85-87.Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna riconoscono nella Fontana della Civetta un riferimento all'elemento Aria. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « L’evoluzione delle Fontane dal Cinquecento al Novecento », op. cit., p. 113.

Note de bas de page 186 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 145. Alla strategia evocativa di memorie imperiali antiche andrebbe ascritta la scelta di citare, nelle quattro colonne salomoniche della fronte, il motivo della « pergula » costantiniana di S. Pietro. Cfr. Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « L’evoluzione delle Fontane dal Cinquecento al Novecento », op. cit., p. 114.

Mentre la Fontana della Civetta sembra attestarsi essenzialmente come prodigio tecnico e presenza spettacolare, per quanto non scevro di plausibili sovratoni di natura simbolica185, l’altra fontana che separava la Fontana di Roma da quella del Mare, la cosiddetta Fontana degli Imperatori - una sala da pranzo all’aperto -, rientrava puntualmente entro il ciclo della narrazione geografica, poiché alludeva al territorio tiburtino tramite la presenza delle statue dei quattro imperatori - Cesare, Augusto, Traiano ed Adriano - che avevano edificato le loro ville nella regione186.

La trascrizione dell’immagine del territorio tiburtino nella sequenza degli elementi dell’arredo plastico si disloca tuttavia in un itinerario semantico non univoco, bensì polisignificante.

Note de bas de page 187 :

Cfr. Ovidio, Fasti, VI, 473-563, edizione consultata cit. p. 436-443 ; Ovidio narra la vicenda mitica di Ino anche in Metamorfosi, IV, 416-564, edizione consultata cit., p. 152-161. Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 85-88 e passim. Il rilievo della vicenda mitica della Sibilla Tiburtina nell'economia del sistema simbolico del giardino è stato sottolineato con particolare efficacia nei seguenti contributi critici alle cui analisi di dettaglio si rimanda : Maria Luisa Madonna, « Il Genius Loci di Villa d’Este », op. cit. : Id., « Pirro Ligorio e Villa d’Este », op. cit. ; David Dernie, The Villa d’Este at Tivoli, op. cit. ; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « I miti del giardino di Ippolito », op. cit. ; Marcello Fagiolo & Maria Luisa Madonna, « Pirro Ligorio e i teatri delle acque », op. cit.

Evocata come personificazione del fiume Aniene, la Sibilla Tiburtina narra nel giardino anche la sua propria storia. La complessa vicenda mitica del genius loci di Tivoli187 si sovrappone all’evocazione simbolica del territorio, snodandosi nella medesima sequenza spaziale.

Note de bas de page 188 :

Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., p. 63-64.

Le fasi salienti del mito della Sibilla Albunea sono evocate anche nelle decorazioni pittoriche della Villa, nella cosiddetta Seconda Sala Tiburtina188 dove, tra altre scene, sono effigiate la follia omicida di Atamante ; il terrore di Ino e di Melicerte ; l’intercessione di Venere presso Nettuno e la trasformazione di Ino e del figlio in divinità marine ; Leucòtea e Palemone ; Ino-Mater Matuta-Sibilla Albunea, accompagnata dal figlio alla foce del Tevere, rappresentato da una divinità fluviale ; infine i sacrifici offerti a Ino, venerata come Mater Matuta, dea della nutrizione, e al figlio da parte delle genti di Tivoli.

Nel giardino la presenza della Sibilla Albunea innesca una sequenza narrativa nell’ambito della quale vengono risemantizzati alcuni elementi dell’arredo che abbiamo già letto con diverso significato in altri contesti.

La presenza della Grotta di Venere, nell’area chiusa antistante la Fontana di Tivoli, si giustifica, in relazione al mito della Sibilla Albunea, con il ruolo avuto da Venere nella vicenda di Ino. Venere, dea del « piacere uoluttuoso » nell’itinerario spaziale e semantico di Ercole al bivio, inscritta entro questa diversa trama narrativa acquista un diverso significato, benefico e salvifico, quale artefice della divinizzazione di Ino come Leucòtea alla quale del pari è assimilata, in quanto dea della fecondità, in virtù del legame di entrambe con l’acqua, elemento germinale.

Le due statue di Bacco, poste in due nicchie ai lati dell’apertura del recinto della Fontana di Tivoli verso il Viale delle Cento Fontane, motivano la loro presenza con i molteplici legami, sia a livello narrativo sia a livello tematico, che intessono con la vicenda della Sibilla Tiburtina. Dopo la morte della madre Semele, Bacco fu allevato dalle Ninfe - che compaiono anch’esse nelle nicchie della Fontana di Tivoli - e da Ino, sorella della madre ; inoltre Bacco ha avuto anch’egli ruolo di intercessore per la salvazione di Ino in balìa dei flutti marini.

La presenza di una coppia di effigi del dio allude inoltre alla sua duplice nascita, e richiama il grande tema della morte-resurrezione che è svolto nel giardino da un coro di narrazioni convergenti. Come Dioniso, anche Ino-Leucòtea è « nata due volte », morta e risorta ad una vita più alta, così come Ippolito-Virbio e, in un certo senso, anche Ercole assurto alla gloria dell’Olimpo.

Note de bas de page 189 :

Al tema della trasformazione allude la sequenza di formelle a rilievo in stucco effigianti temi tratti dalle Metamorfosi ovidiane che adornano la fronte del registro superiore della fontana, in corrispondenza del canale mediano. L’ideale percorso tra Tivoli e Roma alluderebbe del pari alla leggendaria processione che avrebbe condotto una statua della Sibilla, ritrovata a Tivoli in una grotta dall’Aniene, sino al Tempio di Giove sul Campidoglio a Roma, ove si conservavano i Libri Sibillini. Tale episodio è evocato del pari in un affresco sulla parete nord-orientale della Seconda Sala Tiburtina. Cfr. David R. Coffin, The Villa d'Este, op. cit., pp. 63-64.

Note de bas de page 190 :

Descrittione, op. cit., in David R. Coffin, The Villa d’Este, op. cit., p. 143. La Fontana del Diluvio avrebbe dovuto costituire il punto di partenza di un percorso ad L a mezza quota, scandito dalla Fontana dell'Ovato e dal Viale delle Cento Fontane e concluso dalla Fontana di Roma, consacrato a celebrare la figura della Sibilla Tiburtina e ad evocarne il viaggio tra Tivoli e Roma. Alla figura della Sibilla la Fontana del Diluvio risulta infatti connessa a più livelli : l’originaria configurazione convessa della sezione basamentale del complesso richiamava infatti l’impianto circolare del Tempio della Sibilla a Tivoli; venerata anche come Mater Matuta la Sibilla Tiburtina era assurta al rango divinità preposta ai processi generativi, prerogativa condivisa con la Diana Efesia, la cui effige avrebbe dovuto costituire il fulcro della Fontana del Diluvio - ricordata infatti da Lafrerj come Fontana della Dea della Natura - ; la sonorità musicale della fonte Albunea era infine evocata dal concerto che scaturisce dall’organo idraulico. In ossequio alla ricorrente pratica della superfetazione simbolica non manca il riferimento alla geografia del territorio e alla sua topografia sacra, per tramite della riproduzione mimetica del salto dell'Aniene mediante la imponente massa d’acqua emessa dalla fontana. Cfr. David Dernie, The Villa d'Este at Tivoli, op. cit., p. 48-69.

Il Viale delle Cento Fontane oltre a rappresentare il percorso delle acque tiburtine verso Roma, allude dunque anche, nel contesto della narrazione mitica, alla peregrinazione di Leucòtea attraverso al mare fino all’approdo sulle sponde del Tevere, presso la Fontana di Roma, o, viceversa, al viaggio da Roma verso Tivoli, dove avverrà la sua estrema trasformazione189 e si potrà celebrare la sua apoteosi come Sibilla Tiburtina, che domina alta al centro del monte artificiale della Fontana di Tivoli, e che doveva venire esaltata anche nelle nove grotte dedicate alle Sibille sotto la Fontana del Diluvio (che non furono mai portate a compimento), fatte « per honorar massimamente la Sibilla Tiburtina »190.

Note de bas de page 191 :

L’esaltazione della virginitas, che accomuna la Sibilla Albunea e Ippolito, presenta anche un sovratono astrologico, alludendo al segno zodiacale del Cardinale, che sotto il segno della Vergine era nato, il 25 di agosto 1509.

Protagonista anch’essa di una vicenda di morte e di resurrezione, genius loci di Tivoli e suggello mitologico all’appropriazione simbolica del territorio da parte del Cardinale, la Sibilla Albunea si affianca pertanto ad Ercole e ad Ippolito quale terza protagonista del sistema allegorico della Villa, entro il quale, allo stesso modo di Ercole e di Ippolito, agisce anch’essa come figura del committente, del quale rappresenta gli attributi morali, in qualità di sacerdotessa dotata di virtù profetica, e perciò votata ad un impegno di castità e purezza, e tradizionale legislatrice di Tivoli, e perciò portatrice di un’ideale di giustizia191.

Note de bas de page 192 :

Cfr. Ovidio, Fasti, VI, 503-523, edizione consultata cit. p. 438-441.

Nell’incalzante proliferare e intersecarsi di temi, narrazioni, e registri semantici che si attua nel giardino, la complessa evocazione delle vicende di Ino-Leucotea-Sibilla Albunea deve essere peraltro collocata e compresa anche in relazione al legame dal quale, sul piano degli sviluppi narrativi del mito, essa è collegata ad Ercole, figura chiave del sistema simbolico ordito a celebrazione del Cardinale, dacché era stato proprio l’eroe tebano a salvare Leucòtea, al suo approdo in terra laziale, dall’assalto delle Baccanti192.

Le istanze encomiastiche intrinseche al programma iconografico del complesso tiburtino si risolvono così in un raffinatissimo, esoterico gioco erudito, che sollecita i visitatori a seguire e a connettere le molteplici fila che nel testo simbolico ordito nel giardino si intessono a più livelli, in una stratificata, inestricabile trama di rimandi, incontri, convergenze, intrecci, sovrapposizioni.

L’esercizio intellettuale di decrittazione richiesto al visitatore risulta peraltro inscindibile dall’esperienza fisica dello spazio del giardino, che è idealmente ridisegnato dall’intrico di sequenze lineari di immagini che si snodano lungo i suoi viali e dai percorsi di lettura che essi predispongono, governando la sintassi complessiva del testo.

Il giardino è luogo di scrittura, natura inscritta, ordinata da una « topografia » del leggere-decrittare che si affianca, si sovrappone, si interseca alle « topografie » del vedere, dell’udire, del toccare, e che richiede impegno meticoloso, e all’apparenza aperto ad infinitum, ad un inesausto errare alla ricerca del senso.

Nel vertiginoso susseguirsi di incontri e nella diaspora dei percorsi possibili che scandiscono l’esperienza del giardino come testo simbolico è così l’inquieto disorientamento del labirinto a calare sul nitore geometrico della struttura spaziale che, cristallina, si offriva al dominio intellettuale della sintesi prospettica come utopia della redenzione edenica della natura ad opera della forma.