Dimostrazioni : modalità operative ed usi1
0. Introduzione
Le scienze deduttive contemporanee ricorrono ad un gran numero di forme di dimostrazione. Esse possono usare sia iscrizioni di carattere simbolico su carta, sia dispositivi tecnologici come, ad esempio, programmi informatici e robot. Con questo saggio vorrei mostrare che, al di là della loro diversità, queste differenti forme di dimostrazione possiedono un certo numero di modalità operative comuni. Vorrei inoltre mostrare che possono svolgere ruoli più vari di quelli ad esse generalmente attribuiti, relativi alle categorie di prova e di persuasione. Al fine di mostrare ciò, mi baserò innanzitutto sui risultati di alcune ricerche sociologiche da me realizzate nel corso di questi ultimi anni riguardo l’attività dimostrativa dei logici e dei ricercatori di intelligenza artificiale sia in Europa e che negli Stati Uniti. Tali ricerche si sono avvalse dell’uso di interviste, di analisi testuali e di osservazioni di carattere etnografico (Rosental 2003 ; 2007 ; 2008).
Ci sembra opportuno proporre subito qualche considerazione preliminare riguardo la natura delle dimostrazioni prese in considerazione. In linea di massima, il termine « dimostrazione » è soggetto a usi molto diversi : è impiegato all’interno di differenti ambiti sociali per qualificare pratiche che a priori non presentano tratti effettivi comuni. Questo termine è dunque correntemente utilizzato per definire situazioni diverse, ad esempio : una prova matematica, ciò su cui poggiano le arringhe all’interno dei tribunali o, anche, presentazioni del funzionamento di elettrodomestici da parte di rappresentanti di commercio.
I ruoli più frequentemente attribuiti alla pratica della dimostrazione riguardano quello di prova di un enunciato, quello legato all’opera di convincimento di un interlocutore in relazione alla veridicità di una proposizione o quello di insegnamento di date scienze o tecniche.
Assumendo come punto di partenza specifico quello delle dimostrazioni prodotte dalle scienze deduttive, vorrei mostrare non solo quanto sia fecondo domandarsi in quale misura le dimostrazioni possono svolgere un numero maggiore di ruoli rispetto a quelli relativi ai registri della prova, della persuasione e della pedagogia, ma addirittura che, in linea di massima, è possibile interrogarsi riguardo la centralità di questi ruoli per l’analisi delle dimostrazioni stesse. Vorrei anche mettere in luce l’utilità di uno studio degli eventuali tratti in comune tra pratiche il cui unico legame sembra essere l’uso del termine « dimostrazione » per descriverle e, così facendo, mettere in evidenza l’esistenza di un vasto campo di possibile esplorazione sociologica riguardo le dimostrazioni prodotte in ambiti diversi.
Da un punto di vista euristico, propongo, a questo stadio, di chiamare « dimostrazione » tutte le procedure, scritte o audio-visive, la cui vocazione esplicita è principalmente di ordine probatorio, argomentativo o pedagogico, ma che possono svolgere anche altri ruoli.
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Per le stesse ragioni, non si può, ad esempio, assumere che la descrizione dell’azione di un individuo che va ogni giorno da uno stesso giornalaio per acquistare un quotidiano possa ridursi a una semplice transazione economica. Un tale rituale può svolgere degli altri ruoli e, per l’individuo in questione, il fatto di discutere ogni giorno con il « suo » giornalaio può dimostrarsi tanto importante quanto l’acquisto.
Una tale definizione permette di affrontare, all’interno di una stessa prospettiva sociologica, sia le prove dei logici e dei matematici che utilizzano un supporto cartaceo, che le dimostrazioni pubbliche di oggetti e dispositivi tecnici (chiamate anche « demo ») destinate alla « presentazione » del funzionamento di prototipi high-tech che vengono effettuate da ricercatori di intelligenza artificiale. Questa definizione evita anche di assumere che i ruoli delle dimostrazioni si limitino a quelli relativi al provare, al convincere o all’insegnare2. D’altra parte, i significati attribuiti generalmente dagli attori al termine « dimostrazione » non presentano una dispersione tale da farne emergere una definizione troppo ampia, che porterebbe a qualificare come dimostrazioni un insieme troppo vasto di pratiche sociali.
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Riguardo studi di caso di ispirazione sociologica portanti sulla prova in matematica, si veda in particolare Bloor (1978), Livingston (1985; 1999) e Pickering & Stephanides (1992).
È necessario insistere sul fatto che l’analisi delle prove condotte in forma scritta si rivela particolarmente insufficiente per affrontare il lavoro dimostrativo attualmente svolto all’interno delle scienze deduttive3 (Fig. 1). In effetti, nel corso degli ultimi vent’anni, le ricerche di logica si sono ampiamente spostate, in proporzione, dai dipartimenti di matematica e filosofia a quelli di informatica. Una larga parte delle dimostrazioni effettuate nell’ambito della logica e dell’intelligenza artificiale si realizzano grazie al supporto di diverse macchine e, in particolare, di computer.
Fig. 1. Esempio di dimostrazione scritta in logica (da www.logic.at/hlk)
Risulta dunque importante non dare rilevanza eccessiva ai testi, intesi in senso stretto, così come risulta importante non occultare la diversità dei gesti dimostrativi e degli strumenti utilizzati. Nello specifico, appare importante prendere in considerazione le « demo » e cogliere i rapporti variabili e spesso complessi che i ricercatori hanno con ciò che essi intendono dimostrare e, eventualmente, provare.
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Si veda anche Mackenzie (2001).
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Per degli esempi di « demo » e una loro analisi dettagliata, si veda in particolare Rosental (2007; 2011).
Il termine « demo » è generalmente impiegato per qualificare l’esibizione commentata del funzionamento di un dispositivo quale un robot o un programma informatico (Fig. 2). Si può trattare, per esempio, di un programma informatico destinato a dimostrare automaticamente dei teoremi nell’ambito della logica computazionale4. Basta pensare alle celebri « demo » di presentazione dei software Microsoft diffuse dai media per farsi una prima idea di queste pratiche. Nello specifico, queste ultime sono spesso separate dall’attività che consiste a provare la veridicità di un enunciato quale quello di un teorema. Le « demo » sono spesso percepite in primo luogo come degli strumenti di convincimento, destinati a vendere un progetto o un prodotto5.
Fig. 2. « Demo » di un robot. (http://www.nsf.gov/news/news_images.jsp?cntn_id=115211&org=OLPA, Credit : Sandy Schaeffer for National Science Foundation).
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Per altre definizioni ed usi della nozione di script nel dominio della sociologia delle tecniche, si veda in particolare Akrich (1991).
Si deve poi notare che le « demo » si mantengono nell’ordine dello scritturale o, meglio, dello « scripturale » in quanto è in gioco lo script6, più che una effettiva scrittura. Infatti, il riferimento non è solo allo scritto, alle inscrizioni e alle pratiche testuali intese in senso stretto. « Scripturale » rinvia, dunque, più ampiamente all’elaborazione di scenari.
Diversi ricercatori di logica computazionale e di intelligenza artificiale permeano gli scenari delle « demo » di una riflessione serrata riguardo la necessità o meno della presenza di ciascuna sequenza di cui la « demo » è composta. Tale riflessione è simile a quella che dedicano ai vari passi della dimostrazione scritta che è possibile mostrare senza alcun altro supporto, se non il foglio di carta, e senza alcuna preparazione specifica.
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Sulla difficoltà e la fecondità dello studio degli scenari in sociologia dei media, si veda specialmente Chalvon-Demersay (2007).
Le « demo », come le dimostrazioni su carta, si appoggiano su forme routinarie, su repertori e su un apprendimento continuo. Ma gli script o scenari delle « demo » non sono né formulati per iscritto, né espressi oralmente. Essi offrono, dunque, pochi appigli ai ricercatori coinvolti e, ancor meno a filosofi, sociologi e storici che cercano di coglierli7. Al fine di analizzare il modo in cui queste particolari forme di dimostrazione, così come quelle più tradizionali che fanno uso della scrittura, vengono usate ci sembra essenziale dare innanzitutto maggiori dettagli riguardo la loro natura e le loro modalità operative. Il mio studio si compone, dunque, di due parti principali :
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in primo luogo, mi appresterò ad analizzare alcune delle modalità operative delle dimostrazioni. Mi soffermerò in particolare su tre punti : la possibile inscrizione di dimostrazioni individuali negli arsenali dimostrativi, la polisemia delle dimostrazioni e l’economia imperfetta all’interno della quale tali arsenali si inseriscono ;
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in seguito, potrò analizzare una serie di usi delle dimostrazioni che io ho osservato. Sottolineerò cinque aspetti determinanti a partire dai quali si delineano degli specifici ruoli delle dimostrazioni : osservatorii, supporti transazionali, strumenti di gestione dei progetti, luoghi di capitalizzazione, di cui le dimostrazioni stesso sono oggetto e, infine, dispositivi di messa in relazione.
1. Modalità operative
1.1. Arsenali dimostrativi
Cominciamo con il prendere in considerazione ciò che io definisco l’inscrizione delle dimostrazioni all’interno di arsenali. Ho infatti constatato che, in linea di massima, non si poteva analizzare lo svolgersi delle diverse forme di dimostrazione come se queste venissero utilizzate separatamente.
Ad esempio, ho potuto osservare che alcuni ricercatori di intelligenza artificiale fanno talvolta riferimento a teoremi provenienti da dimostrazioni cartacee al fine di mettere in causa i risultati presentati attraverso una « demo ». Tali risultati sono contestati allora sulla base del valore e della validità di formalismi e regole di metodo. Può anche accadere, però, che dei ricercatori invochino il buon svolgimento delle « demo » per mettere in dubbio la validità dei risultati dimostrati su supporto cartaceo. Essi evidenziano così il carattere poco verosimile delle dimostrazioni cartacee rispetto alle « demo ».
Le diverse forme di dimostrazione possono essere infatti impiegate in modo combinato o complementare. Un format tipico delle tesi di logica computazionale discusse attualmente all’Università di Stanford consiste nel dimostrare su carta delle proprietà di un nuovo formalismo, nell’elaborare, a partire da questo formalismo, un programma informatico (di dimostrazione di teoremi, per esempio) e, poi, nel mettere a punto una « demo » del programma informatico corrispondente. Tale « demo » si rivolge ai pari, per esempio nel caso in cui essa venga usata per l’esposizione della propria tesi di dottorato, ma essa si può anche rivolgere agli sponsor industriali, specialmente coloro che hanno finanziato la tesi (Rosental 2007).
In questo tipo di situazioni, si osserva una debole specificità delle azioni e degli effetti prodotti all’interno di differenti arene dimostrative. Al fine di rilevare tali specificità, si devono allora prendere in considerazione le dimostrazioni particolari per come avvengono in seno agli arsenali dimostrativi all’interno dei quali esse si possono inscrivere.
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Simile situazione è stata anche riscontrata all’interno di altri ambiti socio-storici, come mostrato per esempio dai lavori di Simon Schaffer (1994) per quanto riguarda il caso della meccanica nella Gran Bretagna dell’epoca georgiana.
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Per quanto riguarda le dimostrazioni, le nozioni di riuscita e di fallimento risultano particolarmente problematiche. Da un lato, per il fatto che lo svolgimento di una « demo » all’interno di un luogo specifico può essere oggetto di considerazioni variabili e contraddittorie, a seconda degli spettatori che la giudicano; dall’altro, per il fatto che certi fallimenti ottenuti dai dimostratori possono anche essere assunti positivamente da questi ultimi, come mezzi per comprendere ed identificare soluzioni ad alcuni dei problemi riscontrati.
Ma le diverse forme di dimostrazione devono essere anche pensate in funzione della mutevole docilità e resistenza che le accolgono. Tale docilità e tale resistenza possono manifestarsi nella forma di discorso critico o basarsi su epistemologie più o meno locali o elaborate8. Una specifica « demo » potrà così « funzionare » all’interno di certi ambiti, allorché essa avrà degli effetti controproducenti in altri. In quest’ultimo caso, essa sarà probabilmente giudicata eccessivamente spettacolare e, per questo, sarà stigmatizzata : il tono pieno di sicurezza che l’accompagna sarà, allora, all’origine di diffidenza a priori. A tale modalità altri preferiscono una dimostrazione cartacea, giudicata più sobria : essa presenta, dunque, una diversa spettacolarità, questa volta apprezzata. Questo è quello che possono riscontrare alcuni ricercatori di intelligenza artificiale americani le cui « demo » falliscono completamente in Francia, quando esse hanno « funzionato molto bene »9 sia negli Stati Uniti che in Giappone (Rosental 2004).
1.2. Polisemia
Si deve notare che la diversità di elementi costituenti gli arsenali dimostrativi, non implica assenza di modalità operative comuni. A questo proposito, si può innanzitutto far riferimento alla questione della polisemia.
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Per un esempio in movimento dello svolgimento di una « demo » relativa ad un doppio pendolo rovesciato, si veda in particolare: http://www.youtube.com/watch?v=RI6FbSj2SN0&hl=fr.
Con gradi diversi, la polisemia riguarda sia le dimostrazioni pubbliche dei dispositivi tecnici, sia le dimostrazioni cartacee che, utilizzando dei simbolismi, sono considerate più univoche. Come primo esempio possiamo citare un esempio « classico » di « demo » di un automatismo funzionante con l’aiuto della logica fuzzy. Si tratta di una « demo » che mostra come un automatismo possa controllae le oscillazioni di un doppio pendolo rovesciato (Fig. 3 ; Rosental 2004)10.
Fig. 3. Doppio pendolo rovesciato (da : http://serbotics.tistory.com/1)
Una « demo » riuscita di questo dispositivo può anche rappresentare una soluzione, per lo meno parziale, al problema canonico riguardante i razzi al decollo, che risulta, ad esempio, di interesse per degli specialisti della NASA. Un razzo può infatti rompersi nel mezzo se le oscillazioni durante il lancio risultano troppo elevate. Le oscillazioni di un razzo sono spesso modellizzate attraverso quelle di un doppio pendolo rovesciato che, a sua volta, raffigura il razzo.
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In generale, le « demo » non mettono in gioco solo polisemie di carattere così elementare. Tuttavia, questo semplice esempio offre l’occasione di domandarsi in quale misura la storia degli esperimenti pubblici a partire dall’antichità abbia affrontato la questione della polisemia in tutta la sua estensione. Spesso gli studiosi non hanno a disposizione risorse sufficienti per affrontare la questione dei diversi modi di ricezione. Se questo è il caso, la conseguenza non sarà stata quella attribuire al dispositivo dimostrativo una elevata capacità di disciplinare gli sguardi in realtà non posseduta?
Un automatismo permette di controllare le oscillazioni del doppio pendolo rovesciato e costituisce così un dispositivo canonico per gli specialisti aerospaziali che cercano di trattare il problema appena citato. Ciò, di solito, non risulta evidente a dei non specialisti di quello specifico campo, pur presenti alla dimostrazione11. Ciò che risulta canonico corrisponde, nella maggior parte dei casi, a delle figure di routine della dimostrazione all’interno di un ambito specifico.
Similmente, ho potuto osservare usi volontari e involontari della polisemia per quanto riguarda le dimostrazioni cartacee, grazie alla osservazione dell’elaborazione di un teorema logico recente : il teorema di Elkan (Rosental 2003). Questo teorema qualche anno fa aveva attratto l’attenzione dei ricercatori in intelligenza artificiale e aveva suscitato dei grandi dibattiti. Il ricorso al simbolismo non aveva impedito diversi malintesi. Tali malintesi riguardavano, in particolare, la rilevanza e il significato del teorema, nonché il significato di differenti formulazioni del teorema prodotte nel corso del dibattito.
Tali malintesi alimentavano il disaccordo espresso nei riguardi della validità del teorema e della sua dimostrazione, ma al contempo davano luogo anche a degli accordi parziali e a delle convergenze apparenti tra punti di vista distinti e in parte antagonisti. Dunque, il o, piuttosto, i teoremi di Elkan e le loro dimostrazioni possedevano alla fin fine le caratteristiche di un enunciato collettivo, nel senso in cui lo intende il medievalista Alain Boureau (1992). Essi erano in effetti l’oggetto di appropriazioni variabili che tuttavia producevano degli effetti di massa dati dalla connessione tra punti di vista.
L’assenza di univocità risultava in particolare dagli usi della referenza, dal ricorso all’implicito basato su dei saper fare altamente specializzati o, ancora, da modi di lettura molto variabili. Questi differenti modi di lettura erano sostenuti in particolare da approcci normativi antagonisti che si scontravano riguardo il tipo di logica da adottare e le modalità legittime di dimostrazione.
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L’attenzione al modo in cui gli oggetti tecnici sono aggirati e sviati è da questo punto di vista salutare. Si vedano, ad esempio, Akrich, Callon & Latour (1991); Latour (1993, pp, 14-76).
Numerose teorie filosofiche e semiotiche ci hanno abituato ad analizzare le dimostrazioni in logica in relazione ad uno ed un solo lettore, reale o ideale (Husserl 1901 ; Coleman 1988 ; Rotman 1993). Questo lettore è spesso trasformato in dato tale o in un soggetto interscambiabile o più o meno definito che viene configurato dai testi dimostrativi stessi. Alcuni sociologhi hanno sottolineato il fatto che all’interno delle scienze sociali il ruolo giocato dalla tecnica al fine di far funzionare i collettivi era stato ampiamente trascurato. Dunque, anch’essi, mossi da una preoccupazione pedagogica, sono stati inclini a ricercare e mettere in scena semplici e meccanici effetti sugli individui dei dispositivi studiati12.
In questi due casi esemplari, così come nel caso in cui la storia ha lasciato poche tracce riguardo le modalità di ricezione e di appropriazione di tali artefatti, per lo studioso vi è una forte tentazione a focalizzare lo studio sui testi e sui dispositivi e, questo, a detrimento dell’esame della loro modalità di acquisizione effettiva. In tali condizioni è facile immaginarsi degli effetti meccanici, delle letture univoche e una gestione vincolante dei corpi e delle menti da parte dei dispositivi in gioco. Le speculazioni o gli esercizi di stilizzazione che ne possono risultare rappresentano delle letture tanto più credibili, quanto più esse non vengano contraddette da eventuali adeguati studi empirici.
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La nozione di magma sembra utile per cogliere la produzione logica tanto quanto si è rivelata rilevante all’interno dello studio della retorica greca (Cassin 1995).
La polisemia, gli effetti complessi, variabili e difficili da predire possono con più probabilità emergere nel momento in cui un’indagine sugli usi effettivi delle dimostrazioni può essere concretamente condotta. Questo è ciò che, per esempio, rivelava uno studio empirico approfondito dei modi di acquisizione delle differenti versioni della dimostrazione del teorema di Elkan. Tale studio ha permesso di scoprire appropriazioni ed effetti delle dimostrazioni inattesi, ambigui, variabili ed in evoluzione. Questo fenomeno è stato nutrito dalla moltiplicazione di versioni del teorema elaborate sia dall’autore che da terzi. Esso, peraltro, era stato anche accentuato dalle letture parziali e più o meno rapide di un magma13 di dimostrazioni prodotte lungo il corso del dibattito.
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Sulla molteplicità delle letture in matematica sulla scala storica lunga si veda Goldstein (1995).
Che fossero in forma scritta o in forma orale, in privato o in pubblico, le dimostrazioni erano sempre da accompagnare, da riproporre, da riformulare, da commentare, da personalizzare da leggere e rileggere14. Esse dovevano essere acquisite nel disordine vertiginoso di questo sviluppo adattivo. Dunque, non si dovrebbe immaginare che le dimostrazioni siano isolate in testi ben definiti, perfettamente accessibili a tutti e lette con un attenzione al limite infinita, da lettori competenti, saggiamente critici e al contempo complici.
1.3. Una economia imperfetta per le dimostrazioni
Che si fosse attorno a dimostrazioni cartacee, come quella citata in precedenza, o attorno a delle « demo », non ho potuto osservare l’esistenza di una economia perfetta. Ricordo che gli economisti parlano di economia perfetta in riferimento alla circolazione di informazione e qualificano una economia come perfetta nel momento in cui l’informazione è completamente accessibile a tutti gli attori. Gli economisti fanno, al contrario, riferimento a al concetto di “economia imperfetta” per descrivere il fatto che la disponibilità della risorsa informazione è in realtà limitata e variabile e, di conseguenza, tentano di analizzare le dinamiche fondamentali che ne risultano.
Riprendere questa opposizione mi permette di constatare come le dimostrazioni si dispieghino nel quadro di una economia imperfetta, anche se solo si considerano le risorse di tempo, di motivazione, di visibilità o di saper-fare. Questa limitazione delle risorse riguarda sia la produzione dimostrativa che la sua valutazione.
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Si deve notare che questa realtà sembra più evidente ai ricercatori in scienze deduttive che ai non-specialisti.
I dimostratori e i certificatori contemporanei intervengono nel quadro di una industria del teorema, la cui produzione mondiale è stata valutata recentemente in un milione di unità ogni cinque anni (Ulam 1976). Tale produzione implica dei collettivi più o meno ampi e organizzati. Questi collettivi giocano un ruolo decisivo nella strutturazione della visibilità relativa delle dimostrazioni, nella loro acquisizione più o meno coordinata o concorrenziale e nella loro produzione. Tale produzione non si effettua semplicemente nella mente dei dimostratori, ma procede attraverso diverse interazioni e mediazioni materiali15.
Questi fenomeni ci allontanano dal ritratto del dimostratore individuale e del soggetto conoscente stereotipico. Essi sono particolarmente facili da osservare nel caso delle « demo ». La preparazione di queste dimostrazioni implica spesso dei collettivi e una divisione del lavoro. Essa mobilita allora dei maestri della dimostrazione capaci di dare delle lezioni di « demo » e di orchestrare lo sforzo dimostrativo. L’orizzonte di questo lavoro riguarda la conduzione di campagne dimostrative che si dispiegano talvolta su grande scala, di fronte a dei collettivi essi stessi a geometria variabile (Rosental 2002).
All’interno di questa cornice complessiva, l’elaborazione e la stabilizzazione delle dimostrazioni implicano, in generale, degli operatori tanto numerosi ed eterogenei quanto quelli osservati nella produzione e nella stabilizzazione dei risultati sperimentali contemporanei (Collins 1985). Del resto, per come la ho potuta osservare, l’attività di dimostrazione di enunciati logici o di messa a punto delle « demo » rivela, generalmente, essa stessa una lavoro di carattere sperimentale e osservativo (Rosental 2007, pp. 37-70). D’altra parte, le dimostrazioni non vengono proposte tutte alla conclusione delle ricerche. Esse hanno, per alcuni, valore di prova o di test.
Tutto ciò può contribuire a spiegare, di converso, la proliferazione di filosofie della logica che si è avuta da circa un secolo. Ognuna di queste filosofie ha tentato di assimilare, se non addirittura di riassorbire, una vasta gamma di mediazioni. E questo può anche spiegare le denunce di incomprensione, più spesso orali, effettuate da parte dei logici nei riguardi di vari epistemologi, che mettono in luce il carattere frammentario, financo riduzionista delle critiche di questi ultimi (Rota 1991 ; Largeault 1993).
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Sul carattere molteplice di certi oggetti matematici, si veda Lefevre (2002).
Un buon modo di trarre beneficio da queste denunce consiste, senza dubbio, nel dispiegare ulteriormente le mediazioni delle dimostrazioni attraverso l’esplorazione dei loro usi, senza accontentarsi di considerarle esclusivamente a priori come degli oggetti di tecnica matematica o di investigazione filosofica. Le dimostrazioni che io ho incontrato erano in effetti non solamente polisemiche, ma erano anche molteplici16. Detto altrimenti, esse possono giocare più ruoli, variabili secondo il caso.
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Per degli studi di casi storici che mettono ben in luce questa dimensione, si veda Schaffer (1983; 1992) ; Dolza & Vérin (2003).
Per quanto ciò possa sembrare sorprendente, questi ruoli non rilevano semplicemente di quanto in gioco nell’ambito della conoscenza né, tanto meno, di quanto implicato dal solo dominio della prova. Tantomeno tali ruoli si inscrivono all’interno del semplice quadro di una alternativa tra prova e persuasione, secondo una dicotomia fortemente sedimentata fin dall’antichità greca tra apodeixis e epideixis (Von Staden 1994 ; Cassin 1995). Le scappatoie che consistono da un lato nel considerare tali ruoli come ibridi tra queste due dimensioni (le dimostrazione rileverebbero al contempo della prova e della persuasione), o, dall’altro, nel considerali come degli spettacoli17, nel quadro di un approccio teatrale della vita sociale, si rivelano, in linea di massima, insufficienti. Altri usi, che rendono le dimostrazioni un oggetto sociologico molto rilevante, sono osservabili in numerosi ambiti, come andrò ora a sforzarmi di precisare.
2. Usi
2.1. Osservatorii
Oggigiorno è estremamente difficile mostrare e pensare le dimostrazioni in modo differente se non nei termini di un tête-à-tête tra processo probatorio e tecniche di persuasione e d’argomentazione, anche perché studi approfonditi che indagano questa dicotomia costellano i differenti momenti della storia delle scienze a partire dall’antichità (Schaffer 1983 ; 1992 ; Von Staden 1994 ; Cassin 1995 ; Dolza & Vérin 2003).
Se le dimostrazioni che ho osservato fino ad ora non rilevano semplicemente della prova o della persuasione né, tantomeno, di un saggia miscela tra le due, è innanzitutto perché non si tratta sempre di forme di comunicazione unilaterali. Ho constato che, in effetti, le dimostrazioni, nel corso del loro svolgimento, trasmettono ai loro spettatori o ai loro lettori messaggi il cui scopo può essere di ordine probatorio e/o argomentativo. Le dimostrazioni teoriche, come le scatole nere dei dispositivi delle « demo », possono anche, però, servire a nascondere segreti o a negoziarli nel corso delle interazioni. Ciò si verificava in particolare quando certi dati industriali e militari erano coinvolti (Rosental 2002). Ma certe dimostrazioni fornivano anche l’occasione ai dimostratori o « dimostranti », di raccogliere delle informazioni sui « dimostrati », cioè coloro che assistono alle dimostrazioni. Questo ruolo era almeno tanto importante o centrale quanto quello relativo ai registri di prova e persuasione.
Ho potuto osservare ciò nel quadro, per esempio, delle « demo » di logica e di intelligenza artificiale. In occasione di certe « demo », i « dimostranti » fanno in un primo tempo un monologo, per poi impegnarsi in un dialogo con i « dimostrati ». Talvolta i « dimostranti » spingono i « dimostrati » anche a manipolare loro stessi i dispositivi di dimostrazione.
I « dimostranti » utilizzano le dimostrazioni come degli osservatorii, in una prima fase nel momento in cui studiano scrupolosamente le reazioni dei « dimostrati » o, in una seconda, quando raccolgono sistematicamente dati sui loro progetti. Questi dati possono essere espressi oralmente o, per esempio, inseriti nelle macchine su invito dei dimostratori di programmi informatici. Ho potuto notare come tali dati erano talvolta oggetto di scambi, orali o scritti, di carattere sistematico, all’interno delle istituzioni alle quali appartengono i dimostratori.
Questi processi sono anche osservabili intorno alle dimostrazioni logiche condotte alla lavagna. I dimostratori possono raccogliere le reazioni dei « dimostrati » nel corso delle dimostrazioni o alla loro chiusura.
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Tali fenomeni sembrano esser stati maggiormente interrogati in storia dell’arte che non nella storia delle scienze.
Già solo per queste ragioni, risulta problematico considerare queste dimostrazioni pubbliche come equivalenti ad uno spettacolo o solo atti di ostentazione. Se si vuol fare di questi termini – “spettacolo” e “ostentazione” – delle categorie esplicative, ci si deve allora chiedere su cosa vertono in particolare questi spettacoli, a quale proposito sono svolti e cosa eventualmente viene scambiato. E’ anche importante essere sensibili alle variazioni e alle evoluzioni riguardo ciò che viene considerato spettacolare o meno da parte degli individui, dei collettivi e degli ambiti socio-storici. All’interno di una stessa sala, una dimostrazione può apparire spettacolare a certi membri del « pubblico », ma non ad altri18.
2.2. Supporti transazionali
Poiché questi « spettacoli » hanno un ruolo specifico che ha a che fare con la costituzione di partner e di mercati, ho potuto constatare che le « demo » dei ricercatori in intelligenza artificiale costituiscono frequentemente delle forme di presentazione di sé : « Buon giorno, felice di fare la vostra conoscenza, posso fare una piccola ‘demo’ se lo desiderate ». Questa frase costituisce attualmente una buona introduzione. Ma introduzione a cosa e tra chi ? Tra pari o tra ricercatori e sponsor effettivi o potenziali nella prospettiva di iniziare delle relazioni di scambio più diversificate. Si tratta, d’altra parte, già di una transazione : in cambio di un appuntamento, i dimostratori gratificano i loro ospiti di una dimostrazione.
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E’ utile ricordare che, comparativamente, la storia degli esperimenti pubblici evidenzia piuttosto la capacità di questi ultimi di disciplinare gli sguardi. Si veda, per esempio, Shapin & Schaffer (1993).
La forza relativa delle « demo » che io ho osservato non risiedeva nella capacità sistematica a disciplinare i punti di vista in modo determinante19. Le dimostrazioni permettevano spesso ai dimostratori di presentarsi ai « dimostrati » senza esigere da parte di quest’ultimi un grande impegno. I dimostratori potevano allora tentare di suscitare dell’interesse per il progetto su cui lavoravano. Essi potevano, successivamente, modulare la presentazione in funzione delle reazioni e dei dati raccolti e spingere al contempo i « dimostrati » a modificare i loro propri progetti per produrre delle eventuali collaborazioni. I dimostratori potevano utilizzare la comune preoccupazione a non « sprecare » il tempo consacrato a questi incontri e a queste riflessioni, per capitalizzarli in partnership. Successivamente, i dimostratori potevano eventualmente trasformare gli interlocutori in primi clienti o in testimoni capaci di attirare, attraverso racconti e commenti, una clientela, con la prospettiva della costituzione di primi mercati, anche di modesta estensione (Rosental 2007).
Detto altrimenti, queste dimostrazioni rappresentano degli strumenti transazionali per tentare di associare dei gruppi in modo flessibile e dialettico e di prenderne, eventualmente, un controllo parziale.
2.3. Strumenti di gestione del progetto
Quando queste dinamiche sono messe all’opera in modo sistematico dai dimostratori, le « demo » acquistano uno statuto di strumento di gestione del progetto. La realizzazione di più « demo » in differenti momenti del processo di progettazione rappresenta allora una risorsa per ridefinire in modo sistematico le direzioni di un progetto, per costruirlo, per renderlo « interessante » ed, eventualmente, per venderlo.
Del resto, i dispositivi dimostrativi rappresentano attualmente versioni di prodotti finiti nell’ambito della ricerca sulle tecnologie di punta. La velocità dei settori industriali in questo ambito è tale che non è raro che i dimostratori preferiscano parlare di versioni di prodotti la cui funzionalità può essere sviluppata, piuttosto che di dispositivi sperimentali o financo di prototipi. Il futuro dei « dispositivi sperimentali » apparirebbe troppo incerto agli occhi degli sponsor industriali. La frontiera tra dispositivi sperimentali, prototipi e prodotti finiti si negozia infatti in parte attorno all’esercizio stesso delle « demo ».
Questo modo di agire consistente nell’utilizzare le « demo » come strumenti di gestione dei progetti è in effetti comparabile a certi usi delle bozze delle dimostrazioni scritte. Certi logici ricorrono infatti all’esibizione occasionale o regolare di bozze di dimostrazioni presso i loro colleghi. Questo modo di fare, più o meno sistematico, permette loro di aggiustare o di definire in parte i contenuti delle dimostrazioni, tenendo conto delle reazioni suscitate.
Questi usi delle dimostrazioni-test o delle dimostrazioni-prova pongono le « demo » e altre forme di dimostrazione al centro di dinamiche poco visibili. Qui faccio riferimento alle dinamiche che uniscono (invece di opporle) la fabbricazione e la promozione della scienza e della tecnologia. La necessità, specifica di certi ambiti, di dover realizzar rapidamente delle dimostrazioni pubbliche costituisce una fonte importante di irreversibilità, che non viene spesso notata.
- Note de bas de page 20 :
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Si veda in particolare David (1986) e il numero speciale di Reseaux a cura di Patrice Flichy (1998) sulle tastiere.
La storia delle tastiere delle macchine da scrivere QWERTY ci offre una buona illustrazione di ciò a partire da un ambito alquanto lontano da quello della logica. Queste tastiere sono utilizzate da quasi tutte le macchine da scrivere del mondo angolo-sassone a partire dalla fine del XIX secolo. Tuttavia, successivamente, sono state introdotte numerose tastiere concorrenti, che rendono possibile un battitura più rapida. Queste però non hanno ottenuto un effettivo successo. Questo paradosso ha fatto di questo lungo episodio uno oggetto faro della storia della tecnica e della storia dell’economia. Esso pone in effetti il problema più generale della irreversibilità rapida e qualche volta fuorviante creata dal successo di una innovazione20.
L’emergere delle tastiere QWERTY viene spiegato facendo riferimento alla necessità, messa in atto dai suoi inventori, di bilanciare due ordini di problemi distinti : la ricerca di una disposizione delle lettere che rendesse possibile una battitura il più rapida possibile, da un lato, certi vincoli imposti dai meccanismi delle macchine da scrivere utilizzate, dall’altro. Due lettere adiacenti sulla tastiera avrebbero potuto creare degli intoppi se esse fossero state attivate in successione rapida. Gli inventori dovevano dunque preoccuparsi di allontanare il più possibile le lettere che si susseguivano più frequentemente all’interno delle parole d’uso comune.
La storiografia evoca, talvolta, senza però metterla sufficientemente in rilevo, un aspetto non meno rilevante di questo episodio. Per assicurare il successo commerciale di queste macchine da scrivere, i venditori-dimostratori dovevano poter battere di fronte ai loro potenziali clienti in men che non si dica « type writer » (macchina da scrivere). Per realizzare una tale dimostrazione spettacolare, era essenziale disporre di tutte le lettere necessarie per questa stringa di caratteri su una sola fila di tasti. La disposizione dei caratteri teneva giustamente in conto questo vincolo. Essa presentava tutte le lettere richieste alla stringa « type writer » sulla prima riga di tasti.
Così, la prospettiva di dover realizzare delle « demo » del dispositivo aveva determinato le questioni prese in considerazione dagli inventori e il risultato stesso della loro attività. Tale caso ci mostra l’interesse che può avere porre attenzione sistematica alle dimostrazioni pubbliche, al fine di cogliere l’emergere di un insieme di oggetti e di usi che da esse derivano e che, talvolta, possono risultare durevoli. Si tratta, in altri termini, dello studio di un tipo particolare di path-dependence (David 1986) che l’osservazione di tali fenomeni richiede. Tale tipo di studio della path dependence è appunto richiesto dalla necessità di realizzare delle dimostrazioni a conclusione o nel corso del processo di progettazione di dispositivi diversi.
2.4. Capitalizzazioni dimostrative
Lo studio delle condizioni di esecuzione delle « demo » offre, d’altra parte, l’occasione di osservare dei fenomeni di capitalizzazione proteiforme delle dimostrazioni stesse. Spesso tali fenomeni sono più difficili da riscontrare gurdando alle sole dimostrazioni scritte dei logici. Le « demo » costituiscono in alcuni casi, in effetti, non solamente degli strumenti di conduzione dei progetti, ma anche degli strumenti di gestione di essi all’interno di grandi organismi di ricerca e di sviluppo come la NASA.
La preparazione di « demo » è generalmente molto costosa in termini di tempo e di energie per i dimostratori. In quanto buoni capitalisti della scienza, alcuni tra essi tendono a far fruttare il loro investimento. Ripresentano, dunque, le loro « demo » in differenti arene dimostrative. Ma questa industria del recupero funziona su più larga scala. Ho potuto osservare come le « demo » potevano a loro volta essere mobilitate dai manager di istituzioni di ricerca e sviluppo per portare a termine le loro valutazioni e dar luogo alla promozione o meno di un progetto di ricerca (Rosental 2007, 173-186, 192-195 ; 2011).
- Note de bas de page 21 :
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Si deve notare che sono per l’appunto le dimostrazioni e non le inscrizioni inerti che sono al cuore di questo ciclo (Latour 1993, pp. 100-129).
Ho potuto, dunque, osservare ciò che appariva come un sistema scientifico capitalista comparabile a quello descritto da Marx nella sua teoria del capitale. Le dimostrazioni – avendo un ruolo equivalente a quello della merce in Marx – servono a generare del credito simbolico e delle risorse per i dimostratori e per coloro che li impiegano. Questo credito e queste risorse sono a loro volta mobilitati per produrre delle nuove risorse, esse stesse reinvestite nell’attività dimostrativa, ecc.21. Nel quadro di questa economia, troviamo dei grandi capitalisti della scienza, cioè degli attori capaci arrivare a partecipare a dei cicli molto ampi, dei piccoli capitalisti, così come dei proletari, generalmente impiegati da capi-dimostratori.
Se ho potuto osservare dei fenomeni di capitalizzazione proteiforme delle « demo » è, in particolare, perché i manager della ricerca, non essendo specialisti di un dato campo, spesso si rivelano poco inclini ad una lettura di rapporti tecnici voluminosi. Le « demo », allora, permettono di dare un fondamento al loro giudizio senza che esso dipenda unicamente dal parere di terzi, convocati per l’occasione in quanto esperti. Delle « demo » realizzate in qualche minuto permettono ai manager di farsi direttamente giudici dei progetti loro sottoposti. Le « demo » offrono una certa indipendenza rispetto a quella prodotta da un modello di valutazione più tradizionale in cui i manager si devono affidare al parere di un esperto che faccia da garante. Per delle ragioni simili la ripresentazione mediatizzata di queste stesse « demo » su più ampia scala permette ai dirigenti dei grandi organismi di ricerca e sviluppo di giustificare la gestione di questi stessi enti di fronte ad autorità economiche e politiche, a giornalisti e al pubblico più in generale.
- Note de bas de page 22 :
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Si veda il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, 2004, Parte III, Capitolo III, Sezione 9, articoli 248-250, 252, 253, pp. C310/109-111.
In questi ultimi anni, gli alti funzionari responsabili dei programmi di ricerca e sviluppo della Commissione Europea si sono così mostrati molto golosi di « demo ». Vi hanno fatto ricorso al fine di poter gestire delle valutazioni difficili e per rendere conto delle loro decisioni nei riguardi di industriali combattivi e opinioni nazionali diffidenti, nonché di parlamentari europei sospettosi (Rosental 2005). Ciò spiega, d’altra parte, il fatto che le « attività di dimostrazione » siano state poste al cuore del capitolo dedicato alla scienza e alla tecnologia del recente progetto di costituzione europea22.
Queste espressioni risultano relativamente opache a molti cittadini europei. Esse hanno a che fare con la messa in evidenza della fattibilità di un progetto. Questa concezione della valutazione delle ricerca si oppone alla realizzazione di progetti di ricerca e sviluppo che non risultino in alcuna concretizzazione. Sono dunque le dimostrazioni di fattibilità che dovrebbero permettere alla scienza e alla tecnologia europea di entrare in costituzione.
2.5. Formazione del legame sociale
Le precedenti osservazioni evidenziano chiaramente la rilevanza delle dimostrazioni nella gestione degli scambi tra pari, ma anche tra scienza, tecnologia e società. E questo, tanto in logica che in vari altri ambiti delle scienze e, in particolare, delle scienze dette applicate. Ma più fondamentalmente, risulta chiaro che le dimostrazioni non permettono solamente di creare dei legami tra enunciati, notoriamente sotto la forma di implicazioni o di equivalenze. Tali proprietà epistemologiche si raddoppiano, infatti, in proprietà sociologiche. Le dimostrazioni permettono di mettere in rapporto degli attori che altrimenti non si sarebbero incontrati e talvolta di metterli in relazione. Esse contribuiscono a costituire dei legami sociali, la cui natura è in parte configurata da questi stessi dispositivi.
Questo risultato vale tanto per le « demo » che per le dimostrazioni scritte. Studiando le dimostrazioni prodotte nel quadro dei dibattiti attorno al teorema di Elkan, per esempio, ho potuto osservare come delle dimostrazioni una volta pubblicate erano all’origine di posizionamenti, di rotture di relazioni o, al contrario, di coalizioni (Rosental 2008). Al contempo ho constatato che per diversi logici, le dimostrazioni condotte alla lavagna o la discussione di dimostrazioni su carta con i colleghi, costituiscono dei grandi momenti, se non delle occasioni uniche di socializzazione. Per questi ricercatori, che agli occhi del pubblico generico risultano solitari, le cui attività sarebbero svolte unicamente nella loro mente e che costituirebbero, per il sociologo, la figura limite dell’individuo a priori, l’attività dimostrativa rappresenta spesso uno delle principali risorse di legame sociale. Detto altrimenti, molte delle loro dimostrazioni si costituiscono subitaneamente come delle dimostrazioni pubbliche.
3. Conclusioni
- Note de bas de page 23 :
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E’ sufficiente, ad esempio, considerare la dimostrazione pubblica della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq effettuata da Colin Powell il 5 febbraio 2003.
L’analisi che ho appena proposto evidenzia, nel suo complesso, la diversità dei ruoli possibili e delle modalità operative delle dimostrazioni contemporanee, siano tali ruoli e modalità connessi alla produzione di conoscenza o ad altre dimensioni della vita sociale. Tali ruoli e modalità mostrano, in particolare, per quali ragioni questi dispositivi non possono essere ridotti ad una descrizione in termini di prova e di persuasione. Come indicato nell’introduzione, sembra infatti che, in linea di massima, il termine « dimostrazione » possa essere utilmente impiegato in riferimento ad un processo scritto o audiovisivo, la cui vocazione dichiarata è prioritariamente di ordine probatorio e/o argomentativo, se non pedagogico, ma che può di giocare ben altri ruoli. Questo studio suggerisce, dunque, l’esistenza di un vasto campo di ricerca sulle proprietà sociologiche delle dimostrazioni, che giustifica ricerche non meno sistematiche di quelle che sono state condotte riguardo le loro proprietà epistemologiche. La lista delle proprietà che ho appena delineato merita non solo di essere estesa, ma anche completata con l’indicazione di quelli che sono i contorni esatti degli ambiti socio-storici, dato che gli usi delle dimostrazioni appaiono molto variabili e le pratiche corrispondenti sembrano molto diversificate, andando molto al di là della cornice della storia delle scienze e delle tecniche intesa in senso stretto23.
In certi casi si è infatti tentati, ispirandosi ai lavori di Marcel Mauss sul dono, di parlare di fatto sociale ampio, se non totale, per qualificare il dispositivo « démo ». Come le mie analisi suggeriscono, ho potuto in effetti constatare che si aveva talvolta a che vedere con degli incontri che coinvolgevano in modo rilevante le transazioni, quanto materialmente e simbolicamente posseduto e, più generalmente, l’avvenire dei gruppi e delle loro istituzioni. Per esempio ciò accade nel caso in cui i membri di un gruppo di ricerca in informatica si giocano in modo rilevante il loro futuro intorno ad una dimostrazione pubblica di una tecnologia « strategica ». La preparazione e l’esecuzione di dimostrazioni pubbliche possono infatti mobilitare così tante risorse, suscitare così tante tensioni, mettere in gioco così tanti riposizionamenti (in particolare per quanto riguarda le alleanze) da rappresentare dei momenti così intensi della vita sociale comparabili alla preparazione e celebrazione di un matrimonio. In questi casi paradigmatici – presentazioni e matrimoni – si ha a che fare con dei grandi momenti socio-antropologici della vita sociale.
Certi ruoli essenziali delle dimostrazioni non erano del resto sfuggiti a Alexis de Tocqueville, quando questi aveva riflettuto sulla loro dimensione politica. In La democrazia in America, Tocqueville (1835-40, trad. it. p. 531) constatava in effetti che « il mondo non si dirige con lunghe ed erudite dimostrazioni ». Per cogliere la portata di una tale affermazione bisogna chiaramente intendersi su quale sia il « mondo » di cui si parla, tenendo conto delle variazioni della natura e degli effetti delle dimostrazioni in relazione ai « mondi » all’interno dei quali esse si dispiegano.
Ma, al di là di tale questione, risulta fin da subito che gli aggettivi impiegati dall’autore (« lungo » e « erudito ») e, in particolare il primo, sono essenziali al fine di delineare la pertinenza di una tale asserzione. Il caso delle « demo » mostra in effetti come certi mondi possono essere « diretti » in parte grazie a delle corte dimostrazioni, che per quanto corte, non sono però meno erudite.
Al fine di prolungare questa ricerca, sembra utile esaminare e comparare in modo dettagliato i ruoli variabili e molteplici svolti dalle dimostrazioni all’interno dei diversi ambiti socio-storici, come anche le loro precise modalità operatorie, questo sia a partire dai risultati della storiografia attuale, sia a partire da nuove ricerche. Alla luce dei risultati che sono stati fatti emergere, queste ultime potrebbero in particolare assumere come punto di partenza le seguenti questioni :
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possiamo osservare delle variazioni e delle evoluzioni degli arsenali dimostrativi ? È possibile precisare per ciascun caso la costituzione di questi arsenali e i rispettivi ruoli dei loro elementi ? Possiamo specificare gli eventuali equilibri e le gerarchie tra diverse forme di dimostrazione ? La contemporaneità offre specificatamente alle « demo » uno statuto particolare di nave ammiraglia in seno alla flotta dimostrativa nelle quali si inscrivono ? Correlativamente, si assiste ad una aumento del ricorso a forme di dimostrazione spettacolari per la gestione dei rapporti tra scienza, tecnologia e società ?
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più generalmente, con che tipo di variazione ed evoluzione delle rappresentazioni dei dispositivi spettacolari si ha a che fare ? Possiamo specificare gli ambiti socio-storici della docilità e delle resistenze ad essi ? Parallelamente, è possibile di indentificare delle grandi tendenze in materia di percezione e di uso dell’ostentazione nell’attività dimostrativa, comparativamente ad una vocazione probatoria o a degli altri scopi ?
Contiamo sul fatto che tali questione, e molte altre ancora, permetteranno di far emergere un campo di ricerca fecondo e che contribuiranno allo sviluppo di ciò che potremo chiamare la sociologia storica delle forme di dimostrazione.
Article traduit par Alvise Mattozzi