La dicotomia saussuriana langue/parole e Sechehaye/Hjelmslev. Sulle tracce del concetto glossematico di schema Saussure’s dichotomy langue/parole and Schehaye/Hjelmslev. On the traces of the glossematic concept of schema
Vittorio Ricci
Università degli Studi di Roma Tor Vergata
La linguistica di Saussure è stata motivo di diversi dibattiti, a vari livelli e tempi. Uno di essi riguarda la distinzione sincronia/diacronia, che Sechehaye e Hjelmslev hanno fatto oggetto dei propri interventi esegetici. Come è noto, essa dipende dalla precedente e basilare distinzione di langue e parole con diverse conseguenze di tali nozioni circa i rapporti tra i due linguisti e quindi le loro differenze linguistiche, anche profonde. Sechehaye nel suo Les trois linguistiques saussuriennes (1940) con la pretesa di risolvere la suddetta dicotomia introduce un nuovo elemento diacronico chiamato parole organisée teoricamente conoscibile come “schema de parole”. Hjelmslev nella sua Langue et parole, al contrario, pur rispondendo in qualche modo a questa inedita suggestione, cerca di abbandonare l’approccio diacronico, sebbene implicitamente il concetto di schema di Sechehaye venga ricusato mentre questo lemma parola viene ri-coniato e ri-concepito nel senso glossematico di langue-forme, la questione specifica su cui si concentra la presente analisi.
Saussure’s linguistics has been the motive of different debates, at various levels and times. One of them concerns the distinction synchrony/diachrony, which Sechehaye and Hjelmslev have made object of their own exegetical interventions. As known, it depends on the previous and most basic distinction of langue and parole with different consequences of such notions concerning relations between the two linguists and therefore their linguistic, also deep, differences. Sechehaye in his Les trois linguistiques saussuriennes (1940) with the purport of resolving the afore-said dichotomy introduces a new diachronic element named parole organisée theoretically knowable as a “schéma de parole”. Hjelmslev in his Langue et parole, on the contrary, even in answering somehow to this unedited suggestion, tries abandoning the diachronic approach, though implicitly Sechehaye’s concept of the scheme is recused while this word is re-coined and re-conceived in the glossematic sense of langue-form, the specifical issue on which the present analysis is focused.
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Keywords : Diachrony, Scheme, Synchrony
Parole chiave : diacronia, schema, sincronia
Auteurs cités : Ferdinand DE SAUSSURE, Louis HJELMSLEV, Albert SECHEHAYE
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Pare indispensabile premettere che come dovrebbe indicare il titolo, la presente analisi non ha altro intento che quello di rintracciare la genesi (...)
Introduzione1
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Sul conio dei lemmi glossema e glossematica cf. Hjelmslev 1937 (b): 183; comunque Hjelmslev rivela la co-paternità con Uldall (Hjelmslev 1939 (a) (...)
- Note de bas de page 3 :
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Sulla formazione, cronologia e pubblicazione di questo lavoro cf. Hjelmslev 1941: 101 n. 1 – cf. anche Badir 2001: 74. Questo lavoro, comunque (...)
- Note de bas de page 4 :
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In mancanza di lessicografie o concordanze sulla produzione hjelmsleviana si possono consultare solo indici di termini per alcuni lavori: v (...)
- Note de bas de page 5 :
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Cf. Hjelmslev 1928: 153, in cui si impiega “schéma” come sinonimo di diagramma; a p. 303 il lemma rievoca l’operazione teorica della (...)
- Note de bas de page 6 :
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Qualche rigo prima si legge in modo del tutto perentorio: “C’est la norme qui constitue seule le véritable objet de la linguistique” (Hjelmslev (...)
Il termine ‘schema’ in senso pienamente glossematico2, come sinonimo di langue saussuriana, non è reperibile prima del 1940 negli scritti hjelsmleviani all’incirca quindi prima della Causerie on Linguistique Theory3, ma è riscontrabile quasi esclusivamente con accezione comune, almeno fino al biennio 1933/344. Tra le eventuali occorrenze precedenti5 un certo rilievo per la presenta analisi assume l’unica de La Catégorie des cas (1933) si usa in un contesto critico contro la “frase” a base dell’esame linguistico invece della quale si propone il sintagma come “un schéma de rections soumis aux règles de la norme, lié au système d’une langue donnée” (Hjelmslev 1935: 52)6.
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Hjelmslev 1972 (b): 11: “Sprogets grundvold er et fast skema, som man maa rette sig efter og indordne sig under, hvis man vil blive forstaaet i (...)
- Note de bas de page 8 :
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Si tratta della prima occorrenza del lemma di sessantacinque complessive nello scritto nelle quali la sua accezione rimane alquanto generica e (...)
- Note de bas de page 9 :
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Un indizio a conforto della tesi qui avanzata soprattutto per la cronologia si può desumere all’interno di un manoscritto in danese non pubblicato (...)
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Hjelmslev ha in qualche modo privilegiato il confronto con il pensiero di Sechehaye sin da subito (Hjelmslev 1928: 40-41; 55-56; 1935: 66).
Dopo una certa rimarchevole tecnicizzazione di “skema” quale “fondamento della lingua” stessa [Sprogets grundvold] in qualche modo prodromica al concetto glossematico nonostante il modello prettamente ‘grammaticale’7, in Sprogsystem og Sprogforandring,8, Hjelmslev sembra accantonare il termine schema almeno dal 1936 al 1940. Con ogni probabilità Les trois linguistiques saussuriennes di Sechehay9 lo spinge e interessarsi ad esso nuovamente ma con una prospettiva alquanto mutata. Il suddetto lemma in questo scritto viene caricato di una nuance tecnica, che non solo risultava inedita ma rappresentava agli occhi di Hjelmslev lo stimolo ‘giusto’, anche se estremamente critico, a rivisitare alcuni punti controversi della teoria saussuriana e quindi a ripensare alcune linee essenziali della sua ipotesi linguistica, forse non del tutto spiegabile senza il rapporto con Sechehaye10.
1. La soluzione sechehayeana delle (presunte) tre linguistiche saussuriane
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Hjelmslev in riferimento alla vexata quaestio sulla ricostruzione della litera del Cours, almeno all’epoca della composizione di Langue et parole, ha accolto come espressione autentica del pensiero di Saussure la cosiddetta “vulgata” dei suoi editori, Charles Bally e lo stesso Sechehaye (Hjelmslev 1942: 43 n. 8). In genere, non è accettabile la tesi che declassa l’opera redazionale (...)
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Al di là della problematica se non sia Sechehaye il vero fondatore della teoria poi elaborata da Saussure su ispirazione delle opere giovanili del (...)
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Sulla recezione della teoria saussuriana e i rapporti di Saussure con la cosiddetta “Scuola di Ginevra” in ambito linguistico cf. Tagai (2009) e (...)
L’appena accennata duplice prospettiva valutativa della semiotica saussuriana da parte di Sechehaye che raccoglie l’istanza saliente di evincere il numero e la tipologia delle linguistiche del Cours11 maturata nel milieu della cosiddetta ‘scolastica’ saussuriana formatosi intorno a esso, si può rintracciare già dal titolo del saggio in questione: “Les trois linguistiques saussuriennes”. Nella prima delle due sezioni dell’Introduction (Sechehaye 1940: 1-5) si premette l’intento di sostituire con una tripartizione la poco pertinente bipartizione “entre la langue et la parole” che rappresenta una delle componenti indiscutibili della teoria saussuriana (Ib.: 1) e legata alla evidente “forme” di “ébauche” del Cours (Ib.: 2)12 anche a motivo del fatto che tale libro “ait récolté […] toutes sortes de contradictions” (Ib.: 3) - giudizio citato testualmente da Hjelmslev in Langue et parole (1942: 31)13. Sechehaye esplicita così di seguito due sue finalità teoriche, quella della fondazione della scienza linguistica a partire dall’apporto geniale del maestro, e quella di una costruzione più definitiva “dont le Cours n’a pu fournir qu’une première et imperfaite ébouche”, giudizio ribadito che si dichiara avanzato anche dalle citate obiezioni di Antoine Meillet, soprattutto riguardo all’eccessiva astrattezza per la sua attenzione esclusiva all’aspetto “systématique” tanto da trascurare “la réalité humaine” (Sechehaye 1940: 4).
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Si delineano alcuni fatti sul dibattito avvenuto con Wartburg, che annullava la distinzione, e con Bally che invece la conservava citando il suo (...)
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Sulle due linguistiche saussuriane cf. una valutazione poco oggettiva per una sopravvalutazione della linguistique de la langue a scapito di quella (...)
Con la seconda e ultima sezione dell’Introduction (Ib.: 5-6), si offre un quadro generale sulle contraddizioni ravvisate nella dicotomia tra piano storico-evolutivo e piano statico-sistematico del Cours, con cui Sechehaye riprende la discussione sulla tesi saussuriana della distinzione tra sincronia e diacronia14, se “les faits d’ordre diachronique seraient entièrement différents des faits d’ordre synchronique”, per cui è “impossibile véritable rapport intrinsèque” tra un accadimento diacronico dentro “l’histoire de la langue” e i suoi influssi sincronici concernenti “les états de langue”. In risposta a questa discussione giudicata sterile si imponeva per Sechehaye l’alternativa di riprendere il problema su nuove basi e soprattutto di riconsiderare la tesi saussuriana “prise non à la lettre, mais interprétée à la lumière des idées qui régnaient à l’époque où elle a été formulée”, dal momento che palesemente gli avvenimenti diacronici con i suoi effetti di “perturbations dans ce système [grammatical]” renderebbero inevitabili “des réajustements”. Questa situazione poco bilanciata della teoria saussuriana rendeva ineluttabile l’attitudine di doversi prendere “de beaucoup de liberté à l’égard du texte du maître” benché giustificata da un revisionismo del suo pensiero troppo influenzato “par certaines préoccupations qui dominaient la linguistique de l’époque” (Sechehaye 1940: 5-6) – tuttavia Saussure non sembra un autore poco autonomo nelle scelte teoriche. Per risolvere le aporie sollevate Sechehaye concepisce la necessità di una terza entità intermedia tra quella sincronica (la langue) e quella diacronica (la parole), come quella descritta nel terzo dei cinque capitoli complessivi intitolato “La linguistique de la parole organisée ou du fonctionnement de la langue” (p. 17-25)15 e associato proprio al concetto di ‘schema’ che, a suo dire, non sarebbe altro che una esplicitazione di quanto sarebbe rimasto involuto in Saussure. Con tale operazione non propriamente ermeneutica ma, per così dire, creativa Sechehaye ritiene che la cosiddetta parole organisée sia in grado di spiegare appunto la linguistica statica ed evolutiva in modo di annullare il motivo precipuo della disputa sul tema (Sechehaye 1940: 5).
2. Alla ricerca della parole organisée oltre il binomio saussuriano.
Innanzitutto Sechehaye estrapola il riferimento saussuriano alla suddetta dicotomia dal contesto naturale in cui è sorta e quindi è stata posta, ossia quello del langage - Hjelmslev in tale operazione lo segue acriticamente. La langue si oppone alla parole e quindi ambedue si possono concretamente distinguere in forma reciproca non perché esse dialetticamente sono in reciproca antitesi o non propriamente per tale ragione, ma perché si rapportano innanzitutto direttamente e in qualche modo autonomamente rispetto al langage di cui sono le due parti costitutive. Sechehaye cita con troncature testuali segnalate nella seguente citazione mediante i puntini di sospensione rispetto ad alcuni segmenti delle proposizioni originali soprattutto delle corrispettive espressioni conclusive entrambe le definizioni di langue (1940: 8) dal cap. IV dell’Introduction del Cours circa la “interdépendance” tra langue e parole (Saussure 1916: 37; 1995: 29, come si riporta in nota secondo la seconda e terza edizione). La citazione è composta di due estrapolazioni del medesimo quinto capoverso; la prima recita: “la langue est nécessaire par que la parole [soit intelligible et] produise tous ses effets; mais celle-ci est nécessaire par que la langue s’établisse” (nella parentesi quadra è quanto non viene testualmente riportato). Nonostante la complementarietà necessaria delle due entità, l’elemento dell’intelligibilità conferita dalla langue alla parole in modo che la seconda assuma quelle caratteristiche psico-sociologiche imprescindibili per la relativa collettività in vista in qualche modo anche della sua comunicazione, è premesso da Saussure rispetto a tutto il resto e quindi qualificato come prioritario e decisivo. Invece nella recezione di Sechehaye non se ne trova traccia. L’intelligibilità saussurianamente prevista serve a che la parole ‘parli’ e quindi non sia un fenomeno puramente ‘fisico’ ovvero collettivamente ‘incomprensibile’. Pertanto occorre che la parole sia adottata (non assorbita) dalla langue, anzi assuma in questa la funzione formalmente come signe relazionato secondo le debite declinazioni semiotiche proprie, ossia non sia percepita per la sua natura diacronica e in qualche modo individualmente. Mi si conceda il seguente esempio: la presenza di un qualsiasi vocabolo in un dizionario non è dovuta ai suoi aspetti fonici (anche se si può cercare il vocabolo prescelto per accertarsi della pronuncia o studiarne la fonologia) e nemmeno è dovuto ai suoi aspetti concettuali (anche se si può ricercare per il significato o studiarne la semantica), ma è dovuta alla sua co-appartenenza di elemento ‘segnico’ a una lingua, quale codice ‘formalizzato’. Questa formalizzazione è riportata nel dizionario ma non stabilita come un codice inalterabile, poiché è soggetto ad obsolescenze o cadute di vocaboli o a produzione di neologismi e quant’altro (più o meno di successo e duraturi), anche nel caso speciale di un dizionario delle cosiddette lingue ‘morte’, che pur sigillando come un’istantanea l’ultima fase sincronica di quando erano ancora vive, può registrare qualche traccia di queste variazioni interne diacroniche. Tali fenomeni linguistici non dipendono dalla langue poiché sono esterni a questa e quindi non appartengono a essa; tuttavia anche la langue non è del tutto praticamente ‘inerte’, ‘immutabile’ ma interagendo con la parole ne assume la modulazione praticamente dinamica e determinativa. Per tanto per spiegare tale meccanismo innegabile della mutabilità della lingua, ma anche perché la lingua sia esercitata dai parlanti, essa necessita di componenti fonici e semantici, altrettanti necessari perché la lingua si generi, anzi si stabilisca. Tuttavia con questo piano ‘extralinguistico’ esclusivamente sul quale ha operato in genere la tradizione pre-saussuriana o si opera in modo da confondere i piani, non si può fare comprendere l’essenza linguistica (o scientifica), cioè non si può comprendere perché un suono valga (funzioni semioticamente) al posto di un altro nel confezionare un’unità comunicativa (intelligibile).
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“L’activité du sujet parlant [sc. la parole] doit être étudiée dans un ensemble de disciplines qui n’ont de place dans la linguistique que par leur (...)
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Saussure lo esemplifica con l’incomprensibilità di una lingua ignota nonostante la percezione fonica che le appartiene (Saussure 1916: 30; 1995 (...)
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La difficoltà di Sechehaye, condivisa a pieno con Hjelmslev, riguardo alla distinzione tra langue et parole, è proprio quella di vedere (...)
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Sulla valenza centrale della storicità risulta interessante l’analisi di Fiorin che però pone una distinzione alquanto artata tra storia e natura (...)
Tale dinamizzazione d’intelligibilità che la langue trasmette alla parole secondo Saussure non è più contemplata da Sechehaye perché la parole verrebbe dotata di funzioni e qualità improprie in modo da rischiare di offuscare la purezza semiotica della langue. La parole saussurianamente intesa non è un elemento puramente linguistico e quindi non può essere per sua natura un oggetto della scienza linguistica16. L’interesse scientifico sulla parole sorge solo indirettamente per il suo rapporto diretto con la langue. L’intelligibilità della parole è la prova della sua necessaria dipendenza dalla langue. La parole quindi non può possedere in proprio o indipendentemente dalla langue nessuna funzione linguistica, stante a sé stessa la parole non acquisterebbe nessuna connotazione semiotica. In tal modo la parole non riferirebbe il fatto della langue e non si riferirebbe a tale fatto a cui essa stessa, parole, ha dato vita, e quindi a qualcosa di linguisticamente rilevante o determinato17. Secondo Saussure in base a questo testo, il primo effetto della parole è proprio quello di essere un atto rappresentativo di un ché di semioticamente comprensibile, di essere ‘riproduzione’ materiale ed effettiva di un segno semiotico, cioè avere in sé componenti eterogenei rispetto al mero universo linguistico, ma non più estranei al dominio semiotico come un qualsiasi altro suono o idea che appunto la parole non riproduce se non è rappresentativa di uno dei segni appartenente a uno stesso codice. Pertanto la finalità primaria e preminente della parole non concerne i suoi effetti, cioè quelli di costituire sostanzialmente una linguistica metasemiotica peculiare e assolutamente discontinua con la linguistica semiotica vera e propria18, ma, come già accennato, di essere capace di dare vita a un atto in qualche modo distinguibile tra tanti atti omogenei e quindi non omologabile con la langue ma nemmeno con un mero elemento amorfo in genere della stessa specie. Il testo del Cours propria nella proposizione immediatamente successiva asserisce: “historiquement, le fait de parole précède toujours”19; la parole produce la storicità e la mutabilità linguistiche ma non della langue che, una volta storicamente stabilita dalla parole, è in sé stessa metastorica o trascende comunque complessivamente il dominio dell’instabilità ‘creativa’ della mutevolezza storica extralinguistica - finché un sistema semiotico sussiste attraverso la rete dei suoi componenti segnici esso non può ricevere alterazioni ‘sistematiche’ ma solamente nei limiti di quello che lo contamina indirettamente e nel dominio storico-evolutivo stesso della parole.
Si illumina così in qualche modo la seconda estrapolazione di Sechehaye che recita: “Celle-là (c’est à dire la langue) est à la fois l’instrument et le produit de celle-ci (c’est a dire la parole)” (n. b. le chiarificazioni parentetiche non sono dell’originale). La definizione sembra un po’ approssimativa, ma non si dovrebbe interpretare in senso ‘cosale’, cioè come se da una parte concretamente sussistesse la prima e dall’altra parte la seconda senza una continua e dinamica influenza della parole sulla langue - gli elementi individuali, suoni e idee, non sono completamente consumati o esauriti nella loro formazione sociale o segnica, ma persistono in una propria vita (più o meno larvale o latente e parallela) irriducibile a questa (Saussure 1916: 128-29. 218; 1995: 110-111. 192). La parole rimane a rappresentare necessariamente nella zona individuale con intrinseci caratteri materiali ciò che nella zona sociale necessariamente corrisponde alla langue senza caratteri materiali, e questo suo plesso solo psichico rimane necessariamente strumentale alla stessa parole, cioè può essere individualmente e quindi materialmente ripetuto nell’utilizzo o nell’esecuzione e addirittura soggetto a mutazioni, anzi inevitabilmente è potenzialmente alterabile. La langue serve a rendere intellegibile nel senso di realizzabile linguisticamente, cioè socialmente, la parole il cui esercizio per il sufficiente numero di volte ripetuto produce il dominio della rispettiva langue da usare come unico patrimonio collettivo, che i membri della massa in suo possesso impiegano di nuovo, ogni qualvolta lo vogliano o lo debbano, nella loro eventuale esecuzione individuale (inevitabilmente parziale e potenzialmente in parte erronea, ma si dovrebbe aggiungere che, oltre ai rapporti sintagmatici o in presenza dei segni stessi attualizzati dalla parole di riferimento, virtualmente è in atto anche tutto il resto del sistema linguistico per i corrispondenti rapporti paradigmatici in assenza). La storica o per certi versi ‘pancronica’ coesistenza della langue e della parole non impedisce che le due entità concernenti l’intero universo linguistico umano non debbano essere radicalmente distinte, come Saussure asserisce a chiusa del capoverso in questione: “Mais tout cela ne les empêche pas d’être deux choses absolument distinctes”, anzi proprio perché esse sono distinte si parla, il fenomeno linguistico funziona proprio perché la parole attualizza, rende fruibili semioticamente i segni della langue, nella modalità sintagmatica. La funzione linguistica è possibile per il fatto che la parole rende sempre presente virtualmente nella modalità paradigmatica tutti gli altri segni (addirittura immediatamente disponibili per esercitazioni epesegetiche o esplicative di quanto si è appena detto) – in qualche modo la parole quanto attualizza comunicativamente, attualizza in modo differenziato e debito tutta la langue e in estrema sintesi quando si parla, ‘parla’ in realtà la parole ma solo perché questa ‘fa parlare’ indirettamente (rende disponibile e potenzialmente presente nell’attualizzazione individuale) tutta la langue, necessariamente con commisurazioni differenti a seconda di quanto è presente nel sintagma usato e attualizzato dalla o con la parole specifica.
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Sechehaye dimostra di non rispettare alcuni limiti concettuali saussuriani, poiché giudica radicalmente antitetico e quindi incoerente quanto (...)
In Sechehaye e quindi di riflesso, per così dire, in Hjelmslev che ne condivide le istanze critiche rispetto alla litera del Cours, la parole è radicalmente depotenziata, ridotta a un mero atto individuale quasi inutile, ‘snaturata’ rispetto a come la concepisce Saussure. La distanza di Sechehaye da Saussure si rende tangibile, per così dire, nella scelta di espungere volutamente dalla citazione della suddetta seconda estrapolazione la nitida definizione menzionata che conclude il capoverso in esame (anche perché non poteva non leggere nella stessa pagina “Mais tout” con cui essa termina, per cui non pare una svista), e nell’offrire la sua ermeneusi per essa sola, accusa il maestro di “erreur” a cui egli si sarebbe lasciato indurre, “par deux tendances familières à son esprit” sintetizzabili in una visione che rende centrale la langue e subordinata la parole (il che non è proprio obiettivo), e in un gusto personale per le formule paradossali (il che è poco significativo in un analisi interpretativa in genere). Al di là delle questioni prettamente ermeneutiche del testo saussuriano che una simile osservazione può sollevare20, la minimizzazione sechehayeiana del rapporto tra i due domini come “une simple idée de réciprocité”, con cui si esordisce nel commento, è oggettivamente inaccettabile anche perché la dottrina saussuriana è tutto meno che semplice. Per sopperire alla supposta lacuna teorica della dicotomia langue-parole, come già accennato, Sechehaye individua una terza entità linguistica che chiama parole organisée e su cui fonda una linguistica specifica e peculiare, precedentemente del tutto inedita, ritagliando il suo oggetto peculiare nel “fonctionnement de la langue au service de la vie” che si stima addirittura coincidente essenzialmente con la linguistica della parole saussuriana tout court, ad eccezione di qualche “modeste correction de terminologie” (Sechehaye 1941: 11), da cui viene distinto tutto ciò che farebbe parte della diacronia relegata all’ambito dell’astratto.
Si continua a questionare sul rapporto tra le due entità in modo da assegnare alla parole qualità e competenze in termini rovesciati rispetto a quelli saussuriani: “Si la langue est née de la parole, à aucun moment la parole ne naît de la langue; il n’y a de réciprocité” (Sechehaye, 1941, p. 9). Senza spiegare perché manchi la reciprocità e ovviamente la parole debba a questo punto distinguersi dalla langue come in qualche modo Hjelmslev alluderà, la parole stessa già è in qualche modo tutta langue con la specificazione di sostituire la sintagmatica e la paradigmatica quale immanente meccanismo della langue medesima, benché la parole se ne distingua totalmente, conservi la propria fenomenologia irriducibile all’interno dell’universo del langage. Infatti, come già accennato, la parole perché saussurianamente generi la langue necessita di una innumerevole e indefinibile ripetizione di esperienze nel cervello di un parlante all’interno della propria comunità di parlanti la stessa lingua; inoltre necessariamente suppone la langue che la dovrebbe organizzare e regolarizzare – in effetti, dal punto di vista saussuriano, la parole nel costituire la langue contiene in sé stessa tutta la langue oltre a contenere i materiali per cui la langue per ciò per cui è nata o costituita (la generatività della parole non è riprodurre un’entità simile a sé, un altro esemplare della propria specie, come potrebbe essere in una specie animale o di un rapporto immediato da una lingua-madre a una lingua-figlia), e ancora questo dinamismo generativo della parole è continuo e parallelo alla permanenza del generato come anche tale dinamismo deve includere nel rapporto la cronicità o storicità come vero fondamento dei fatti linguistici in genere. La conseguenza di una simile rivisitazione sechehayeiana produce la concezione che “La parole s’organise seulement plus ou moins selon les règles de la langue qu’elle a elle-même créées afin de devenir plus claire et plus efficace” (ibidem). In qualche modo Sechehaye sistematizza la sintagmatica che Saussure ha previsto per la langue e ne delinea il funzionamento, ma con la differenza irriducibile di introdurre un elemento di auto-organizzazione con una teleologia spuria e trascendente che rende per lo più intenzionale e quindi del tutto irriconoscibile la langue che strumentalizza la parole fortuitamente e arbitrariamente anche se la combina al suo sistema o codice. La langue non può essere solo l’inerte risultato di ciò che la crea, ovvero la parole, e nel crearla addirittura la organizza organizzandosi con le medesime regole che conferisce al suo risultato (la langue). In tal modo la langue non ha nessuna funzione se non quella molto improduttiva e superflua di continuare a essere regola e regola addirittura sempre derivata da ciò che essa dovrebbe regolare, quindi a ridursi a una qualità della parole, cioè appunto a una sorta di coesistenza statica e sincronica della langue stessa. In sintesi, all’allievo (e in qualche modo anche a Hjelmslev) manca di riferirsi debitamente a tutta la portata teorica della tesi fondamentale del maestro presente in quel contesto citato che “Le tout global du langage est inconnaissable”, ma “la distinction et la subordination proposée éclairent tout” (Saussure 1916: 38; 1995: 30), distinzione e subordinazione metodologico-epistemologiche per ritagliare l’oggetto della linguistica vera e propria il cui oggetto è la langue a fronte della linguistica non propriamente detta, intrinsecamente diacronica e non sistematica, il cui oggetto è la parole di natura necessariamente eteroclita.
A conclusione di questa analisi sulla distinzione sechehayeiana tra langue e parole organisée vi si associa la nozione di “un schéma de parole” (Sechehaye 1941: 32), una sorta di termine di mediazione del processo evolutivo bipolarizzato tra “le point de départ et l’autre le point d’arrivée” (ovvero risp. parole e langue). Quindi per ‘schema’ non si intende un contenuto linguistico sincronico ma quello diacronico per il fatto che esso distinguerebbe quanto è proprio della parole organizzata o produttrice di uno stato sincronico, dalla parole diacronicamente considerata cioè come “acte de parole fictif entre des interlocuteurs imaginaires.” (Ibidem). La “forme schématique” pertiene alla scienza diacronica, che in qualche modo ricostruisce in una sorta di modulo astratto una parola che non si è mai data veramente così ma che alla fine del suo processo evolutivo ha prodotto “un nouvel usage” della lingua comune. Si tratta quindi di “une vue synthétique et simplifié” di un fenomeno dinamico e potenzialmente fluttuante dalle molteplici e occasionali cause, una volta “parfaitement complet et bien établi” (Ibidem).
- Note de bas de page 21 :
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Come già accennato sopra, il lemma schema in Hjelmslev risulta associato al concetto di forma linguistica sin da subito nella fase glossematica (...)
- Note de bas de page 22 :
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A chiusura del saggio hjelmsleviano nel secondo volume dei Cahiers Ferdinand de Saussure 1942, lo stesso autore scrive “mars 1943” (Hjelmslev 1942 (...)
- Note de bas de page 23 :
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La parole nella sua subordinazione non perde e non può perdere affatto una propria autonomia, anzi la sua precedenza sulla langue sul piano storico (...)
Tali proposte non potevano non sollecitare Hjelmslev anche per verificare ulteriormente la sua l’ipotesi glossematica appena tracciata con una certa definitività (1941)21. Sin dalla introduzione di Langue et parole (1942)22, dopo avere manifestato la condivisione del giudizio di provvisoria incompiutezza della teoria saussuriana citando proprio nella sua prima nota il passo sechehayeiano sopra esaminato (Hjelmslev 1942: 3), Hjelmslev fornisce una chiarificazione terminologica secondo le ben note nozioni glossematiche di interdipendenza, determinazione, di commutazione e sostituzione, ridefinendo così più compiutamente il senso prettamente linguistico di schema. D’altro canto, ciò implicava dietro la critica di Sechehaye una definizione ‘strutturale’ della parole o una qualche sua ‘previsione’ (calcolo? regola? organizzazione?) sistematica, che non poteva non portare a una totale o sostanziale ‘de-cronicizzazione’ del langage tout court e in ogni suo elemento ad esso correlato. Del resto, Hjelmslev inizia a esporre la sua ermeneutica sull’argomento chiarendo di trascurare l’opposizione sincronia-diacronia, per porsi “délibérément dans les cadres de la synchronie” (Ib.: 32), proprio perché una simile “opposition” tra i due piani, (lemma che nel Cours non risulta a proposito della diacronia, ma per definire esclusivamente il segno)23 non solo è insostenibile ma contiene la nozione del tutto ‘ingombrante’ di diacronia con ovvi riflessi compromettenti quella di sincronia.
- Note de bas de page 24 :
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Hjelmslev parla di “manifestations observées”, il participio va assunto chiaramente nel senso reale, cioè le manifestazioni a cui si attengono i (...)
- Note de bas de page 25 :
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Nonostante la citazione di per sé non testuale dell’interdipendenza tra la langue e la parole, per Hjelmslev in questo passo in esame del Cours la (...)
All’inizio del terzo paragrafo conseguentemente a quanto premesso e a una parziale ricezione delle esitazioni e specificazioni sechehayeane si stila una tripartizione gerarchica della langue secondo le seguenti definizioni di a) “une forme pure”, b) “une forme matérielle”, c) “un simple ensemble des habitudes”24. La parola chiave è l’avverbio “indépendamment” che delinea la purezza della prima definizione, nel senso che decide non solo una subordinazione metodologica rispetto alle altre due definizioni ma anche intrinseca, ovvero ciò che evidenzia la dimensione stessa semiologica o il manifestato (schema/norma) rispetto alla realtà metasemiologica o il manifestante (uso/atto) con un rapporto di determinazione unilaterale: il manifestante è determinato dal manifestato e non viceversa. Emerge una qualche peculiarità distintiva della norma alquanto ‘ibrida’, che non può essere assimilata all’intera nozione di langue come invece si attribuisce a Sechehaye (Hjelmslev 1942: 38) né può appartenere affatto al rango del manifestante come Hjelmslev stesso mostra di avere recepito in modo letterale precedentemente da Sechehaye del cui articolo si cita: “l’acte et l’usage précèdent logiquement et pratiquement la norme; la norme est née de l’usage et de l’acte, mais non inversement.” (Ib.: 38). Hjelmslev suddivide ulteriormente la terza definizione, quella dell’insieme delle abitudini o uso, in uso e atto per i quali e solo per i quali si declina il rapporto della reciproca supposizione o interdipendenza (Ib.: 37), e si cita a mo’ di supporto il riferimento del Cours con la nota 24, ovvero il capoverso della pagina già rievocato in cui Saussure menziona “le nostre abitudini linguistiche” nella sfera individuale della parole25. Hjelmslev suppone che l’aver distinto norma e uso abbia eliminato la contraddizione apparente tra la visione del Cours e quanto avanzato da Sechehaye; tant’è che praticamente si annulla il rapporto di interdipendenza tra sincronia e diacronia, poiché quanto la norma (o la parole organisé secondo la terminologia di Sechehaye) detta per il realizzarsi effettivo semiotico della parole o dell’atto individuale, non contiene in sé nulla dell’effettivo eseguibile della parole stessa, nel senso che la norma hjelmsleviana è per definizione incapace di dare vita a un atto linguistico poiché manca di tutti i componenti materiali indispensabili a tal scopo. La differenza di Hjelmslev da Saussure sta nel fatto che è sufficiente anzi deve essere sufficiente esclusivamente la delimitazione sincronica senza nessun elemento diacronico, mentre la differenza da Sechehaye sta nell’esclusione della parole che è associata all’organizzazione normativa della forma mirante a perfezionare epistemicamente la diacronia nel rispetto più stringente all’interno del perimetro della linguistica saussuriana.
- Note de bas de page 26 :
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Dal punto di vista della litera saussuriana certamente si glissa sulla questione essenziale che, come evidenzia De Mauro (Saussure 1995: 385-6 n (...)
- Note de bas de page 27 :
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Hjelmslev 1954: 75, in cui il ruolo della parole è duplice: uno connesso all’usage, l’altro coincidente con “ce qu’on appelle l’acte linguistique (...)
Hjelmslev tuttavia non perde di vista la dicotomia essenziale saussuriana tra forma detta anche istituzione e sostanza, mentre la tripartizione norma-uso-atto appartiene alla sostanza, detta anche esecuzione dalla quale si esclude proprio la norma poiché, a partire dal 1940 circa, la norma non è più lo schema stabile linguistico (il sistema stesso) - cf. quanto già rilevato dello Sprogsystem og Sprogforandring -, ma è addirittura ridotto a finzione non realmente eseguibile, anche se appartiene alla sfera della parole. Per tanto ciò che Saussure aveva significato con la sua dicotomia è l’unico essenziale, solo che il termine usage è proposto in sostituzione a parole poiché la sua nozione all’interno della suddivisione di langue e parole è avvertita da Hjelmslev come appunto “une première approximation, historiquement importante, mais théoriquement imparfaite”, giudizio attenuato con la condizione di incertezza espressa incidentalmente: “si nous voyons juste”26. In estrema sintesi la parziale inaccessibilità epistemica della complessa eterogeneità dagli aspetti anche fortuiti (se non addirittura quasi caotici) della sostanza/parole ammessa da Saussure, è respinta perentoriamente da Hjelmslev specialmente con La Stratification du langage27 poiché, in fin dei conti, vanificherebbe tutto l’impianto assiomatico glossematico basato su una ‘omogeneità’ assoluta anche se non monolitica della scienza linguistica.
3. Lo schema hjelmsleviano e la liquidazione della diacronia o dell’intera cronia.
- Note de bas de page 28 :
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Cf. le considerazioni epistemologiche e metodologiche hjelmsleviane che ‘assolutizzano’ il punto di vista della langue saussuriana” (Hjelmslev (...)
La distinzione saussuriana langue-parole aveva fondamentalmente chiarito la complessità della realtà semiologica e quindi della stessa semiologia rimane il punto decisivo della glossematica in genere e in modo ancora più spiccato a seguito del contributo sechehayeiano. Hjelmslev con una certa originalità teorica rigetta l’accentuazione del ruolo della diacronia28 in questo contributo e vira decisamente nella direzione di rimarcare e perfezionare l’unico principio davvero valido dell’immanenza ‘sincronica’. Inoltre esaminare la langue a partire dalla parole o presupponendo questa per Hjelmslev significa riproporre una visione del linguaggio in parte pre-saussuriana e poco rispondente alla natura ‘arbitraria’ e quindi totalmente ‘indipendente’ della langue-schema, irricevibile per lui nella proposta di Sechehaye perché in questa determinazione essa scardinerebbe addirittura la sua irrinunciabile ‘immanenza’ metodologica senza d’altronde offrire alcuna soluzione convincente.
Langue et parole documenta il tentativo hjelmsleviano di un’operazione non limitata a distinzioni, ma a vere e proprie ‘separazioni’ poiché il semiotico possa affermarsi in tutta la sua autonomia di oggetto e di realtà stessa. È proprio il concetto di ‘schema’ profondamente riformulato e anche maggiormente pertinentizzato non solo al concetto di langue ma anche alla teoria stessa a permettere di ritagliare il senso della forma linguistica e quindi di oggetto di analisi più adeguato. Sechehaye ha ‘catalizzato’ con il suo articolo indirettamente a ripensare la langue in base alla distinzione saussuriana della parole, ma anche ha insinuato che la parole meriterebbe una qualche ‘organizzazione’ o strutturazione non riducibile a una scienza regolata sulla base del mutamento cronico o della fenomenologia diacronica. Una tale posizione induceva a una modulazione ‘flessibile’ dell’eteronomia delle due dimensioni dal punto di vista teorico.
- Note de bas de page 29 :
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La relazione di “determinazione” tra il manifestante (sostanza) e il manifestato (forma) è molto eloquente (Hjelmslev 1941: 111) in tal senso tanto (...)
L’interdipendenza tra i due domini viene recepita come il punto critico nella tesi saussuriana, risolvibile secondo Hjelmslev con l’espletamento (funzionale) di tutte le determinazioni e le conseguenze della ‘sincronia’ da chiarire anche lessicalmente. Per rimuovere l’ostacolo precipuo, ovvero la distinzione sincronia-diacronia, va estromesso proprio l’elemento incongruo, il punto di vista diacronico in modo per così dire da ‘(pan)sincronizzare’ anche la parole29, cioè l’oggetto metasemiotico. La diacronicità della parole, residuo della visione ‘storicistica’ e quindi metodologicamente trascendente che persiste nella dottrina saussuriana, può riservare un aspetto anche rilevante della parte sostanziale del linguaggio ma non un punto scientifico di vista indipendente e completamente irrelata alla langue. Non si può consegnare la parole a una totale autonomia, perché in tal modo non solo non si spiegherebbero ‘concretamente’ le sue funzioni (meta)semiologiche ma rimarrebbe scientificamente un amorfo inesplorato e inesplorabile in sé stesso, intaccando così anche le fondamenta della semiologia stessa. In fin dei conti, la diacronia, oltre a penalizzare la linguistica saussuriana, ha ridotto o vanificato l’apporto di Sechehaye di effettuare “une «collaboration» avec l’auteur du Cours de linguistique générale” (Hjelmslev 1932: 31). La parole al pari della langue reclama proporzionalmente un metodo sincronico, strutturale; e a tal fine si deve rinunciare alla prospettiva che assegni alla parole l’interdipendenza reciproca teoricamente equidistante con la langue-schema e relegarsi alla sua totale subordinazione, ossia di essere “presupponente” del sistema linguistico mentre questo è solo presupposto dalla parole e non ne presuppone nulla (Hjelmslev 1932: 40; anche se qui per la precisione si parla di “usage et acte”).
Come si voleva dimostrare, alla fine si trattava sostanzialmente di rendere la distinzione saussuriana di langue/parole adatta all’analisi linguistica vera e propria, lavorando innanzitutto sulla terminologia. Si sono semplificate la nozione di langue nell’accezione di ‘schema’ linguistico e quindi di istituzione e la parole nella sola accezione di esecuzione (Hjelmslev 1942: 41). A questo punto lo ‘schema’ giustifica l’esclusione della diacronia con il guadagno di illuminare quanto Saussure intendeva con langue nella sua una accezione pertinente, indirettamente risolvendo le ambiguità della parole. In tal modo si relegavano le ulteriori distinzioni di sociale-individuale, di fisso-libero sostanzialmente al dominio del variabile non necessario, non più o meno utili (Hjelmslev 1942: 4), come anche glossematicamente non poteva resistere le distinzioni del Cours ‘statico’-‘storico’, di passivo-attivo. La nozione di ‘schema’ hjelmslevianamente inteso ha segnato la ‘rifondazione’ della scienza linguistica in termini glossematici, riscrivendo non solo la litera della parole ma per buona parte anche quella della langue e ancor di più liquidando i tentativi sechehayeiani come ipotesi sterili.
Non sembra pertanto irragionevole pensare che Hjelmslev non si sia accostato al Cours senza il filtro del suo più stimato ermeneuta, anche se con tonalità diverse e con approcci cronologicamente differenziati - la nozione di schema linguistico rappresenta in qualche modo un esempio e un indizio poderoso di tale rapporto Sechehaye-Hjelmslev. Anche se Hjelmslev senza dubbio ha svolto una comprensione autonoma e critica del Cours, altrettanto indubbiamente Sechehaye ha rappresentato un referente di confronto significativo e in qualche modo ‘creativo’ tanto da contribuire in modo indiretto e inconsapevole nella formazione linguistica hjelmsleviana in genere e di conseguenza nella fondazione della glossematica, che vale anche come risposta negativa o parzialmente tale alle soluzioni avanzate da Sechehaye.